Si narra che in un’antica dimora signorile di Chiuro apparisse spesso il fantasma di un tale soprannominato dai compaesani “El Granada”. Fu l’ultimo proprietario della suddetta dimora, alla quale era annessa una grande estensione di vigneti, da lui coltivati con grande cura e dai quali otteneva un vino particolarmente rosso, che divenne motivo del suo soprannome. Talvolta alzava un po’ il gomito, difatti di tanto in tanto, da buon valtellinese, si lasciava andare a qualche bagordo, a volte in compagnia di amici, a volte anche da solo. Cominciava con un piccolo assaggio di vino e alla fine si trovava brillo. Il tempo passava e Granada giunse alla fine dei suoi giorni senza accorgersene. Una mattina un fattore lo trovò appoggiato ad una botte, così, poiché non aveva eredi, la bella dimora fu venduta a una famiglia di contadini, composta dai nonni, il padre, la madre e due figli maschi. Anche i nuovi proprietari si dedicavano alla coltivazione della vite, ma con minor attaccamento rispetto al Granada. I genitori avevano abituato i ragazzi fin da piccoli a sbrigare delle faccende, ad avere piccoli incarichi, che svolgevano nei migliori dei modi. Così a Tommaso, il figlio minore, toccò di andare in cantina a spillare il vino,. Mentre Guglielmo, il maggiore, doveva occuparsi dei conigli e delle galline. Tutto procedeva tranquillamente quando una sera, mentre Tommaso scendeva le scale per la cantina, sentì battere dei colpi ripetuti. In un primo momento non si allarmò pensando che fosse caduto qualche cosa, guardò sotto la botte,ma visto che la cantina era buia non riuscì a distinguere nulla. Ma , proprio mentre stava spillando il vino, i colpi si ripeterono, come fossero una raffica di spari. A questo punto il povero Tommaso si spaventò a morte e corse via chiedendo aiuto. I familiari credettero che il figlio fosse malato e non dettero peso allo strano fatto. La sera successiva i due fratelli litigarono dal momento che nessuno dei due voleva scendere in cantina, ma il padre, deciso, ordinò a Guglielmo di andare a spillare il vino. Mentre apriva la porta della cantina, sentì i soliti colpi che erano ormai una musica abbastanza conosciuta, ma quando alzò gli occhi al di sopra della botte vide chiaramente un fantasma a cavalcioni che con un dito puntato come una pistola sparava gli ormai noti colpi. Era il fantasma del vecchio Granada, che voleva a tutti i costi impedire di spillare il vino dalla botte. Guglielmo fuggì rapidamente su per le scale inseguito dal rumore degli spari e dalle risate beffarde del fantasma. Il fatto mise di nuovo in allarme tutta la famiglia, così si fecero coraggio e scesero tutti in cantina; il Granada erra sempre là, a cavalcioni della botte che sparava a più non posso. Spaventati e non sapendo a chi rivolgersi, si chiusero in casa. Dopo alcuni giorni si fecero coraggio e informarono dell’accaduto il parroco. Questi venne, benedì più volte la casa e la cantina, fin quando l’assurdo e grottesco episodio non si verificò più. Pensarono che Granada si fosse riappacificato con i nuovi proprietari e fosse tornato nel regno dei morti con buona pace di tutti. Ma una sera Guglielmo trovò accanto alla botte un mucchietto di cenere e un biglietto bruciacchiato con la scritta “Granada, fine intenditor di vini rinomati assai, vi manda a dire che il vostro non gli garba affatto. Vi saluta e se ne va. Bevetene pure a sazietà”.
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