Il sistema nervoso e la vista

La velocità della luce

Onde

Riflessione e Rifrazione

Problema di Alhazen


Il sistema nervoso 

Tra gli studi di Leonardo da Vinci di particolare importanza fu uno studio del sistema nervoso in cui si proponeva di capire il funzionamento degli organi di senso. Nella concezione tradizionale, il cervello conteneva tre cavità: la prima, l'impressiva, raccoglieva le informazioni provenienti dai cinque sensi. Queste informazioni venivano passate al cervello, il sensus comunis, dove erano interpretate, e poi depositate nel terzo ventricolo, la memoria.

La vista 

Tra i cinque sensi Leonardo collocò la vista al vertice della gerarchia sensoriale, descrivendola come il mezzo più importante in nostro possesso per comprendere gli infiniti meccanismi della natura.

Ai tempi di Leonardo la comprensione dell'ottica era ancora aggrappata alle false convinzioni di Aristotele e Platone. L'errore più evidente era l'idea platonica che gli esseri umani percepissero l'universo perché l'occhio proiettava particelle che venivano poi nuovamente riflesse all'occhio.

Leonardo si rese conto che questa ipotesi era illogica, e pervenne alla conclusione che se la vista avesse funzionato in quel modo , allora noi avremmo potuto vedere tutti gli oggetti con la stessa velocità perché le particelle emesse dall'occhio impiegherebbero tempi deformi per raggiungere obbiettivi a distanze diverse e tornare poi ai nostri occhi.

Dopo numerosi studi sostituì questa teoria con una semplice descrizione, affermando che la luce si comporta come un'onda. Leonardo poi proseguì descrivendo il modo in cui la luce è riflessa da superfici diverse, il meccanismo con cui l'occhio percepisce i riflessi, giudica le distanze e riconosce le prospettive, e quello in cui la luce, cadendo sugli oggetti, genera le onde.

In gran parte del pensiero di Leonardo sentiamo riecheggiare il grande filosofo arabo Alhazen, il quale all'inizio di Prospectiva communis osserva: -           

tra tutti gli studi delle cause e delle motivazioni la luce massimamente delizia i contemplatori; tra le grandi cose della matematica, la certezza delle sue dimostrazioni eleva la mente dei ricercatori nel modo più illustre;la prospettiva deve dunque essere preferita a tutti i discorsi e le discipline umane, nello studio della quale i raggi si espandono per mezzo delle dimostrazioni e in cui si trova la gloria non solo della matematica ma anche della fisica, contemporaneamente adorna dei fiori dell'una e dell'altra.  

Nei suoi taccuini, Leonardo tradusse dal latino questo passaggio che rappresenta perfettamente il suo punto di vista sull'ottica.

Pecham e altri pensatori medioevali avevano sostenuto che il vuoto fosse riempito dalle immagini provenienti da oggetti solidi. Secondo costoro, come per Leonardo, ogni corpo opaco riempiva l'aria circostante con infinite immagini: in poche parole e"la luce viene riflessa in tutte le direzione da tutte le parti degli oggetti solidi opachi e viaggia in linea retta".  

Pecham introdusse il concetto di "piramide" per riferirsi alla traiettoria dei raggi luminosi dall'oggetto all'osservatore; esso fu in seguito adottato dall'Alberti e poi ripreso da Leonardo. Nei suoi taccuini,  in cui egli parla della luce, si presenta il termine  piramide radiante o piramide ottica. L'espressione si riferisce all'idea che i raggi di luce provenienti dai bordi di un oggetto e che convergono con quelli che viaggiano esattamente in linea retta, li intersecano a livello dell'occhio, al quale giungono sotto forma di una piramide o di un cono. Tale idea era basata sull'assunto che la luce viaggi in linea retta; Leon Battista Alberti l'aveva estesa per spiegare il modo in cui l'artista raccoglie informazioni da un oggetto.

Leonardo si servì di alcune parti del lavoro di Alberti per giungere alle proprie conclusioni. Egli fece una distinzione tra visione sferica e visione centrale, affermando che l'occhio aveva una singola direttrice centrale e che tutti gli oggetti la cui immagine giungeva all'occhio lungo quella linea erano percepiti bene. Intorno a quella linea ce n'erano infinite altre, che hanno tanto meno valore ai fini di una visione chiara e distinta, quanto maggiore è la loro distanza dalla direttrice centrale. Leonardo fu quasi certamente il primo a scrivere sulla visione stereoscopica e sul modo in cui gli occhi, in virtù del fatto di essere due, raccolgono informazioni riguardo a un oggetto. Egli capì anche che queste informazioni venivano poi trasmesse per essere interpretate dall'"anima", o da quella che oggi sappiamo essere la corteccia celebrale, ossia la regione del cervello responsabile dell'elaborazione delle informazioni sensoriali in entrata.

Collegando il funzionamento dell'occhio a quello della camera oscura, Leonardo procedette creando strani congegni ottici in grado di aumentare l'ampiezza del campo visivo; a tal proposito scriveva:

se torrai una mezza palla di vetro e metteravvi dentro il volto e stopperella bene alla                     congiunzione del viso e empierella di sottile acqua, vederai tutte le cose che son vedute dalla superficie d'essa palla, in modo quasi ti vederai dirieto alle spalli.  

Questi studi lo condussero infine al progetto del proiettore e alla costruzione di un congegno affine a un cannocchiale.  

Torna su

La velocità della luce  

Leonardo si rese conto che dai tempi degli antichi Greci la teoria dell'ottica aveva conosciuto pochi sviluppi, così si prefisse di formulare una nuova teoria della luce.

La prima conclusione originale di Leonardo fu che la velocità della luce avesse un valore finito.

Nel manoscritto F egli spiega che se si chiudono gli occhi e poi li si riaprono, la luce che si vede non è più quella di prima, cioè che quella che era un istante fa ora non è più.

Per confutare l'ipotesi delle particelle emesse dall'occhio sostiene che se davvero il meccanismo della vista fosse quello, aprendo gli occhi non sarebbe possibile vedere immediatamente gli oggetti lontani. Inoltre le particelle potrebbero essere deflesse dal vento, come accade ai profumi. Aggiunge che la luce dovrebbe avere il tempo necessario per viaggiare da una sorgente ai nostri occhi.

Solo nel 1697, osservando l'eclissi dei satelliti di Giove, l'astronomo Olaus Roemer scoprì che la velocità della luce è finita.

A partire dal suo studio, Leonardo arrivò a un'altra conclusione; mentre gli antichi sostenevano l'idea che per giungere a qualsiasi conclusione la natura seguisse sempre la via più facile e veloce. Partendo da tale convinzione, Leonardo concluse che ogni azione ha luogo seguendo la via più breve. A questa conclusione egli era giunto partendo dalla scoperta della velocità della luce.  

Torna su

Onde

Da Vinci capì chiaramente che la luce e il suono potevano viaggiare attraverso un mezzo, mediante quel che descrisse come tremito o una vibrazione, un processo che una volta innescato si ripete trasmettendo un segnale da un punto a un altro, attraverso la propagazione. Leonardo ne diede una descrizione nel seguente passo: 

se getterai in un medesimo tempo due piccole pietre alquanto distanti l'una dall'altra sopra un pelago d'acqua senza moto, tu vedrai causare intorno alle dette due pietre due sparate quantità di circoli, le quali quantità accrescendo, vengono a scontrasi insieme;(.) E la ragione è, che, benché ivi apparisca qualche semostrazione in movimento, l'acqua non si parte dal suo sito; perché l'aperture fatte dalle pietre subito si richiusero, e quel moto fatto dal subito aprire e serrare dell'acqua fa in lei certo riscotimento, che si può più tosto dimandare tremore che movimento. E che quello che io dico ti si facci più manifesto, poni mente a quelle festuche, che per loro leggierezza stanno sopra l'acqua, e vederai, che per l'onda  fatta sotto loro per l'accrescimento dei circoli, non si partono però dal loro sito. Essendo adunque questo tale risentimento d'acqua piuttosto tremore che movimento, non si possono, per incontrarsi, rompere l'un l'altro, perché, avendo l'acqua tutte le sue parti d'una medesima qualità, è necessario che le parti attacchino esso tremore l'un l'altra, senza mutarsi dal loro luogo, perché, stando l'acqua nel suo sito, facilmente può pigliare esso tremore dalle parti vicine, e porgerle all'altre vicine, sempre diminuendo sua potenza insino alla fine.  

Egli non vedeva alcuna differenza nel modo di comportarsi delle onde dell'acqua, del suono o della luce. In effetti, fedele alla sua ricerca a volte esasperata di un' "unificazione" nella natura, Leonardo si spinse troppo oltre e cercò di collegare l'odore alla luce e al calore, dichiarando:

 Si prova nel sole, il quale manda fori di sé di 2 ragioni spezie: la prima luminosa, l'altra del calore. (.) Che l'aria si attragga a sé come calamita tutte le similitudine delle cose che la circundano, né che le forme de' corpi ma ancora le nature, chiaramente s vede nel sole, il quale è corpo caldo e luminoso. Tutta l'aria che li è per obietto, tutta per tutto s'incorpora di lume e di calore e tutta riceve in sé la forma della cagione del calore e splendore e in ogni minima parte fa il simile. La tramontana dimostra per la calamita fare questo medesimo e luna e altri pianeti senza diminuzione da sé fa il simile. Infra le cose terrestre è fatto il simile dal moscato e altri odori.  

Leonardo anticipò Christiaan Huygens, che pubblico una sua teoria della natura ondulatoria della luce nel 1690.

Huygens non fece alcun cenno a un'onda trasversale provocata da una vibrazione, che è appunto quanto Leonardo descrive nel lungo passo citato sopra sulle increspature formate sulla superficie dell'acqua da un sasso lanciatovi dentro. Benché Leonardo non usi un termine preciso come onda trasversale, la sua descrizione è ugualmente completa e accurata.

In effetti, Huygens poteva benissimo essere a conoscenza del lavoro di Leonardo, perché qualche mese prima della pubblicazione del suo lavoro, aveva ricevuto una lettera dal fratello Costantino, il quale gli comunicava di aver comprato un manoscritto di Leonardo e in seguito gli forniva una breve descrizione del contenuto del documento , in particolare, delle descrizioni sulla prospettiva e delle teorie sulla luce e l'ombra.  

Torna su

Riflessione e Rifrazione

Nel 1491 Leonardo mise mano al suo primo taccuino in cui esplora la natura della luce e delle ombre e si pone degli interrogativi sul loro comportamento, fornendo poi alcuni suggerimenti per la costruzione di congegni ottici e riportando le sue ricerche sulla natura di fenomeni quali riflessione e rifrazione. Questo documento è oggi conosciuto come manoscritto C.

A Leonardo venne l'idea di osservare che cosa succede quando la luce passa attraverso un prisma improvvisato, forse perché si era imbattuto per caso in una manifestazione naturale del fenomeno. Questa osservazione era già stata fatta da molti prima di lui.

Egli disegnò un'accurata rappresentazione di quanto aveva osservato, prese nota delle sue scoperte poi cercò di collocarle nel sistema dell'ottica che si andava sviluppando.

Leonardo studiò anche il fenomeno della rifrazione, lo descrisse e basandosi su una serie di esperimenti ampliò le rudimentali osservazioni compiute nell'XI secolo da Alhazen.

Da questo Da Vinci riprese anche lo studio oggi noto come problema di Alhazen.  

Torna su

Problema di Alhazen

Il problema di Alhazen è la ricerca del cammino che un raggio luminoso deve percorrere perché giunga all'occhio da una sorgente data dopo aver subito una riflessione su uno specchio sferico.  

 

Nella prima asta, imperniata in Q (fisso sul piano), è praticata una scanalatura ove scivola il cursore A, al quale sono incernierate due aste uguali AB, AC. Altre due sbarre BM e CL (incernierate in B, C) si intersecano su un perno P (QP=cost.), formano un rombo articolato ABPC e sorreggono (nei tratti PM, PL) due scanalature. PM scivola attraverso un cursore S (fisso sul piano) che rappresenta la sorgente. Spostando PL fino a farla passare per l'occhio O, si risolve automaticamente il problema.  

*Per la risoluzione del problema Leonardo fece una macchina chiamata ELLISSIOGRAFO DI LEONARDO.

 

Ellissografo di Leonardo animazione

Il rombo articolato OABC ha il vertice O imperniato al piano del modello e il vertice opposto B vincolato a scorrere lungo la guida rettilinea g passante per O. Muovendo B lungo g, si osserva che i punti A e C descrivono, insieme, la semicirconferenza di centro O e raggio OA mentre ogni altro punto P dell'asta a (oppure Q dell'asta b) descrive la quarta parte di un'ellisse con centro in O e assi di simmetria coincidenti con g e con la retta r perpendicolare a g condotta per O. I punti E ed F rispettivamente delle aste a e b tali che AE=CF=OA descrivono un'ellisse degenere in un segmento della retta r.

Egli scoprì il fenomeno della rifrazione della luce da parte dell'atmosfera. Secoli dopo Tycho Brahe concluderà che i soli raggi di luce che viaggiano in linea retta nell'atmosfera sono quelli che si muovono lungo una traiettoria verticale rispetto alla superficie terrestre.

Un secolo prima Leonardo aveva già descritto perfettamente l'effetto:

Per vedere come li razzi solari penetrar questa curvità della spera dell'aria, fa fare due palle di vetro, maggiori due volte l'una dell'altra e che sian più tonde. Po' che taglia per mezzo e commetti l'una nell'altra e chiudi le fronti e empi d'acqua e falli passar entro il razzo solare, come di sopra facesti, e guarda se tal razzo si piega o si incurva e favvi su regola. E così puoi fare infite esperienze.

Il colore del cielo è un altro fenomeno spiegabile facendo ricorso ai principi dell'ottica. Nel codice Leicester, scriveva:

dico l'azzurro, (che) in che si mostra l'aria, non essere suo proprio colore, ma è causato da umidità calda, vaporata in minutissimi e sensibili attimi, le quale piglia dopo se la percussion de' razzi solari e fassi luminose sotto la oscurità delle immense tenebre della regione del fuoco, che di sopra le fa coperchio.  

Anche questo studio verrà approfondito da altri fisici e matematici anni dopo, ma Leonardo, come per quasi tutte le sue scoperte, anticipò di molto i tempi.

Torna su