LE MECANICHE
DELLE UTILITÀ CHE SI TRAGGONO DALLA SCIENZA MECANICA E DAI SUOI INSTRUMENTI.
Degno di grandissima considerazione mi è
parso, avanti che discendiamo alla speculazione delli strumenti
mecanici, il considerare in universale, e di mettere quasi inanzi
agli occhi, quali siano i commodi, che dai medesimi strumenti si
ritraggono: e ciò ho giudicato tanto più doversi fare, quanto
(se non m'inganno) più ho visto ingannarsi l'universale dei
mecanici, nel volere a molte operazioni, di sua natura
impossibili, applicare machine, dalla riuscita delle quali, ed
essi sono restati ingannati, ed altri parimente sono rimasti
defraudati della speranza, che sopra le promesse di quelli
avevano conceputa. Dei quali inganni parmi di avere compreso
essere principalmente cagione la credenza, che i detti artefici
hanno avuta ed hanno continuamente, di potere con poca forza
muovere ed alzare grandissimi pesi, ingannando, in un certo modo,
con le loro machine la natura; instinto della quale, anzi
fermissima constituzione, è che niuna resistenza possa essere
superata da forza, che di quella non sia più potente. La quale
credenza quanto sia falsa, spero con le dimostrazioni vere e
necessarie, che averemo nel progresso, di fare manifestissimo.
Tra tanto, poiché si è accennato, la utilità, che dalle
machine si trae, non essere di potere con piccola forza muovere,
col mezzo della machina, quei pesi, che senza essa non potriano
dalla medesima forza esser mossi, non sarà fuori di proposito
dichiarare, quali siano le commodità, che da tale facoltà ci
sono apportate: perché, quando niuno utile fusse da sperarne,
vana saria ogni fatica che nell'acquisto suo s'impiegasse.
Facendo dunque principio a tale considerazione, prima ci si fanno
avanti quattro cose da considerarsi: la prima è il peso da
trasferirsi di luogo a luogo; la seconda è la forza o potenza,
che deve muoverlo; terza è la distanza tra l'uno e l'altro
termine del moto; quarta è il tempo, nel quale tal mutazione
deve esser fatta; il qual tempo torna nell'istessa cosa con la
prestezza e velocità del moto, determinandosi, quel moto essere
di un altro più veloce, che in minor tempo passa eguale
distanza. Ora, assegnata qual si voglia resistenza determinata, e
limitata qualunque forza, e notata qual si voglia distanza, non
è dubbio alcuno, che sia per condurre la data forza il dato peso
alla determinata distanza; perciò che, quando bene la forza
fusse picciolissima, dividendosi il peso in molte particelle,
ciascheduna delle quali non resti superiore alla forza, e
transferendosene una per volta, arà finalmente condotto tutto il
peso allo statuito termine: né però nella fine dell'operazione
si potrà con ragione dire, quel gran peso esser stato mosso e
traslato da forza minore di sé, ma sì bene da forza la quale
più volte averà reiterato quel moto e spazio, che una sol volta
sarà stato da tutto il peso misurato. Dal che appare, la
velocità della forza essere stata tante volte superiore alla
resistenza del peso, quante esso peso è superiore alla forza;
poiché in quel tempo nel quale la forza movente ha molte volte
misurato l'intervallo tra i termini del moto, esso mobile lo
viene ad avere passato una sol volta: né per ciò si deve dire,
essersi superata gran resistenza con piccola forza, fuori della
constituzione della natura. Allora solamente si potria dire,
essersi superato il naturale instituto, quando la minor forza
trasferisse la maggiore resistenza con pari velocità di moto,
secondo il quale essa camina; il che assolutamente affermiamo
essere impossibile a farsi con qual si voglia machina, immaginata
o che immaginar si possa. Ma perché potria tal ora avvenire che,
avendo poca forza, ci bisognasse muovere un gran peso tutto
congiunto insieme, senza dividerlo in pezzi, in questa occasione
sarà necessario ricorrere alla machina: col mezzo della quale si
trasferirà il peso proposto nell'assegnato spazio dalla data
forza; ma non si leverà già, che la medesima forza non abbia a
caminare, misurando quel medesimo spazio od altro ad esso eguale,
tante e tante volte, per quante viene dal detto peso superata:
tal che nel fine dell'azione noi non ci troveremo avere dalla
machina ricevuto altro benefizio, che di trasportare il dato peso
con la data forza al dato termine tutto insieme; il qual peso
diviso in parti, senz'altra machina, dalla medesima forza, dentro
al medesimo tempo, per l'istesso intervallo, saria stato
trasferito. E questa deve essere per una delle utilità, che dal
mecanico si cavano, annoverata: perché invero spesse volte
occorre che, avendo scarsità di forza, ma non di tempo, ci
occorre muovere gran pesi tutti unitamente. Ma chi sperasse e
tentasse, per via di machine far l'istesso effetto senza crescere
tardità al mobile, questo certamente rimarrà ingannato, e
dimostrerà di non intendere la natura delli strumenti mecanici e
le ragioni delli effetti loro.
Un'altra utilità si trae dalli strumenti mecanici, la quale
depende dal luogo dove dev'essere fatta l'operazione: perché non
in tutti i luoghi, con eguale commodità, si adattano tutti li
strumenti. E così veggiamo (per dichiararci con qualche
essempio), che per cavar l'acqua da un pozzo ci serviremo di una
semplice corda con un vaso accommodato per ricevere e contenere
acqua, col quale attingeremo una determinata quantità di acqua
in un certo tempo con la nostra limitata forza: e qualunque
credesse di potere con machine di qual si voglia sorte cavare,
con l'istessa forza, nel medesimo tempo, maggior quantità di
acqua, costui è in grandissimo errore; e tanto più spesso e
tanto maggiormente si troverà ingannato, quanto più varie e
multiplicate invenzioni anderà imaginandosi. Con tutto ciò
veggiamo estrar l'acqua con altri strumenti, come con trombe per
seccare i fondi delle navi. Dove però è d'avvertire, non essere
state introdotte le trombe in simile uffizio, perché tragghino
copia maggiore di acqua, nell'istesso tempo, e con la medesima
forza, di quello che si faria con una semplice secchia, ma
solamente perché in tal luogo l'uso della secchia o d'altro
simile vaso non potria fare l'effetto che si desidera, che è di
tenere asciutta la sentina da ogni piccola quantità di acqua; il
che non può fare la secchia, per non si potere tuffare e
demergere dove non sia notabile altezza di acqua. E così
veggiamo col medesimo stromento asciugarsi le cantine, di dove
non si possa estrar l'acqua se non obliquamente; il che non faria
l'uso ordinario della secchia, la quale si alza ed abbassa con la
sua corda perpendicolarmente.
Il terzo, e per avventura maggior commodo delli altri che ci
apportano li stromenti mecanici, è rispetto al movente,
valendoci o di qualche forza inanimata, come del corso di un
fiume, o pure di forza animata, ma di minor spesa assai di quella
che saria necessaria per mantenere possanza umana: come quando
per volgere mulini ci serviremo del corso di un fiume, o della
forza di un cavallo per far quell'effetto, al quale non basteria
il potere di quattro o sei uomini. E per questa via potremo
ancora vantaggiarci nell'alzar acque o fare altre forze
gagliarde, le quali da uomini senz'altri ordigni sariano
esseguite, perché con un semplice vaso potrian pigliar acqua ed
alzarla e votarla dove fa bisogno: ma perché il cavallo, o altro
simile motore, manca del discorso e di quelli strumenti che si
ricercano per apprendere il vaso ed a tempo votarlo, tornando poi
a riempirlo, e solamente abbonda di forza, per ciò è necessario
che il mecanico supplisca con suoi ordigni al natural difetto di
quel motore, somministrandogli artificii ed invenzioni tali, che,
con la sola applicazione della forza sua, possa esseguire
l'effetto desiderato. Ed in ciò è grandissimo utile: non
perché quelle ruote o altre machine faccino che con minor forza,
e con maggior prestezza, o per maggior intervallo, si trasporti
il medesimo peso, di quello che, senza tali instrumenti, eguale
ma giudiziosa e bene organizzata forza potria fare; ma sì bene
perché la caduta di un fiume o niente o poco costa, ed il
mantenimento di un cavallo o di altro simile animale, la cui
forza supererà quella di otto e forse più uomini, è di lunga
mano di minor dispendio, che quello non saria che potesse
sostentare e mantenere li detti uomini.
Queste dunque sono le utilità che dai mecanici instrumenti si
caveranno, e non quelle che, con inganno di tanti principi e con
loro propria vergogna, si vanno sognando i poco intendenti
ingegneri, mentre si vogliono applicare a imprese impossibili.
Dal che, e per questo poco che si è accennato, e per quel molto
che si dimostrerà nel progresso di questo trattato, verremo noi
assicurati, se attentamente apprenderemo quanto si ha da dire.
DIFFINIZIONI.
Quello che in tutte le scienze demostrative è
necessario di osservarsi, doviamo noi ancora in questo trattato
seguitare: che è di proporre le diffinizioni dei termini proprii
di questa facultà, e le prime supposizioni, delle quali, come da
fecondissimi semi, pullulano e scaturiscono consequentemente le
cause e le vere demonstrazioni delle proprietà di tutti
gl'instrumenti mecanici. I quali servono per lo più intorno ai
moti delle cose gravi; però determineremo primamente quello che
sia gravità.
Adimandiamo adunque gravità quella propensione di muoversi
naturalmente al basso, la quale, nei corpi solidi, si ritrova
cagionata dalla maggiore o minore copia di materia, dalla quale
vengono constituiti.
Momento è la propensione di andare al basso, cagionata non tanto
dalla gravità del mobile, quanto dalla disposizione che abbino
tra di loro diversi corpi gravi; mediante il qual momento si
vedrà molte volte un corpo men grave contrapesare un altro di
maggior gravità: come nella stadera si vede un picciolo
contrapeso alzare un altro peso grandissimo, non per eccesso di
gravità, ma sì bene per la lontananza dal punto donde viene
sostenuta la stadera; la quale, congiunta con la gravità del
minor peso, gli accresce momento ed impeto di andare al basso,
col quale può eccedere il momento dell'altro maggior grave. È
dunque il momento quell'impeto di andare al basso, composto di
gravità, posizione e di altro, dal che possa essere tal
propensione cagionata.
Centro della gravità si diffinisce essere in ogni corpo grave
quel punto, intorno al quale consistono parti di eguali momenti:
sì che, imaginandoci tale grave essere dal detto punto sospeso e
sostenuto, le parti destre equilibreranno le sinistre, le
anteriori le posteriori, e quelle di sopra quelle di sotto; sì
che il detto grave, così sostenuto, non inclinerà da parte
alcuna, ma, collocato in qual si voglia sito e disposizione,
purché sospeso dal detto centro, rimarrà saldo. E questo è
quel punto, il quale anderebbe ad unirsi col centro universale
delle cose gravi, ciò è con quello della terra, quando in
qualche mezzo libero potesse descendervi.
Dal che caveremo noi questa supposizione: Qualunque grave
muoversi al basso così, che il centro della sua gravità non
esca mai fuori di quella linea retta, che da esso centro, posto
nel primo termine del moto, si produce insino al centro
universale delle cose gravi. Il che è molto ragionevolmente
supposto: perché, dovendo esso solo centro andarsi ad unire col
centro comune, è necessario, non essendo impedito, che vadia a
trovarlo per la brevissima linea, che è la sola retta. E di più
possiamo, secondariamente, supporre: Ciascheduno corpo grave
gravitare massimamente sopra il centro della sua gravità, ed in
esso, come in proprio seggio, raccòrsi ogni impeto, ogni
gravezza, ed in somma ogni momento. Suppongasi finalmente: Il
centro della gravità di due corpi egualmente gravi essere nel
mezzo di quella linea retta, la quale li detti due centri
congiunge; o veramente, due pesi eguali sospesi in distanze
eguali avere il punto dell'equilibrio nel commune congiungimento
di esse uguali distanze: come, per essempio [v. figura 1], sendo
la distanza CE eguale alla distanza
ED, e da esse sospesi due pesi eguali,
A, B, supponghiamo il punto
dell'equilibrio essere nel punto E, non
essendo maggior ragione di inclinare da una che dall'altra parte.
Ma qui è d'avvertire, come tali distanze si devono misurare con
linee perpendicolari, le quali dal punto della suspensione
caschino sopra le linee rette, che dai centri della gravità
delli due pesi si tirano al centro commune delle cose gravi. E
però, se la distanza ED fusse trasportata in
EF, il peso B non
contrapeserebbe il peso A; perché tirandosi
dai centri della gravità due linee rette al centro della terra,
vedremo quella che viene dal centro del peso I
esser più vicina al punto E, dell'altra
prodotta dal centro del peso A. Devesi dunque
intendere, i pesi eguali esser sospesi da distanze eguali, ogni
volta che le linee rette, che dai loro centri vanno a trovare il
centro commune delle cose gravi, saranno egualmente lontane da
quella linea retta, che dal termine di esse distanze, ciò è dal
punto della suspensione, si produce al medesimo centro della
terra.
Determinate e supposte queste cose, verremo all'esplicazione di
un comunissimo e principalissimo principio di buona parte delli
strumenti mecanici, dimostrando come pesi diseguali pendenti da
distanze diseguali peseranno egualmente, ogni volta che dette
distanze abbino contraria proporzione di quella che hanno i pesi.
Che pesi diseguali pesino egualmente, sospesi da distanze
diseguali, le quali abbino contraria proporzione di quella che
essi pesi si ritrovano avere, non solamente dimostreremo esser
vero in quel modo che siamo certi della verità del principio
posto sopra, dove si suppose pesi eguali pesare egualmente da
distanze eguali; ma dimostreremo essere la medesima cosa per
l'appunto, e che altro non è sospendere pesi diseguali da
distanze di contraria proporzione, che pesi eguali da distanze
eguali.
[v. figura 2]
Intendasi dunque il solido grave CDFE, di
gravità omogenea in tutte le sue parti, ed egualmente grosso per
tutto, qual saria una figura colonnare o altra simile, il quale
dalli estremi punti C, D
sia sospeso dalla linea AB, eguale all'altezza
del solido. Or dividendo essa linea AB
egualmente nel punto G, e da esso
sospendendola, non è dubbio alcuno che in esso punto
G si farà l'equilibrio: perché la linea che
da esso punto si tirasse rettamente al centro della terra,
passerebbe per il centro della gravità del solido
CF, e di esso intorno a detta linea
consisterebbono parti di eguali momenti, e saria il medesimo che
se dai punti A, B
pendessero due metà del grave CF. Intendasi
adesso, esser detto grave secondo la linea IS
tagliato in due parti diseguali; è manifesto che la parte
CS, come ancora l'altra SD,
non staranno più in tale sito, non avendo altri sostegni che li
due legami AC, BD. Però,
venendo al punto I, intendasi aggiunto un
nuovo legame, il quale fermato al punto H,
perpendicolarmente sopraposto al taglio IS,
sostenga comunemente nel pristino stato l'una e l'altra parte del
solido: dal che ne séguita che non si essendo fatta mutazione
alcuna, o di gravità o di sito, nelle parti del solido rispetto
alla linea AB, l'istesso punto
G resterà centro dell'equilibrio, come da
principio è stato. In oltre, essendo che la parte del solido
CS è connessa alla libra mediante li due
legami CA, IH, non è
dubbio alcuno che se, tagliando detti due legami, ne aggiungeremo
un solo MK, da essi due egualmente distante,
trovandosi sotto di esso il centro della gravità del solido
CS, non si muterà o moverà di sito, ma
salverà l'istessa abitudine alla linea AH; e
fatto l'istesso dall'altra parte IF, ciò è
rotti i legami HI, BD ed
aggiunto in mezzo il solo appendicolo NL, è
parimente manifesto non esser lui per variare sito o disposizione
rispetto alla libra AB: sì che, stando le
parti di tutto il solido CF col medesimo
rispetto alla libra AB che sempre son state,
pendendo l'una, CS, dal punto
M, e l'altra, SD, dal punto
N, non è dubbio l'equilibrio farsi ancora dal
punto medesimo G. E già comincierà ad
apparire, come, pendendo dagli estremi termini della linea
MN li due gravi, CS,
maggiore, ed SD, minore, doventano di eguali
momenti, e generano l'equilibrio nel punto G,
facendo GN distanza maggiore della
GM: e solo rimane, per esseguire compitamente
il nostro intento, che dimostriamo, qual proporzione si trova fra
il peso CS ed il peso SD,
tale ritrovarsi tra la distanza NG e
GM; il che non sarà difficile dimostrare. Per
ciò che, essendo la linea MH metà
dell'HA, e la NH metà
della HB, sarà tutta la MN
metà della total linea AB; della quale è
metà ancora BG; onde esse due
MN, GB saranno tra sé
eguali: dalle quali trattone la comune parte
GN, sarà la rimanente MG
eguale alla rimanente NB; a cui è parimente
eguale la NH; onde esse MG,
NH, saranno ancora eguali; e posta
communemente la parte GH, sarà la
MH eguale alla GN. Ed
avendo già dimostrato, MG agguagliare
HN, qual proporzione avrà la linea
MH alla HN, tale averà la
NG distanza alla distanza
GM: ma la proporzione MH ad
HN è quella che ha KI a
IL, e la doppia CI alla
doppia ID, ed in somma il solido
CS al solido SD (dei quali
solidi le linee CI, ID sono
altezze): adunque si conclude, la proporzione della distanza
NG alla distanza GM esser
l'istessa che ha la grandezza del solido CS
alla grandezza del solido SD; la quale, come
è manifesto, è quell'istessa che hanno le gravità dei medesimi
solidi.
E da quanto si è detto parmi che apertamente si comprenda, come
gli due gravi diseguali CS,
SD non pure pesino egualmente pendendo da
distanze le quali contrariamente abbino la medesima proporzione,
ma di più come, in rei natura, sia il
medesimo effetto, che se in distanze eguali si sospendessero pesi
eguali: essendo che la gravità del peso CS in
un certo modo virtualmente si diffonde oltre il sostegno
G, e l'altra del peso SD
dal medesimo si ritira, come, essaminando bene quanto si è detto
circa la presente figura, ogni speculativo giudizio può
comprendere. E, stante la medesima gravità dei pesi ed i
medesimi termini delle suspensioni, quando bene si variassero le
loro figure, riducendole in forme sferiche, conforme alle due
X, Z, o in altre, non si
dubiterà che il medesimo equilibrio sia per seguire; essendo la
figura accidente di qualità ed impotente ad alterare la
gravezza, che più presto dalla quantità deriva. Onde
universalmente concluderemo, esser verissimo che pesi diseguali
pesino egualmente, sospesi contrariamente da distanze diseguali,
che abbino l'istessa proporzione dei pesi.
ALCUNI AVVERTIMENTI CIRCA LE COSE DETTE.
Avendo noi mostrato come i momenti di pesi
diseguali vengono pareggiati dall'essere sospesi contrariamente
in distanze che abbino la medesima proporzione, non mi pare di
doversi passar con silenzio un'altra congruenza e probabilità,
dalla quale ci può ragionevolmente essere confermata la medesima
verità.
[v. figura 3]
Però che, considerisi la libra AB divisa in
parti diseguali nel punto C, ed i pesi, della
medesima proporzione che hanno le distanze BC,
CA, alternatamente sospesi dalli punti
A, B: è già manifesto
come l'uno contrapeserà l'altro, e, per consequenza, come, se a
uno di essi fusse aggiunto un minimo momento di gravità, si
moverebbe al basso inalzando l'altro; sì che, aggiunto
insensibile peso al grave B, si moveria la
libra, discendendo il punto B verso
E, ed ascendendo l'altra estremità
A in D. E perché, per fare
descendere il peso B, ogni minima gravità
accresciutagli è bastante, però, non tenendo noi conto di
questo insensibile, non faremo differenza dal potere un peso
sostenere un altro al poterlo movere. Ora, considerisi il moto
che fa il grave B, discendendo in
E, e quello che fa l'altro
A, ascendendo in D; e
troveremo senza alcun dubbio, tanto esser maggiore lo spazio
BE dello spazio AD, quanto
la distanza BC è maggiore della
CA; formandosi nel centro C
due angoli, DCA ed ECB,
eguali per essere alla cima, e, per conseguenza, due
circonferenze, BE, AD,
simili, e aventi tra di sé l'istessa proporzione delli
semidiametri BC, CA, dai
quali vengono descritte. Viene adunque ad essere la velocità del
moto del grave B, discendente, tanto superiore
alla velocità dell'altro mobile A,
ascendente, quanto la gravità di questo eccede la gravità di
quello; né potendo essere alzato il peso A in
D, benché lentamente, se l'altro grave
B non si muove in E
velocemente, non sarà maraviglia, né alieno dalla costituzione
naturale, che la velocità del moto del grave
B compensi la maggior resistenza del peso
A, mentre egli in D
pigramente si muove e l'altro in E velocemente
descende. E così, all'incontro, posto il grave
A nel punto D e l'altro nel
punto E, non sarà fuor di ragione che quello
possa, calando tardamente in A, alzare
velocemente l'altro in B, ristorando, con la
sua gravità, quello che per la tardità del moto viene a
perdere. E da questo discorso possiamo venire in cognizione, come
la velocità del moto sia potente ad accrescere momento nel
mobile, secondo quella medesima proporzione con la quale essa
velocità di moto viene augumentata.
Un'altra cosa, prima che più oltre si proceda, bisogna che sia
considerata; e questa è intorno alle distanze, nelle quali i
gravi vengono appesi: per ciò che molto importa il sapere come
s'intendano distanze eguali e diseguali, ed in somma in qual
maniera devono misurarsi. [v. figura 4] Imperò che, essendo la
linea retta AB, e dalli estremi punti di essa
pendendo due eguali pesi, preso il punto C nel
mezzo di essa linea, si farà sopra di esso l'equilibrio; e
questo, per essere la distanza AC eguale alla
distanza CB. Ma se, elevando la linea
CB e girandola intorno al punto
C, sarà trasferita in CD,
sì che la libra resti secondo le due linee
AC, CD, gli due eguali pesi
pendenti dai termini A, D
non più peseranno egualmente sopra il punto
C; perché la distanza del peso posto in
D è fatta minor di quello che era mentre si
ritrovava in B. Imperò che, se considereremo
le linee per le quali i detti gravi fanno impeto, e
discenderebbono quando liberamente si movessero, non è dubbio
alcuno che sariano le linee AG,
DF, BH: fa dunque momento
ed impeto il peso pendente dal punto D secondo
la linea DF; ma quando pendeva dal punto
B, faceva impeto nella linea
BH; e perché essa linea DF
resta più vicina al sostegno C di quello che
faccia la linea BH, perciò doviamo intendere,
gli pesi pendenti dalli punti A,
D non essere in distanze eguali dal punto
C, ma sì bene quando saranno constituiti
secondo la linea retta ACB. E finalmente si
deve aver avvertenza di misurare le distanze con linee, che ad
angoli retti caschino sopra quelle nelle quali i gravi stanno
pendenti, e si moveriano quando liberamente scendessero.
DELLA STADERA E DELLA LIEVA.
L'aver inteso con certa dimostrazione uno dei
primi principii, dal quale, come da fecondissimo fonte, derivano
molti delli strumenti mecanici, sarà cagione di potere senza
difficoltà alcuna venire in cognizione della natura di essi.
E prima, parlando della stadera, stromento usitatissimo, col
quale si pesano diverse mercanzie, sostenendole, benché
gravissime, col peso d'un picciolo contrapeso, il quale
volgarmente adimandano romano, proveremo, in
tale operazione nient'altro farsi, che ridurre in atto pratico
quel tanto che di sopra abbiamo speculato. Imperò che, se
intenderemo la stadera AB, [v. figura 5] il
cui sostegno, altrimenti detto trutina, sia
nel punto C, fuori del quale dalla piccola
distanza CA penda il grave peso
D, e nell'altra maggiore
CB, che ago della stadera
si adomanda, discorra inanzi ed indietro il romano
E, ancorché di piccol peso in comparazione
del grave D, si potrà nulla di meno discostar
tanto dalla trutina C, che qual proporzione si
trova tra li due gravi D,
E, tale sia tra le distanze
FC, CA; ed allora si farà
l'equilibrio, trovandosi pesi ineguali alternamente pendenti da
distanze ad essi proporzionali.
Né questo instrumento è differente da quell'altro, che
vette e, volgarmente, lieva
si adimanda; col quale si muovono grandissime pietre ed altri
pesi con poca forza. L'applicazione del quale è secondo la
figura posta qui appresso [v. figura 6]: dove la lieva sarà
notata per la stanga, di legno o altra salda materia,
BCD; il grave peso da alzarsi sia
A; ed un fermo appoggio o sostegno, sopra il
quale calchi e si muova la lieva, sia notato
E. E sottoponendo al peso A
una estremità della lieva, come si vede nel punto
B, gravando la forza nell'altra estremità
D, potrà, ancorché poca, sollevare il peso
A, tutta volta che qual proporzione ha la
distanza BC alla distanza
CD, tale abbia la forza posta in
D, alla resistenza che fa il grave
A sopra il punto B. Per lo
che si fa chiaro, che quanto più il sostegno
E si avvicinerà all'estremità
B, crescendo la proporzione della distanza
DC alla distanza CB, tanto
si potrà diminuire la forza in D per levare
il peso A.
E qui si deve notare (il che anco a suo luogo si anderà
avvertendo intorno a tutti gli altri strumenti mecanici), che la
utilità, che si trae da tale strumento, non è quella che i
volgari mecanici si persuadono, ciò è che si venga a superare,
ed in un certo modo ingannare, la natura, vincendo con piccola
forza una resistenza grandissima con l'intervento del vette;
perché dimostreremo, che senza l'aiuto della lunghezza della
lieva si saria, con la medesima forza, dentro al medesimo tempo,
fatto il medesimo effetto. Imperò che, ripigliando la medesima
lieva BCD [v. figura 7], della quale sia
C il sostegno, e la distanza
CD pongasi, per essempio, quintupla alla
distanza CB, e mossa la lieva sin che pervenga
al sito ICG, quando la forza avrà passato lo
spazio DI, il peso sarà stato mosso dal
B in G; e perché la
distanza DC, si è posta esser quintupla
dell'altra CB, è manifesto, dalle cose
dimostrate, potere essere il peso, posto in B,
cinque volte maggiore della forza movente, posta in
D. Ma se, all'incontro, porremo mente al
camino che fa la forza da D in
I, mentre che il peso vien mosso da
B in G, cognosceremo
parimente il viaggio DI esser quintuplo allo
spazio BG: in oltre, se piglieremo la distanza
CL eguale alla distanza CB,
posta la medesima forza, che fu in D, nel
punto L, e nel punto B la
quinta parte solamente del peso che prima vi fu messo, non è
alcun dubbio, che, divenuta la forza in L
eguale a questo peso in B, ed essendo eguali
le distanze LC, CB, potrà
la detta forza, mossa per lo spazio LM,
trasferire il peso a sé eguale per l'altro eguale intervallo
BG; e che reiterando cinque volte questa
medesima azione, trasferirà tutte le parti del detto peso al
medesimo termine G. Ma il replicare lo spazio
ML niente per certo è di più o di meno che
il misurare una sol volta l'intervallo DI,
quintuplo di esso LM: adunque il trasferire il
peso da B in G non ricerca
forza minore, o minor tempo, o più breve viaggio, se quella si
ponga in D, di quello che faccia di bisogno
quando la medesima fosse applicata in L. Ed
insomma il commodo, che si acquista dal benefizio della lunghezza
della lieva CD non è altro che il potere
muovere tutto insieme quel corpo grave, il quale dalla medesima
forza, dentro al medesimo tempo, con moto eguale, non saria, se
non in pezzi, senza il benefizio del vette, potuto condursi.
DELL'ASSE NELLA RUOTA E DELL'ARGANO.
Gli due strumenti, la natura dei quali siamo
per dichiarare al presente, dependono immediatamente dalla lieva,
anzi non sono altro che un vette perpetuo. Imperò che se
intenderemo la lieva BAC [v. figura 8]
sostenuta nel punto A, ed il peso
G pendente dal punto B,
essendo la forza posta in C, è manifesto che,
trasferendo la lieva nel sito DAE, il peso
G si alzerà secondo la distanza
BD, ma non molto più si potria seguitare di
elevarlo: sì che volendo pure alzarlo ancora, saria necessario,
fermandolo con qualch'altro sostegno in questo sito, rimettere la
lieva nel pristino sito BAC, ed, apprendendo
di nuovo il peso, rialzarlo un'altra volta in simile altezza
BD; ed in questa guisa, reiterando l'istesso
molte volte, si verria con moto interrotto a fare l'elevazione
del peso; il che torneria per diversi rispetti non molto commodo.
Onde si è sovvenuto a questa difficoltà col trovar modo di unir
insieme quasi che infinite lieve, perpetuando l'operazione senza
interrompimento veruno: e ciò si è fatto col formare una ruota
intorno al centro A, secondo il semidiametro
AC, ed un asse intorno al medesimo centro, del
quale sia semidiametro la linea BA, e tutto
questo di legno forte o di altra materia ferma e salda;
sostenendo poi tutta la machina con un perno piantato nel centro
A, che passi dall'una all'altra parte, dove
sia da due fermi sostegni ritenuto. E circondata intorno all'asse
la corda DBG, da cui penda il peso
G, ed applicando un'altra corda intorno alla
maggior ruota, alla quale sia appeso l'altro grave
I, è manifesto che, avendo la lunghezza
CA all'altra AB quella
proporzione medesima che il peso G al peso
I, potrà esso I sostenere
il grave G, e con ogni piccolo momento di più
lo moverà. E perché, volgendosi l'asse insieme con la ruota, le
corde, che sostengono pesi, si troveranno sempre pendenti e
contingenti l'estreme circonferenze di essa ruota ed asse, sì
che sempre manterranno un simile sito e disposizione alle
distanze BA, AC, si verrà
a perpetuare il moto, discendendo il peso I, e
costringendo a montare l'altro G. Dove si deve
notare la necessità di circondare la corda intorno alla ruota,
acciò che il peso I penda secondo la linea
contingente la circonferenza di detta ruota: ché se si
sospendesse il medesimo peso sì che dipendesse dal punto
F, segando detta ruota, come si vede, per la
linea FNM, non più si faria il moto, sendo
diminuito il momento del peso M, il quale non
graverebbe più che se pendesse dal punto N;
perché la distanza della sua sospensione dal centro
A viene determinata dalla linea
AN, che perpendicolarmente casca sopra la
corda FM, e non più dal semidiametro della
ruota AF, il quale ad angoli diseguali casca
sopra la detta linea FM. Facendosi dunque
forza nella circonferenza della ruota da corpo grave ed
inanimato, il quale non abbia altro impeto che di andare al
basso, è necessario che sia sospeso da una linea, la quale sia
contingente della ruota, e non che la seghi. Ma se nella medesima
circonferenza fusse applicata forza animata, la quale avesse
momento di far impeto per tutti i versi, potria far l'effetto
constituita in qual si voglia luogo di detta circonferenza: e
così, posta in F leverebbe il peso
G col volgere intorno la ruota, tirando non,
secondo la linea FM, al basso, ma in traverso,
secondo la contingente FL, la quale farà
angolo retto con quella che dal centro A si
tira al punto del contatto; perché, venendo in questa forma
misurata la distanza dal centro A alla forza
posta in F secondo la linea
AF, perpendicolare alla FL,
per la quale si fa l'impeto, non si verrà ad avere alterata in
parte alcuna la forma dell'uso della lieva. E notisi, che
l'istesso si saria potuto fare ancora con una forza inanimata;
pur che si fusse trovato modo di far sì, che il suo momento
facesse impeto nel punto F, attraendo secondo
la linea contingente FL: il che si faria con
l'aggiungere sotto la linea FL una girella
volubile, facendo passare sopra di essa la corda avvolta intorno
alla ruota, come si vede per la linea FLX,
sospendendogli nell'estremità il peso X,
eguale all'altro I, il quale, essercitando la
sua forza secondo la linea FL, verrà a
conservare dal centro A distanza sempre eguale
al semidiametro della ruota. E da quanto si è dichiarato, ne
raccoglieremo per conclusione, in questo stromento la forza al
peso aver sempre l'istessa proporzione, che il semidiametro
dell'asse al semidiametro della ruota.
Dallo stromento esplicato non molto è differente, in quanto alla
forma, l'altro stromento, il quale adimanderemo
argano; anzi non in altro differisce che nel
modo dell'applicarlo, essendo che l'asse nella ruota va mosso e
costituito eretto all'orizonte, e l'argano lavora col suo movente
paralello al medesimo orizonte. Imperò che, se intenderemo sopra
il cerchio DAE [v. figura 9] essere posto un
asse di figura colonnare, volubile intorno al centro
B, e circa ad esso avvolta la corda
DH, legata al peso da trainarsi, se in detto
asse si inserirà la stanga FEBD, e che nella
sua estremità F venga applicata la forza di
un uomo, o vero di un cavallo, o di altro animale atto nato a
tirare, il quale, movendosi in giro, camini sopra la
circonferenza del cerchio FGC, si viene ad
aver formato e fabricato l'argano: sì che nel condurre intorno
la stanga FBD girerà ancora l'asse o ceppo
dell'argano EAD, e dalla corda, che intorno ad
esso si avvolgerà, sarà costretto a venire avanti il grave
H. E perché il punto del sostegno, intorno al
quale si fa il moto, è il centro B, e da esso
si allontana il movente secondo la linea BF,
ed il resistente per l'intervallo BD, si viene
a formare la lieva FBD, in virtù della quale
la forza acquista momento eguale alla resistenza, tuttavolta che
ad essa abbia la proporzione che si trova avere la linea
DB alla BF, ciò è il
semidiametro dell'asse al semidiametro del cerchio, nella cui
circonferenza si muove la forza. Ed in questo e nell'altro
stromento si noti quello che più volte si è detto: ciò è,
l'utilità che da queste machine si trae non esser quella che
comunemente, ingannandosi, crede il volgo dei mecanici, ciò è
che, defraudando la natura, si possa con machine superare la sua
resistenza, ancorché grande, con piccola forza; essendo che noi
faremo manifesto come la medesima forza posta in
F, nel medesimo tempo, facendo il medesimo
moto, condurrà il medesimo peso nella medesima distanza senza
machina alcuna. Essendo che, posto, per essempio, che la
resistenza del grave H, sia dieci volte
maggiore della forza posta in F, farà di
bisogno, per muovere detta resistenza, che la linea
FB sia decupla della BD, e,
per consequenza, che la circonferenza del cerchio
FGC sia altresì decupla alla circonferenza
EAD. E perché, quando la forza si sarà mossa
una volta per tutta la circonferenza del cerchio
FGC, l'asse EAD intorno al
quale si avvolge la corda attraente il peso, averà parimente
data una sol volta, è manifesto che il peso H
non si sarà mosso più che la decima parte di quello che averà
caminato il movente. Se dunque la forza per far muovere una
resistenza maggiore di sé per un dato spazio, col mezzo di
questa machina, ha bisogno di muoversi dieci volte tanto, non è
dubbio alcuno che, dividendo quel peso in dieci parti, ciascuna
di esse saria stata eguale alla forza, e, per consequenza, ne
averia possuto trasportare una volta per tanto intervallo, per
quanto lei stessa si moverà; sì che facendo dieci viaggi,
ciascheduno eguale alla circonferenza AED, non
averia caminato più che movendosi una volta sola per la
circonferenza FGC, ed averia condotto il
medesimo peso H nella medesima distanza. Il
commodo, dunque, che si trae da queste machine, è di condurre
tutto il peso unito, ma non con manco fatica, o con maggior
prestezza, o per maggior intervallo, di quello che la medesima
forza potesse fare conducendolo a parte a parte.
DELLE TAGLIE.
Li strumenti, la natura dei quali si può
ridurre, come a suo principio e fondamento, alla libra, sono li
già dichiarati, ed altri pochissimo da quelli differenti. Ora,
per intendere quello che si ha da dire circa la natura delle
taglie, fa di bisogno che speculiamo prima un altro modo di usare
il vette, il quale ci conferirà molto all'investigazione della
forza delle taglie, ed all'intelligenza d'altri effetti mecanici.
L'uso della lieva di sopra dichiarato poneva in una delle sue
estremità il peso, e nell'altra la forza; ed il sostegno veniva
collocato in qualche luogo tra le estremità. Ma possiamo
servirci della lieva in un altro modo ancora, ponendo, come si
vede nella presente figura [v. figura 10], il sostegno nella
estremità A, la forza nell'altra estremità
C, ed il peso D pendente da
qualche punto di mezzo, come si vede nel punto
B. Nel qual modo è chiara cosa, che se il
peso pendesse da un punto egualmente distante dalli due estremi
A, C, come dal punto
F, la fatica di sostenerlo saria egualmente
divisa tra li due punti A,
C, sì che la metà del peso saria sentito
dalla forza C, sendo l'altra metà sostenuta
dal sostegno A; ma se il grave sarà appeso in
altro luogo, come dal B, mostreremo la forza
in C esser bastante a sostener il peso posto
in B, tutta volta che ad esso abbia quella
proporzione, che ha la distanza AB alla
distanza AC. Per dimostrazione di che,
immaginiamo la linea BA essere prolungata
rettamente in G, e sia la distanza
BA eguale alla AG, ed il
peso E, pendente in G,
pongasi eguale ad esso D: è manifesto come,
per la egualità dei pesi E,
D e delle distanze GA,
AB, il momento del peso E
agguaglierà il momento del peso D, ed essere
bastante a sostenerlo: adunque qualunque forza averà momento
eguale a quello del peso E, e che potrà
sostenerlo, sarà bastante ancora a sostenere il peso
D. Ma per sostenere il peso
E, ponendosi nel punto C
forza tale, il cui momento al peso E abbia
quella proporzione che ha la distanza GA alla
distanza AC, è bastante a sostenerlo: sarà
dunque la medesima forza potente ancora a sostenere il peso
D, il cui momento agguaglia quello del peso
E. Ma la proporzione, che ha la linea
GA alla linea AC, ha ancora
AB alla medesima, essendosi posta
GA eguale ad AB; e perché
li pesi E, D sono eguali,
averà ciascheduno di loro alla forza posta in
C l'istessa proporzione: adunque si conclude,
la forza in C agguagliare il momento del peso
D, ogni volta che ad esso abbia quella
proporzione, che ha la distanza BA alla
distanza CA. E nel muovere il peso con la
lieva usata in questo modo, comprendesi, come negli altri
strumenti, in questo ancora, quanto si guadagna di forza, tanto
perdersi di velocità. Imperò che, levando la forza
C il vette, e trasferendolo in
AI, il peso vien mosso per l'intervallo
BH; il quale è tanto minore dello spazio
CI passato dalla forza, quanto la distanza
AB è minore della distanza
AC, ciò è quanto essa forza è minore del
peso.
Dichiarati questi principii, passeremo alla speculazione delle
taglie; delle quali la struttura e composizione si dichiarerà
insieme con li loro usi. E prima intendasi la girella
ABC [v. figura 11], fatta di metallo o legno
duro, volubile intorno al suo assetto, che passi per il suo
centro D, ed intorno a questa girella posta la
corda EABCF, da un capo della quale penda il
peso E, e dall'altro intendasi la forza
F: dico, il peso essere sostenuto da forza
eguale a sé medesimo, né la girella superiore
ABC apportare benefizio alcuno circa il
muovere o sostenere il detto peso con la forza posta in
F. Imperò che se intenderemo dal centro
D, che è in luogo di sostegno, esser tirate
due linee sino alla circonferenza della girella ai punti
A, C, nei quali le corde
pendenti toccano la circonferenza, averemo una libra di braccia
eguali, essendo li semidiametri DA,
DC eguali, li quali determinano le distanze
delle due suspensioni dal centro e sostegno D;
onde è manifesto, il peso pendente da A non
poter essere sostenuto da peso minore pendente da
C, ma sì bene da eguale, perché tale è la
natura dei pesi eguali, pendenti da distanze eguali: ed ancorché
nel muoversi a basso la forza F si venga a
girare intorno la girella ABC, non però si
muta l'abitudine e rispetto, che il peso e la forza hanno alle
due distanze AD, DC; anzi
la girella circondotta doventa una libra simile alla
AC, ma perpetuata. Dal che possiamo
comprendere quanto puerilmente s'ingannasse Aristotile, il quale
stimò che, col far maggiore la girella ABC,
si potesse con manco fatica levare il peso, considerando come
all'accrescimento di tale girella si accresceva la distanza
DC; ma non considerò che altrettanto si
cresceva l'altra distanza del peso, ciò è l'altro semidiametro
DA. Il benefizio, dunque, che da tale
stromento si possa trarre, è nullo in quanto alla diminuzione
della fatica. E se alcuno dimandasse, onde avvenga che in molte
occasioni di levar pesi si serva l'arte di questo mezzo, come,
per essempio, si vede nell'attinger l'acqua dei pozzi, si deve
rispondere, ciò farsi perché in questa maniera il modo
dell'essercitar ed applicar la forza ci torna più commodo;
perché, dovendo tirare all'in giù, la propria gravità delle
nostre braccia e delli altri membri ci aiuta; dove che
bisognandoci tirare all'in su con una semplice corda il medesimo
peso, col solo vigore dei membri e dei muscoli, e, come si dice,
per forza di braccia, oltre al peso esterno doviamo sollevare il
peso delle proprie braccia, nel che si ricerca fatica maggiore.
Concludasi dunque, questa girella superiore non apportare
facilità alcuna alla forza semplicemente considerata, ma
solamente al modo di applicarla.
Ma se ci serviremo di una simile machina in altra maniera, come
al presente siamo per dichiarare, potremo levare il peso con
diminuzione di forza. Imperò che sia la girella
BDC [v. figura 12] volubile intorno al centro
E, collocata nella sua cassa o armatura
BLC, dalla quale sia sospeso il grave
G; e passi intorno alla girella la corda
ABDCF, della quale il capo
A sia fermato a qualche ritegno stabile, e
nell'altro F sia posta la forza, la quale,
movendosi verso H, alzerà la machina
BLC, e, consequentemente, il peso
G; ed in questa operazione, dico la forza in
F esser la metà del peso da lei sostenuto.
Imperò che, venendo detto peso retto dalle due corde
AB, FC, è manifesta cosa,
la fatica essere egualmente compartita tra la forza
F ed il sostegno A. Ed
essaminando più sottilmente la natura di questo stromento,
producendo il diametro della girella BEC,
vedremo farsi una lieva, dal cui mezzo, ciò è sotto il punto
E, pende il grave, ed il sostegno viene ad
essere nell'estremità B, e la forza
nell'altra estremità C: onde, per quello che
di sopra si è dimostrato, la forza al peso averà la proporzione
medesima, che ha la distanza EB alla distanza
BC; però sarà la metà di esso peso. E
benché, nell'alzarsi la forza verso H, la
girella vada intorno, non però si muta mai quel rispetto e
constituzione, che hanno tra di loro il sostegno
B ed il centro E, da cui
dipende il peso, ed il termine C, nel quale
opera la forza: ma nella circunduzione si vengono bene a variare
di numero li termini B, C,
ma non di virtù, succedendo continuamente altri ed altri in loro
luogo; onde la lieva BC viene a perpetuarsi. E
qui, come negli altri strumenti si è fatto, e nei seguenti si
farà sempre, non passeremo senza considerazione, come il viaggio
che fa la forza venga ad essere doppio del movimento del peso.
Imperò che, quando il peso sarà mosso sin che la linea
BC sia pervenuta con li suoi punti
B, C alli punti
A, F, è necessario che le
due corde eguali AB, FC si
siano distese in una sola linea FH; e che, per
consequenza, quando il peso sia salito per l'intervallo
BA, la forza si sia mossa il doppio, ciò è
da F in H.
Considerando poi come la forza posta in F, per
alzare il peso, deve moversi all'in su, il che ai moventi
inanimati, per essere per lo più gravi, è del tutto
impossibile, ed a li animati, se non impossibile, almeno più
laborioso che il far forza all'in giù, però, per sovvenire a
questo incommodo, si è trovato rimedio con aggiungere un'altra
girella superiore: come nella figura appresso [v. figura 13] si
vede, dove la corda CEFG si è fatta passare
intorno alla girella superiore FG sostenuta
dall'appiccagnolo L, sì che, passando la
corda in H, e quivi trasferendo la forza
E, sarà potente a muovere il peso
X col tirare a basso. Ma non però che essa
deva essere minore di quello che era in E;
imperò che i momenti delle forze E,
H, pendenti dalle eguali distanze
FD, DG della girella
superiore, restano sempre eguali; né essa superiore girella,
come già si è dimostrato, arreca diminuzione alcuna nella
fatica. Inoltre, essendo di già stato necessario, per l'aggiunta
della girella superiore, introdurre l'appendicolo
L, da chi venga sostenuta, ci tornerà di
qualche commodità il levare l'altro A, a chi
era raccommandato l'un capo della corda, trasferendolo ad un
oncino, o anello, annesso alla parte inferiore della cassa o
armatura della superiore girella, come si vede fatto in
M. Ora finalmente tutta questa machina,
composta di superiori ed inferiori girelle, è quella che i Greci
chiamano trochlea, e noi toscanamente
adimandiamo taglia.
Abbiamo sin qui esplicato come col mezzo delle taglie si possa
duplicare la forza. Resta che, con la maggior brevità che fia
possibile, dimostriamo il modo di crescerla secondo qualsivoglia
multiplicità: e prima parleremo delle multiplicità secondo i
numeri pari, e poi secondo li impari. E per mostrare come si
possa augumentare la forza in proporzione quadrupla, proporremo
la seguente speculazione, come lemma delle cose seguenti.
Siano le due lieve AB, CD
[v. figura 14], con li sostegni nell'estremità
A, C; e dai mezzi di
ciascuna di esse, E, F,
penda il grave G, sostenuto da due forze di
momento eguali, poste in B,
D: dico, il momento di ciascuna di esse
agguagliare il momento della quarta parte del peso
G. Imperò che, sostenendo le due forze
B, D egualmente, è
manifesto la forza D non aver contrasto se non
dalla metà del peso G: ma quando la forza
D sostenga, col benefizio del vette
DC, la metà del peso G
pendente da F, si è già dimostrato aver essa
forza D al peso così da lei sostenuto quella
proporzione, che ha la distanza FC alla
distanza CD; la quale è proporzione subdupla:
adunque il momento D è subduplo al momento
della metà del peso G, sostenuto da lui: onde
ne séguita, essere la quarta parte del momento di tutto il peso.
E nell'istesso modo si dimostrerà questo medesimo del momento
B. E ciò è ben ragionevole, che, essendo il
peso G sostenuto dai quattro punti
A, B, C,
D egualmente, ciascheduno di essi senta la
quarta parte della fatica.
Venghiamo adesso ad applicar questa considerazione alle taglie:
ed intendasi il peso X [v. figura 15] pendente
dalle due girelle inferiori AB,
DE, circonducendo intorno ad esse ed alla
superiore girella GH la corda, come si vede
per la linea IDEHGAB, sostenendo tutta la
machina nel punto K. Dico adesso, che, posta
la forza in M, potrà sostenere il peso
X, quando sia eguale alla quarta parte di
esso. Imperò che, se ci imagineremo li due diametri
DE, AB, ed il peso pendente
dalli punti di mezzo F, C,
averemo due vetti simili alli già dichiarati, i sostegni dei
quali rispondono alli punti D,
A; onde la forza posta in
B, o vogliamo dire in M,
potrà sostenere il peso X, essendo la quarta
parte di esso. E se di nuovo aggiungeremo un'altra superiore
girella, facendo passare la corda in MON,
trasferendo la forza M in
N, potrà sostenere il medesimo peso gravando
al basso, non augumentando o diminuendo forza la girella
superiore, come di già si è dichiarato. E noteremo parimente,
come, per fare ascendere il peso, devono passare le quattro corde
BM, EH,
DI, AG; onde il movente
avrà a caminare quanto esse quattro corde sono lunghe, e, con
tutto ciò, il peso non si moverà se non quanto è la lunghezza
di una sola di esse: il che sia detto per avvertimento e
confermazione di quello che più volte si è di già detto, ciò
è che con qual proporzione si diminuisce la fatica nel movente,
se gli accresce all'incontro lunghezza nel viaggio.
Ma se vorremo crescere la forza in proporzione sescupla,
bisognerà che aggiungiamo un'altra girella alla taglia
inferiore: il che acciò meglio s'intenda, metteremo avanti la
presente speculazione. Intendasi dunque le tre lieve [v. figura
16] AB, CD,
EF, e dai mezzi di esse G,
H, I pendente comunemente
il peso K, e nell'estremità
B, D, F
tre potenze eguali che sostenghino il peso K;
sì che ciascheduna di esse ne verrà a sostenere la terza parte.
E perché la potenza in B, sostenendo col
vette BA il peso pendente in
G, viene ad essere la metà di esso peso, e
già si è detto quella sostenere il terzo del peso
K: adunque il momento della forza
B è eguale alla metà della terza parte del
peso K, ciò è alla sesta parte di esso. Ed
il medesimo si dimostrerà dell'altre forze D,
F: dal che possiamo facilmente comprendere,
come, ponendo nella taglia inferiore tre girelle, e nella
superiore due o tre altre, possiamo multiplicare la forza secondo
il numero senario. E volendo crescerla secondo qual si voglia
altro numero pari, si multiplicheranno le girelle della taglia di
sotto secondo la metà di quel numero, conforme al qual si ha da
multiplicare la forza, circomponendo alle taglie la corda, sì
che l'uno de' capi si fermi alla taglia superiore, e nell'altro
sia la forza; come in questa figura [v. figura 17] appresso
manifestamente si comprende.
Passando ora alla dichiarazione del modo di multiplicare la forza
secondo i numeri dispari, e facendo principio dalla proporzione
tripla, prima metteremo avanti la presente speculazione; come che
dalla sua intelligenza dependa la cognizione di tutto il presente
negozio. Sia per ciò la lieva AB [v. figura
18], il cui sostegno A; e dal mezzo di essa,
ciò è dal punto C, penda il grave
D, il quale sia sostenuto da due forze eguali,
l'una delle quali sia applicata al punto C, e
l'altra all'estremità B: dico, ciascuna di
esse potenze aver momento eguale alla terza parte del peso
D. Imperò che la forza in
C sostiene peso eguale a sé stessa, essendo
collocata nella medesima linea nella quale pende e grava il peso
D: ma la forza in B
sostiene del peso D parte doppia di sé
stessa, essendo la sua distanza dal sostegno
A, ciò è la linea BA,
doppia della distanza AC, dalla quale è
sospeso il grave: ma perché si suppone, le due forze in
C, B essere tra di loro
eguali, adunque la parte del peso D, che è
sostenuta dalla forza B, è doppia della parte
sostenuta dalla forza C. Se dunque del grave
D siano fatte due parti, l'una doppia della
rimanente, la maggiore è sostenuta dalla forza
B, e la minore dalla forza
C: ma questa minore è la terza parte del peso
D: adunque il momento della forza
C è eguale al momento della terza parte del
peso D; al quale verrà, per conseguenza, ad
essere eguale la forza B, avendola noi
supposta eguale all'altra forza C. Onde è
manifesto il nostro intento, che era di dimostrare, come ciascuna
delle due potenze C, B si
agguagliava alla terza parte del peso D.
Il che avendo dimostrato, faremo passaggio alle taglie, e
descrivendo la girella inferiore ACB [v.
figura 19], volubile intorno al centro G, e da
essa pendente il peso H, segneremo l'altra
superiore EF; avvolgendo intorno ad ambedue la
corda DFEACBI, di cui il capo
D sia fermato alla taglia inferiore, ed
all'altro I sia applicata la forza; la quale
dico che, sostenendo o movendo il peso H, non
sentirà altro che la terza parte della gravità di quello.
Imperò che, considerando la struttura di tal machina, vederemo
il diametro AB tener il luogo di una lieva,
nel cui termine B viene applicata la forza
I, nell'altro A è posto il
sostegno, dal mezzo G è posto il grave
H, e nell'istesso luogo applicata un'altra
forza D; sì che il peso vien fermato dalle
tre corde IB, FD,
EA, le quali con eguale fatica sostengono il
peso. Or, per quello che di già si è speculato, sendo le due
forze eguali D, B applicate
l'una al mezzo del vette AB, e l'altra al
termine estremo B, è manifesto ciascheduna di
esse non sentire altro che la terza parte del peso
H: adunque la potenza I,
avendo momento eguale al terzo del peso H,
potrà sostenerlo e muoverlo. Ma però il viaggio della forza
I sarà triplo al camino che farà il peso,
dovendo la detta forza distendersi secondo la lunghezza delle tre
corde IB, FD,
EA, delle quali una sola misurerà il viaggio
del peso.
DELLA VITE.
Tra tutti gli altri strumenti mecanici per
diversi commodi dall'ingegno umano ritrovati, parmi, e
d'invenzione e di utilità, la vite tenere il primo luogo; come
quella che non solo al muovere, ma al fermare e stringere con
forza grandissima, acconciamente si adatta, ed è in maniera
fabricata, che, occupando pochissimo luogo, fa quelli effetti,
che altri strumenti non fariano, se non fossero ridotti in gran
machine. Essendo dunque la vite di bellissima ed utilissima
invenzione, meritamente dovremo affaticarci in esplicare, quanto
più chiaramente si potrà, la sua origine e natura: per il che
fare, faremo principio da una speculazione, la quale, benché di
prima vista sia per apparire alquanto lontana dalla
considerazione di tale strumento, nientedimeno è la sua base e
fondamento.
Non è dubbio alcuno, tale essere la costituzione della natura
circa i movimenti delle cose gravi, che qualunque corpo, che in
sé ritenga gravità, ha propensione di moversi, essendo libero,
verso il centro; e non solamente per la linea retta
perpendicolare, ma ancora, quando altrimenti far non possa, per
ogni altra linea, la quale, avendo qualche inclinazione verso il
centro, vadi a poco a poco abbassandosi. E così veggiamo,
essempligrazia, l'acqua non solamente cadere a basso a
perpendicolo da qualche luogo eminente, ma ancora discorrer
intorno alla superficie della terra sopra linee, benché
pochissimo, inchinate; come nel corso dei fiumi si accorge, dei
quali, purché il letto abbia qualche poco di pendenza, le acque
vanno liberamente declinando al basso: il quale medesimo effetto,
siccome si scorge in tutti i corpi fluidi, apparirebbe ancora nei
corpi duri, purché e la lor figura e li altri impedimenti
accidentarii ed esterni non lo divietassero. Sì che, avendo noi
una superficie molto ben tersa e polita, quale saria quella di
uno specchio, ed una palla perfettamente rotonda e liscia, o di
marmo, o di vetro, o di simile materia atta a pulirsi, questa,
collocata sopra la detta superficie, anderà movendosi, purché
quella abbia un poco d'inclinazione, ancorché minima, e
solamente si fermerà sopra quella superficie, la quale sia
esattissimamente livellata, ed equidistante al piano
dell'orizonte; quale, per essempio, saria la superficie di un
lago o stagno agghiacciato, sopra la quale il detto corpo sferico
staria fermo, ma con disposizione di essere da ogni picciolissima
forza mosso. Perché avendo noi inteso come, se tale piano
inclinasse solamente quanto è un capello, la detta palla vi si
moverebbe spontaneamente verso la parte declive, e, per
l'opposito, averebbe resistenza, né si potria movere senza
qualche violenza, verso la parte acclive o ascendente; resta per
necessità cosa chiara, che nella superficie esattamente
equilibrata detta palla resti come indifferente e dubbia tra il
moto e la quiete, sì che ogni minima forza sia bastante a
muoverla, siccome, all'incontro, ogni pochissima resistenza, e
quale è quella sola dell'aria che la circonda, potente a tenerla
ferma.
Dal che possiamo prendere, come per assioma indubitato, questa
conclusione: che i corpi gravi, rimossi tutti l'impedimenti
esterni ed adventizii, possono esser mossi nel piano
dell'orizonte da qualunque minima forza. Ma quando il medesimo
grave dovrà essere spinto sopra un piano ascendente, già
cominciando egli a contrastare a tale salita (avendo inclinazione
al moto contrario), si ricercherà maggiore violenza, e maggiore
ancora quanto più il detto piano averà di elevazione. Come, per
essempio [v. figura 20], essendo il mobile G
costituito sopra la linea AB, paralella
all'orizonte, starà, come si è detto, in essa indifferente al
moto e alla quiete, sì che da minima forza possa esser mosso: ma
se averemo li piani elevati AC,
AD, AE, sopra di essi non
sarà spinto se non per violenza, la quale maggiore si
ricercherà per muoverlo sopra la linea AD che
sopra la linea AC, e maggiore ancora sopra la
AE che sopra la AD; il che
procede per aver lui maggior impeto di andare a basso per la
linea EA che per la DA, e
per la DA che per la CA.
Sì che potremo parimente concludere, i corpi gravi aver maggiore
resistenza ad esser mossi sopra piani elevati diversamente,
secondo che l'uno sarà più o meno dell'altro elevato; e,
finalmente, grandissima essere la renitenza del medesimo grave
all'essere alzato nella perpendicolare AF. Ma
quale sia la proporzione che deve avere la forza al peso per
tirarlo sopra diversi piani elevati, sarà necessario che si
dichiari esattamente, avanti che procediamo più oltre, acciò
perfettissimamente possiamo intendere tutto quello che ne resta a
dire.
Fatte dunque cascare le perpendicolari dalli punti
C, D, E
sopra la linea orizontale AB, che siano
CH, DI,
EK, si dimostrerà, il medesimo peso esser
sopra il piano elevato AC mosso da minor forza
che nella perpendicolare AF (dove viene alzato
da forza a sé stesso eguale), secondo la proporzione che la
perpendicolare CH è minore della
AC; e sopra il piano AD
avere la forza al peso l'istessa proporzione, che la linea
perpendicolare ID alla DA;
e finalmente nel piano AE osservare la forza
al peso la proporzione della KE alla
EA.
È la presente speculazione stata tentata ancora da Pappo
Alessandrino nell'8° libro delle sue Collezioni
Matematiche; ma, per mio avviso, non ha toccato lo
scopo, e si è abbagliato nell'assunto che lui fa, dove suppone,
il peso dover esser mosso nel piano orizontale da una forza data:
il che è falso, non si ricercando forza sensibile (rimossi
l'impedimenti accidentarii, che dal teorico non si considerano)
per muovere il dato peso nell'orizonte; sì che in vano si va poi
cercando, con quale forza sia per esser mosso sopra il piano
elevato. Meglio dunque sarà il cercare, data la forza che muove
il peso in su a perpendicolo (la quale pareggia la gravità di
quello), quale deva essere la forza che lo muova nel piano
elevato: il che tenteremo noi di conseguire con aggressione
diversa da quella di Pappo.
Intendasi dunque il cerchio AIC [v. figura
21], ed in esso il diametro ABC, ed il centro
B, e due pesi di eguali momenti nelle
estremità A, C; sì che,
essendo la linea AC un vette o libra mobile
intorno al centro B, il peso
C verrà sostenuto dal peso
A. Ma se c'immagineremo il braccio della libra
BC essere inchinato a basso secondo la linea
BF, in guisa tale però che le due linee
AB, BF restino salde
insieme nel punto B, allora il momento del
peso C non sarà più eguale al momento del
peso A, per esser diminuita la distanza del
punto F dalla linea della direzione che dal
sostegno B, secondo la BI,
va al centro della terra. Ma se tireremo dal punto
F una perpendicolare alla
BC, quale è la FK, il
momento del peso in F sarà come se pendesse
dalla linea KB; e quanto la distanza
KB è diminuita dalla distanza
BA, tanto il momento del peso
F è scemato dal momento del peso
A. E così parimente, inchinando più il peso,
come saria secondo la linea BL, il suo momento
verrà scemando, e sarà come se pendesse dalla distanza
BM, secondo la linea ML;
nel qual punto L potrà esser sostenuto da un
peso posto in A, tanto minore di sé quanto la
distanza BA è maggiore della distanza
BM. Vedesi dunque come, nell'inclinare a basso
per la circonferenza CFLI il peso posto
nell'estremità della linea BC, viene a
scemarsi il suo momento ed impeto d'andare a basso di mano in
mano più, per esser sostenuto più e più dalle linee
BF, BL. Ma il considerare
questo grave discendente, e sostenuto dalli semidiametri
BF, BL ora meno e ora più,
e constretto a caminare per la circonferenza
CFL, non è diverso da quello che saria
imaginarsi la medesima circonferenza CFLI
esser una superficie così piegata, e sottoposta al medesimo
mobile, sì che, appoggiandovisi egli sopra, fosse constretto a
descendere in essa; perché se nell'uno e nell'altro modo disegna
il mobile il medesimo viaggio, niente importerà s'egli sia
sospeso dal centro B e sostenuto dal
semidiametro del cerchio, o pure se, levato tale sostegno,
s'appoggi e camini su la circonferenza CFLI.
Onde indubitatamente potremo affermare, che, venendo al basso il
grave dal punto C per la circonferenza
CFLI, nel primo punto C il
suo momento di discendere sia totale ed integro; perché non
viene in parte alcuna sostenuto dalla circonferenza, e non è, in
esso primo punto C, in disposizione a moto
diverso di quello, che libero farebbe nella perpendicolare e
contingente DCE. Ma se il mobile sarà
constituito nel punto F, allora dalla
circolare via, che gli è sottoposta, viene in parte la gravità
sua sostenuta, ed il suo momento d'andare al basso diminuito con
quella proporzione, con la quale la linea BK
è superata dalla BC: ma quando il mobile è
in F, nel primo punto di tale suo moto è come
se fosse nel piano elevato secondo la contingente linea
GFH, perciò che l'inclinazione della
circonferenza nel punto F non differisce
dall'inclinazione della contingente FG, altro
che l'angolo insensibile del contatto. E nel medesimo modo
troveremo, nel punto L diminuirsi il momento
dell'istesso mobile, come la linea BM si
diminuisce dalla BC; sì che nel piano
contingente il cerchio nel punto L, qual saria
secondo la linea NLO, il momento di calare al
basso scema nel mobile con la medesima proporzione. Se dunque
sopra il piano HG il momento del mobile si
diminuisce dal suo totale impeto, quale ha nella perpendicolare
DCE, secondo la proporzione della linea
KB alla linea BC o
BF; essendo, per la similitudine de i
triangoli KBF, KFH, la
proporzione medesima tra le linee KF,
FH che tra le dette KB,
BF, concluderemo, il momento integro ed
assoluto che ha il mobile nella perpendicolare all'orizonte, a
quello che ha sopra il piano inclinato HF,
avere la medesima proporzione che la linea HF
alla linea FK, cioè che la lunghezza del
piano inclinato alla perpendicolare che da esso cascherà sopra
l'orizonte. Sì che, passando a più distinta figura [v. figura
22], quale è la presente, il momento di venire al basso che ha
il mobile sopra il piano inclinato FH, al suo
totale momento, con lo qual gravita nella perpendicolare
all'orizonte FK, ha la medesima proporzione
che essa linea KF alla FH.
E se così è, resta manifesto che, sì come la forza che
sostiene il peso nella perpendicolare FK deve
essere ad esso eguale, così per sostenerlo nel piano inclinato
FH basterà che sia tanto minore, quanto essa
perpendicolare FK manca dalla linea
FH. E perché, come altre volte s'è
avvertito, la forza per muover il peso basta che insensibilmente
superi quella che lo sostiene, però concluderemo questa
universale proposizione: sopra il piano elevato la forza al peso
avere la medesima proporzione, che la perpendicolare dal termine
del piano tirata all'orizonte, alla lunghezza d'esso piano.
Ritornando ora al nostro primo instituto, che era d'investigare
la natura della vite, considereremo il triangolo
ACB [V. figura 23], del quale la linea
AB sia orizontale, la BC
perpendicolare ad esso orizonte, ed AC piano
elevato; sopra il quale il mobile D verrà
tirato da forza tanto di quello minore, quanto essa linea
BC è della CA più brieve.
Ma per elevare il medesimo peso sopra l'istesso piano
AC, tanto è che, stando fermo il triangolo
CAB, il peso D sia mosso
verso C, quanto saria se, non si rimovendo il
medesimo peso della perpendicolare AE, il
triangolo si spingesse avanti verso H;
perché, quando fosse nel sito FHG, il mobile
si troveria aver montato l'altezza AI. Ora
finalmente la forma ed essenza primaria della vite non è altro
che un simil triangolo ACB, il quale spinto
inanzi, sottentra al grave da alzarsi, e se lo leva (come si
dice) in capo. E tale fu la sua prima origine: che considerando,
qual si fosse il suo primo inventore, come il triangolo
ABC [v. figura 24], venendo inanzi, solleva il
peso D, si poteva fabricare uno instrumento
simile al detto triangolo, di qualche materia ben salda, il
quale, spinto inanzi, elevasse il proposto peso: ma considerando
poi meglio come una tal machina si poteva ridurre in forma assai
più picciola e comoda, preso il medesimo triangolo, lo circondò
ed avvolse intorno al cilindro ABCD [v. figura
25]; in maniera che l'altezza del detto triangolo, cioè la linea
CB, faceva l'altezza del cilindro, ed il piano
ascendente generava sopra il detto cilindro la linea elica
disegnata per la linea AEFGH, che volgarmente
addomandiamo il verme della vite: ed in questa
varietà si genera l'instrumento da' Greci detto
coclea, e da noi vite, il
quale volgendosi a torno viene co 'l suo verme subintrando al
peso, e con facilità lo solleva. Ed avendo noi già dimostrato,
come, sopra il piano elevato, la forza al peso ha la medesima
proporzione, che l'altezza perpendicolare del detto piano alla
sua lunghezza, così intenderemo la forza nella vite
ABCD multiplicarsi secondo la proporzione che
la lunghezza di tutto il verme AEFGH eccede
l'altezza CB; dal che venghiamo in cognizione,
come formandosi la vite con le sue elici più spesse, riesce
tanto più gagliarda, come quella che viene generata da un piano
manco elevato, e la cui lunghezza risguarda con maggior
proporzione la propria altezza perpendicolare. Ma non resteremo
di avvertire, come volendo ritrovare la forza di una vite
proposta, non farà di mestiero che misuriamo la lunghezza di
tutto il suo verme, e l'altezza di tutto il suo cilindro; ma
basterà che andiamo essaminando, quante volte la distanza tra
due soli e contigui termini entra in una sola rivolta del
medesimo verme: come saria, per essempio, quante volte la
distanza AF vien contenuta nella lunghezza
della rivolta AEF, perciò che questa è la
medesima proporzione che ha tutta l'altezza CB
a tutto il verme.
Quando si sia compreso tutto quello che fin qui abbiamo
dichiarato circa la natura di questo instrumento, non dubito
punto che tutte l'altre circonstanze potranno senza fatica esser
intese: come saria, per essempio, che in luogo di far montare il
peso sopra la vite, se li accomoda la sua madre-vite con la elice
incavata; nella quale entrando il maschio, cioè il verme della
vite, voltata poi intorno, solleva ed inalza la madre insieme co
'l peso che ad essa fosse appiccato. Finalmente non è da passare
sotto silenzio quella considerazione, la quale da principio si
disse esser necessaria d'avere in tutti gl'instrumenti mecanici:
cioè, che quanto si guadagna di forza per mezo loro, altrettanto
si scapita nel tempo e nella velocità. Il che per avventura non
potria parere ad alcuno così vero e manifesto nella presente
speculazione; anzi pare che qui si multiplichi la forza senza che
il motore si muova per più lungo viaggio che il mobile. Essendo
che se intenderemo, nel triangolo ABC [v.
figura 26] la linea AB essere il piano
dell'orizonte, AC piano elevato, la cui
altezza sia misurata dalla perpendicolare CB,
un mobile posto sopra il piano AC, e ad esso
legata la corda EDF, e posta in
F una forza o un peso, il quale alla gravità
del peso E abbia la medesima proporzione che
la linea BC alla CA; per
quello che s'è dimostrato, il peso F calerà
al basso tirando sopra il piano elevato il mobile
E, né maggior spazio misurerà detto grave
F nel calare al basso, di quello che si misuri
il mobile E sopra la linea
AC. Ma qui però si deve avvertire che, se
bene il mobile E averà passata tutta la linea
AC nel tempo medesimo che l'altro grave
F si sarà per eguale intervallo abbassato,
niente di meno il grave E non si sarà
discostato dal centro comune delle cose gravi più di quello che
sia la perpendicolare CB; ma però il grave
F, discendendo a perpendicolo, si sarà
abbassato per spazio eguale a tutta la linea
AC. E perché i corpi gravi non fanno
resistenza a i moti transversali, se non in quanto in essi
vengono a discostarsi dal centro della terra, però, non
s'essendo il mobile E in tutto il moto
AC alzato più che sia la linea
CB, ma l'altro F abbassato
a perpendicolo quanto è tutta la lunghezza
AC, però potremo meritamente dire, il viaggio
della forza F al viaggio della forza
E mantenere quella istessa proporzione, che ha
la linea AC alla CB, cioè
il peso E al peso F. Molto
adunque importa il considerare per quali linee si facciano i
moti, e massime ne i gravi inanimati: dei quali i momenti hanno
il loro total vigore e la intiera resistenza nella linea
perpendicolare all'orizonte; e nell'altre, transversalmente
elevate o inchinate, servono solamente quel più o meno vigore,
impeto, o resistenza, secondo che più o meno le dette
inchinazioni s'avvicinano alla perpendicolar elevazione.
DELLA COCLEA D'ARCHIMEDE PER LEVAR L'ACQUA.
Non mi pare che in questo luogo sia da passar
con silenzio l'invenzione di Archimede d'alzar l'acqua con la
vite: la quale non solo è maravigliosa, ma è miracolosa;
poiché troveremo, che l'acqua ascende nella vite discendendo
continuamente. Ma prima che ad altro venghiamo, dichiareremo
l'uso della vite nel far salir l'acqua.
E considerisi nella seguente figura [v. figura 27] intorno alla
colonna MIKH esser avvolta la linea
ILOPQRSH, la quale sia un canale, per lo quale
possa scorrer l'acqua: se metteremo l'estremità
I nell'acqua, facendo stare la vite pendente,
come dimostra il disegno, e la volgeremo in giro intorno alli due
perni T, V, l'acqua per lo
canale anderà scorrendo, fin che finalmente verserà fuori della
bocca H. Ora dico che l'acqua, nel condursi
dal punto I al punto H, è
venuta sempre discendendo, ancorché il punto
H sia più alto del punto
I. Il che esser così, dichiareremo in tal
modo. Descriveremo il triangolo ACB, il quale
sia quello onde si generi la vite IH, di
maniera che il canale della vite venga figurato dalla linea
AC, la cui salita ed elevazione viene
determinata per l'angolo CAB; cioè, che se il
detto angolo sarà la terza parte o la quarta di un angolo retto,
la elevazione del canale AC sarà secondo la
terza o quarta parte d'un angolo retto. Ed è manifesto, che la
salita d'esso canale AC verrà tolta via
abbassando il punto C insino al
B, perché allora il canale
AC non averà elevazione alcuna; ed abbassando
il punto C un poco sotto il
B, l'acqua naturalmente scorrerà per lo
canale AC al basso, dal punto
A verso il C. Concludiamo
dunque, che, essendo l'angolo A un terzo di un
retto, la salita del canale AC verrà tolta
via abbassandolo dalla parte C per la terza
parte di un angolo retto.
Intese queste cose, volgiamo il triangolo intorno alla colonna, e
facciamo la vite BAEFGHID [v. figura 28]; la
quale, se si constituirà dritta, ad angoli retti, con
l'estremità B in acqua, volgendosi attorno,
non per questo tirerà in su l'acqua, essendo il canale, attorno
alla colonna, elevato, come si vede per la parte
BA. Ma se bene la colonna sta dritta ad angoli
retti, non è per questo che la salita per la vite attorta
intorno alla colonna sia di maggiore elevazione che d'un terzo
d'angolo retto; essendo generata dalla elevazione del canale
AC. Adunque, se inclineremo la colonna per un
terzo di detto angolo retto, ed un poco più, come si vede
IKHM, il transito e moto per lo canale non
sarà più elevato, ma inclinato, come si vede per lo canale
IL; adunque l'acqua dal punto
I al punto L si moverà
discendendo; e girandosi la vite intorno, l'altre parti d'essa
successivamente si disporranno e si rappresenteranno all'acqua
nella medesima disposizione che la parte IL;
onde l'acqua successivamente anderà discendendo; e pur
finalmente si troverà esser montata dal punto
I al punto H: il che di
quanta meraviglia si sia, lascio giudicare a chi perfettamente
l'averà inteso. E da quanto s'è detto, si viene in cognizione
come la vite per alzar l'acqua deve esser inclinata un poco più
della quantità dell'angolo del triangolo, col quale si descrisse
essa vite.
DELLA FORZA DELLA PERCOSSA.
L'investigare qual sia la causa della forza
della percossa è per più cagioni grandemente necessario. E
prima, perché in essa apparisce assai più del maraviglioso di
quello, che in qualunque altro stromento meccanico si scorga,
atteso che, percotendosi sopra un chiodo da ficcarsi in un
durissimo legno, o vero sopra un palo che debbia penetrare dentro
in terreno ben fisso, si vede, per la sola virtù della percossa,
spingersi e l'uno e l'altro avanti; onde senza quella, mettendosi
sopra il martello, non pure non si muoverà, ma quando anco bene
vi fosse appoggiato un peso molte e molte volte nell'istesso
martello più grave: effetto veramente maraviglioso, e tanto più
degno di speculazione, quanto, per mio avviso, niuno di quelli,
che sin qui ci hanno intorno filosofato, ha detto cosa che arrivi
allo scopo; il che possiamo pigliare per certissimo segno ed
argumento della oscurità e difficoltà di tale speculazione.
Perché ad Aristotile o ad altri che volessero la cagione di
questo mirabile effetto ridurre alla lunghezza del manubrio o
manico del martello, parmi che, senza altro lungo discorso, si
possa scoprire l'infermità delli loro pensieri dall'effetto di
quei stromenti, che, non avendo manico, percotono o col cadere da
alto a basso, o coll'esser spinti con velocità per traverso.
Dunque ad altro principio bisogna che ricorriamo, volendo
ritrovare la verità di questo fatto. Del quale benché la
cagione sia alquanto di sua natura obstrusa e difficile a
esplicazione, tuttavia anderemo tentando, con quella maggior
lucidezza che potremo, di render chiara e sensibile; mostrando
finalmente, il principio ed origine di questo effetto non derivar
da altro fonte, che da quello stesso onde scaturiscono le ragioni
d'altri effetti meccanici.
E questo sarà co 'l ridurci inanzi gli occhi quello, che in ogni
altra operazione meccanica s'è veduto accadere: cioè che la
forza, la resistenza ed il spazio, per lo quale si fa il moto, si
vanno alternamente con tal proporzione seguendo, e con legge tale
rispondendo, che resistenza eguale alla forza sarà da essa forza
mossa per egual spazio e con egual velocità di quella che essa
si muova. Parimente, forza che sia la metà meno di una
resistenza potrà muoverla, purché si muova essa con doppia
velocità, o, vogliam dire, per distanza il doppio maggiore di
quella che passerà la resistenza mossa. Ed in somma s'è veduto
in tutti gli altri stromenti, potersi muovere qualunque gran
resistenza da ogni data picciola forza, purché lo spazio, per il
quale essa forza si muove, abbia quella proporzione medesima allo
spazio, per il quale si moverà la resistenza, che tra essa gran
resistenza e la picciola forza si ritrova, e ciò esser secondo
la necessaria constituzione della natura. Onde, rivolgendo il
discorso ed argumentando per lo converso, qual meraviglia sarà,
se quella potenza, che moveria per grande intervallo una picciola
resistenza, ne spingerà una cento volte maggiore per la
centesima parte di detto intervallo? Niuna per certo: anzi quando
altrimente fosse, non pure saria assurdo, ma impossibile.
Consideriamo dunque quale sia la resistenza all'esser mosso nel
martello in quel punto dove va a percuotere, e quanto, non
percotendo, dalla forza ricevuta saria tirato lontano; ed in
oltre, quale sia la resistenza al muoversi di quello che
percuote, e quanto per una tal percossa venga mosso: e trovato
come questa gran resistenza va avanti per una percossa, tanto
meno di quello che anderebbe il martello cacciato dall'empito di
chi lo muove, quanto detta gran resistenza è maggiore di quella
del martello, cessi in noi la meraviglia dell'effetto, il quale
non esce punto da i termini delle naturali constituzioni e di
quanto s'è detto. Aggiungasi, per maggior intelligenza,
l'essempio in termini particolari. È un martello, il quale,
avendo quattro di resistenza, viene mosso da forza tale, che,
liberandosi da essa in quel termine dove fa la percossa, anderia
lontano, non trovando l'intoppo, dieci passi; e viene in detto
termine opposto un gran trave, la cui resistenza al moto è come
quattromila, cioè mille volte maggiore di quella del martello
(ma non però è immobile, sì che senza proporzione superi la
resistenza del martello): però, fatto in esso la percossa, sarà
ben spinto avanti, ma per la millesima parte delli dieci passi,
ne i quali si saria mosso il martello. E così, riflettendo con
metodo converso quello che intorno ad altri effetti meccanici
s'è speculato, potremo investigare la ragione della forza della
percossa.
So che qui nasceranno ad alcuni delle difficoltà ed instanze, le
quali però con poca fatica si torranno di mezzo; e noi le
rimetteremo volontariamente tra i problemi meccanici, che in fine
di questo discorso si aggiungeranno.
- FINE -