Dopo i professionisti della classe 5aB, ecco il video di un dilettante allo sbaraglio.
Buona visione
Nello Colavolpe
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Con il titolo di doge (voce veneta equivalente a “duca”, dal latino dux, capo, comandante) veniva indicato, a partire dal VIII secolo, il magistrato incaricato di governare Venezia.
Verso il X secolo il doge si trasformò in una specie di monarca elettivo, eletto appunto dagli esponenti dell’oligarchia patrizia secondo una procedura molto lunga e complessa che aveva lo scopo di evitare scorrettezze da parte di qualunque persona. Col passare degli anni i dogi videro diminuire i loro poteri; questo però non precluse loro la magnificenza esteriore, sia nei cerimoniali sia nelle dimore e nelle vesti sontuose.
La carica di doge era molto ambita soprattutto per il suo valore simbolico e per il l’importanza che donava alle famiglie aristocratiche; l’immensità, la bellezza, lo sfarzo e tutto quello che circondava le varie cerimonie dogali spingevano tutti quei nobili che erano decisi a lasciare un segno, ad essere qualcosa di più che di un “semplice nobile”, ad aspirare alla carica di doge. Ma nonostante tutta questa importanza quella del doge era una carica molto costosa perché il doge stesso era chiamato e obbligato ad auto-mantenersi in modo pesante e questo precludeva alla maggior parte dei cittadini di Venezia la possibilità di aspirare a questa carica, limitandola solo ai membri dell’aristocrazia ricca.
A seconda dei tempi e delle situazioni il doge agiva da condottiero o da supremo notaio. Per cui si può solo dire che sempre all’interno dell’ordinamento politico vi erano una serie di disposizioni che limitavano pesantemente le prerogative del doge e perfino la sua stessa vita quotidiana: la funzione del doge era principalmente quella di rappresentante ufficiale di Venezia nelle cerimonie pubbliche e nelle relazioni diplomatiche con gli altri stati e di mostrarne la regalità pur senza regnare. L’unico potere effettivo che non fu mai sottratto al doge fu quello di comandare la flotta e guidare l’armata in tempo di guerra. Per il resto egli si limitava a sedere a capo della Serenissima Signoria, che era il supremo organo di rappresentanza dei sovrani di Venezia, e presiedere con essa a tutti i consigli della Repubblica, nei quali però il suo voto non aveva più valore di quello di qualunque altro membro.
Il doge aveva anche acquisito sin dalle origini connotazioni religiose, molto astratte fino all’arrivo delle spoglie dell’evangelista Marco a Venezia, nel 828. All’arrivo delle spoglie corrispose anche la costruzione della basilica di San Marco, cappella palatina e chiesa di Stato. Da questo momento in poi il doge divenne a tutti gli effetti Capo della Chiesa di San Marco. Nonostante questo titolo ci furono molte discussioni sul ruolo del doge all’interno della Chiesa stessa poiché al Concilio di Trento venne stabilito che non era un vescovo e nemmeno un principe. Infine, però, furono modificati i decreti conciliari per consentire al doge di partecipare alle cerimonie con gli stessi onori di vescovi e principi.