Secondo Socrate la ricerca della verità può avvenire solo se non si sopravvaluta il proprio sapere e se si ammette la propria ignoranza. In effetti solo chi è consapevole di non sapere può imparare qualcosa, e chi, invece, contrariamente all’ignorante, presume di sapere, non solo non potrà imparare (perché già sa, o meglio, crede di sapere), ma non rifletterà, se non per cercare conferme a quanto crede, e assumerà inevitabilmente una posizione immobile, tra una presunta conoscenza della verità e la verità stessa, che non raggiungerà mai perché fermo in una situazione immutabile.
Ora mi chiedo: si può raggiungere la verità?
La si può certamente cercare, ma secondo chi o cosa, la presunta verità raggiunta è la verità “vera”? E poi, al momento del raggiungimento di ciò che si ritiene verità, si può affermare di aver finalmente concluso la ricerca? O ci si trova nella situazione iniziale, in cui si crede di sapere e quindi non si sa?
Per Socrate la verità si trova solo nel dialogo. Il filosofo, infatti, grazie alle sue domande, dimostra l’ignoranza dell’interlocutore, lo purifica dall’errore perché sia disposto a cercare la verità. Da quel che ho capito, Socrate desidera un ampio confronto per rendere così più complete le risposte. Grazie alla confutazione ed alla maieutica, indica il percorso per giungere alla verità. Eppure, non sono convinta. Qual è il criterio per stabilire se abbiamo, finalmente, raggiunto la verità o soltanto crediamo di averla raggiunta? Socrate non si esprime al riguardo.
Così siamo tornati al punto di partenza e per procedere si suppone di non sapere, in modo da poter riprendere la ricerca della verità. Ma quando questa avrà una fine? O meglio, avrà mai una fine?