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Una nuova forma d’arte

Fin dal principio l’uomo ha cercato qualcosa che suscitasse in lui nuove emozioni. Tra le varie discipline che smuovono i nostri sentimenti, la più famosa è l’arte.

Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.

Essa ha affrontato, negli anni, cambiamenti radicali, per quanto riguarda lo stile: dal romanico al gotico, dal barocco al neoclassico, dalla semplicità all’esagerazione e viceversa. Mentre, per quanto riguarda gli strumenti, ha avuto un’evoluzione quasi pari a zero, se non qualche miglioramento degli utensili. Nel 1839, però, un nuovo oggetto entrò in circolazione: la macchina fotografica. Purtroppo non ha avuto subito grande considerazione, ma solo dopo un secolo e mezzo circa, venne riconosciuta come un’inedita pratica artistica.

Io voglio parlarvi di quella cosa che crea, a chi ne coglie il significato, le così dette “farfalle nello stomaco”, non in ambito storico, ma riguardo le emozioni e il pensiero che ha il potere di cambiare questa nuova forma d’arte.

Fin dalla prima volta che ho preso in mano una fotocamera, ho provato euforia, perché mi sentivo un’artista; come quando ai bambini piccoli si danno i pastelli per colorare. Lo scattare foto mi ha insegnato ad osservare, a catturare e a fermare il tempo per godere di quell’armonia che esiste nel mondo e ad immaginare la storia che ha dietro di sé ogni oggetto. Ora guardo la natura con occhi diversi; mi blocco sempre ad ammirare i particolari e a pensare: “Wow…”. E’ proprio questo che la fotografia ha cambiato in me, perché prima che essa “entrasse” nella mia vita, pensavo che l’uomo fosse tutto, mentre adesso so che non è così: noi facciamo semplicemente parte di un meccanismo molto complesso, il quale va avanti in totale affinità.

In conclusione, per me la fotografia deve suggerire, non insistere o spiegare, ed è un’arte che, se la sai interpretare, ti migliora la vita.

 

La biologia aristotelica

Aristotele
Aristotele – copia romana di epoca imperiale – Parigi, Louvre


Secondo la dottrina aristotelica, l’anima è forma, cioè organizza intimamente la struttura di ogni essere vivente.
Tale dottrina ha permesso ad Aristotele di fondare la biologia.
Egli anche in biologia resta fedele alla sua gnoseologia e parte sempre dall’osservazione diretta del mondo reale.
Nel trattato Historia animalium, composto da otto libri, Aristotele descrive 581 specie diverse di animali da lui stesso osservate in Asia Minore e sull’isola di Lesbo. In seguito, nel De partibus animalium egli distingue tutti gli animali in generi e specie, e crea una classificazione rimasta invariata fino a Carlo Linneo nel Settecento.

Inizialmente Aristotele suddivide gli animali che possiedono sangue da quelli che ne sono privi (oggi tale divisione corrisponde alle due categorie di animali vertebrati ed invertebrati): tra i primi elenca i mammiferi (terrestri e vivipari), i rettili e gli anfibi (terrestri e ovipari), gli uccelli (aerei o vivipari) ed infine i pesci (acquatici e ovipari).
All’interno della seconda categoria egli classifica gli animali privi di sangue secondo vari criteri, per esempio in base alla durezza o alla mollezza della pelle. Per la prima volta pratica la dissezione per studiare le parti interne di cui gli animali sono costituiti; grazie a tale procedura Aristotele distingue i tessuti, formati da parti omogenee e gli organi, formati da parti eterogenee. Studiando gli organi, il filosofo ricerca la causa finale, scopre così per primo l’importante principio della biologia, secondo il quale la funzione svolta dall’organo spiega anche come l’organo è fatto. Aristotele spiega così l’apparato locomotore, digerente, respiratorio e riproduttivo.

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