Clima, quando per gli errori di pochi pagano molti

Colorado River, fiume californiano, la situazione è parzialmente migliorata nel 2017
“Colorado River, fiume californiano, la situazione è parzialmente migliorata nel 2017

Lago Ciad nel tempo, vista da satellite, bacino vitale da cui dipendono 20 milioni di persone
Lago Ciad nel tempo, vista da satellite, bacino vitale da cui dipendono 20 milioni di persone

Il presidente TRUMP ha deciso: gli U.S.A. si ritireranno dagli accordi di Parigi sul clima, la notizia è di pochi giorni fa, ma già da tempo si vociferava su questa scelta che non è del tutto inaspettata vista la campagna elettorale in cui più volte ha ribadito le sue posizioni sul riscaldamento globale. Ma cosa sono esattamente questi accordi di Parigi, cosa prevedono che si rispetti e quali sono gli obiettivi prefissati?

Prima di tutto bisogna fare alcune premesse importanti: precedentemente agli accordi di Parigi ci sono state molte altre conferenze riguardanti il riscaldamento globale, queste conferenze costituiscono la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (in inglese United Nations Framework Convention on Climate Change da cui l’acronimo UNFCCC o FCCC) e generalmente sono state infruttuose poiché spesso i suoi diversi protocolli, come quello di Kyoto, non sono stati rispettati dalla maggior parte delle nazioni ratificanti. La mancata applicazione di questi accordi si deve al fatto che le nazioni non sono soggette a limiti obbligatori sulle emissioni di CO2 come invece è accaduto con l’ultima, quella di PARIGI.

tutti gli esponenti dei paesi ratificanti, Obama esponente U.S.A. in prima fila nel mezzo

PERCHÉ GLI ACCORDI DI PARIGI SEGNANO UN PASSO IN AVANTI?

-differiscono da quelli precedenti poiché sono vincolanti dovendo essere adottati all’interno dei sistemi giuridici degli stati partecipanti con ratifica, accettazione e approvazione.

-cercano di limitare l’aumento della temperatura globale ad un livello inferiore ai 2 gradi centigradi

-sono un piano universale globalmente accettato

-creano una lista di paesi inadempienti(NAME AND SHAME) per incoraggiarli ad attuare il piano sul clima

Ora però non possiamo più parlare di un piano globalmente accettato dal momento che il Presidente U.S.A. Trump si è ritirato dagli accordi di Parigi. Mancherà dunque il contributo americano, cosa importante essendo sul podio degli stati con più emissioni di CO2.

Spezzoni del discorso tenuto da Trump sul clima

Le risposte a questa drastica scelta non si sono fatte attendere, da tutte le nazioni sono giunti numerosi richiami al rispetto degli accordi presi, anche all’interno degli stessi Stati Uniti diversi governatori e a volte le singole città cercano di parteciparvi singolarmente; sembra quasi che l’effetto ottenuto sia stato opposto a quello desiderato…
Serve dunque fermare l’era dei rinvii, dei ritardi e delle mezze misure ed iniziare l’era delle azioni che producono conseguenze.

“if the trump administration won’t lead the American people will, state by state business by business”
trad. “Se l’amministrazione Trump non guiderà gli americani allora le persone lo faranno, stato per stato questione per questione”
AL GORE

tutte le informazioni provengono da wikipedia.
APPROFONDIMENTI UTILI:
a) https://www.youtube.com/watch?v=-JIuKjaY3r4
b) http://www.linkiesta.it/it/article/2017/06/01/cosi-trump-sta-smantellando-ventanni-di-lotte-per-il-clima/34451/

One Love Manchester

Il 4 Giugno 2017 ha avuto luogo il concerto di beneficenza One Love Manchester, in memoria delle vittime dell’attentato  del 22 Maggio 2017.

La manifestazione, trasmessa dal vivo in almeno 38 paesi, è stata la risposta forte e chiara contro l’odio e la paura del terrorismo: l’amore.  All’evento, organizzato da Ariana Grande, hanno partecipato 50mila persone e sono stati raccolti circa 9 milioni di sterline per le  famiglie colpite.

Questo non vuole essere un articolo sul terrorismo o sulla musica, ma  soltanto un’occasione per ricordare a me per prima che ogni medaglia ha sempre due facce.  Noi ragazzi soprattutto tendiamo spesso a vedere tutto bianco o tutto nero,  senza una via di mezzo.  Ormai sembra ci sia spazio solo per  critiche,  dibattiti accesi in merito ai problemi della nostra società e una negatività sempre più grande che spesso porta a vedere tutto come una strada buia a senso unico, ma ho capito che non è così.

Non è facile il periodo che stiamo attraversando, basti pensare ai telegiornali sempre più simili a bollettini di guerra, ma oltre a questo ci sono 50mila persone che hanno messo in gioco la loro vita per tutti quelli che hanno perso la speranza e la forza di credere in un futuro migliore. Siamo noi gli artefici del nostro destino, il bene e il male hanno sempre fatto parte dell’uomo,  spetta a ognuno di noi scegliere quale delle due parti far prevalere.

Estendendo il discorso anche al nostro quotidiano, possiamo scegliere la via più facile, ovvero criticare, lasciare ampio spazio alla negatività e incolpare sempre e solo gli altri dal divano di casa, oppure possiamo scegliere di accogliere nella nostra vita un pizzico di speranza e positività in più per noi stessi prima di tutto e per il nostro futuro.

Purtroppo tutti noi viviamo delle situazioni difficili nella vita, ma è il modo di reagire che ci rende vittime o no. Talvolta è necessario fermarsi  un istante per vedere  la bellezza dell’uomo, anche se a volte ci sembra nascosta. Non guardiamo solo ciò che ci manca, ma soffermiamoci di più su quello che già abbiamo, non facciamo l’errore di darlo per scontato.

Arianna Tringali

 

Agonismo: gli atleti del sacrificio

atleta

Quando rimaniamo a bocca aperta guardando nuotare Michael Phelphs o ci incantiamo davanti alla grazia di Roberto Bolle, inevitabilmente si pensa allo sport come elemento unificatore, come linguaggio universale, come attività che fa stare bene… questi valori affiorano alla mente di tutti, ma spesso non ci si ferma abbastanza a riflettere sull’altra faccia della medaglia.
Una volta entrati nella dimensione dell’agonismo lo sport non è più solo una questione di passione.
L’agonismo (dal greco agōnismós, lotta) ha un’enorme influenza su tutti gli aspetti della vita di un atleta, a livello fisico, sociale e psicologico: tutto ruota attorno al proprio sport, il resto è secondario.

A tredici anni, quando sono entrata nella squadra nazionale italiana di pattinaggio artistico su ghiaccio, mi allenavo quattro ore al giorno per sei volte a settimana e studiavo di notte.
La mia vita ha assunto un ritmo diverso: la combinazione tra vita scolastica, gare e allenamenti ha escluso qualsiasi altra attività di tipo ricreativo che dovrebbe caratterizzare la crescita di un adolescente, come uscire con gli amici, andare a feste di compleanno o avere un hobby alternativo.
A questi livelli lo sport diventa totalizzante, non lascia spazio ad altro e l’atleta si ritrova a vivere in una costante dimensione di stress e ansia in cui esiste solo il proprio sport, per il quale si devono spendere tutte le proprie energie.
La pressione psicologica che un agonista (di qualsiasi disciplina) subisce è altissima: l’aspettativa personale, quella di allenatori e preparatori atletici e la competizione con i compagni fanno scattare, nella mente dell’atleta, un meccanismo da non sottovalutare.

atleta

L’agonista non si accontenta mai di ciò che impara: una volta che un risultato viene ottenuto, diventa scontato, e viene posto immediatamente l’obiettivo successivo, più difficile da raggiungere.
Gli obiettivi devono essere raggiunti ad ogni costo, e per farlo si ricorre a restrizioni alimentari e allenamenti durissimi. Gli atleti diventano come delle macchine, non possono permettersi di essere stanchi o prendersi delle pause, altrimenti deluderebbero gli allenatori che “li rimpiazzerebbero” rivolgendo tutte le attenzioni ad atleti in condizioni fisiche migliori.

L’atleta quindi rimane intrappolato in una spirale negativa di duro lavoro e sacrificio che lo porterà a non sentirsi mai abbastanza bravo e, a causa della stanchezza, a subire degli infortuni.
Gli infortuni sono momenti molto difficili da affrontare per sportivi ad alti livelli, perché comportano una sospensione da gare ed allenamenti. In queste situazioni, gli allenatori sono i primi ad incitare gli atleti a ridurre le tempistiche di guarigione suggerite dai medici per ricominciare ad allenarsi e a “produrre” risultati.

Nel mondo del pattinaggio sul ghiaccio, si dice che un atleta “ha perso il treno” non solo quando smette di allenarsi, ma anche quando non riesce ad imparare in un determinato periodo di tempo alcuni elementi fondamentali, facendosi “superare” dai suoi compagni di allenamento e non riuscendo a mostrare le nuove tecniche durante le gare.
Un agonista non accetta quindi di fallire;  per questo, quando succede, prova una profonda frustrazione per aver lavorato e sacrificato moltissimo e non aver raggiunto il risultato desiderato. Dopo una competizione, l’atleta non è soddisfatto, non dà importanza a ciò che ha svolto correttamente, al percorso che ha fatto per poter partecipare ad una gara internazionale, ma la sua mente è tormentata da quei piccoli errori che hanno dato vantaggio agli avversari.

Avversari che molte volte comprendono anche i propri compagni di allenamento, con cui purtroppo non si riesce a stringere una vera amicizia a causa della continua tensione della competizione.

atleta

Un atleta agonista, quindi, deve avere un fisico forte e deve essere in grado di sostenere tutte le dinamiche psicologiche che il suo sport comporta.
Ma fino a quando una persona è disposta a sopportare tutto questo? Questa è la domanda che si pongono tutti gli atleti che, raggiunta una certa età, si sono resi conto di aver sacrificato gli anni più belli della propria vita senza essere diventati dei campioni di fama mondiale, di non aver raggiunto i livelli di Nadal nel tennis o di Carolina Kostner nel pattinaggio.
Questa è la domanda che mi sono posta anch’io due anni fa, dopo il mio quinto infortunio. L’estate in cui abbandonai la mia carriera agonistica (che stavo portando avanti da 14 anni), ho deciso di ascoltare il mio corpo, rispettarlo, e sviluppare quelle passioni che avevo sempre lasciato da parte per il pattinaggio.
Una volta chiuso il capitolo dell’agonismo, mi si sono aperte moltissime porte: ho vinto una borsa di studio di un mese in Giappone, ho imparato la lingua giapponese, ho scoperto di avere una grande passione per le materie scientifiche, ho conosciuto molte persone e sono entrata in contatto con realtà diverse.
Purtroppo, ci si rende conto di quante cose si possono fare oltre al proprio sport solo dopo che si è usciti dalla spirale frenetica dell’agonismo, e si capisce che molte volte le cose vanno prese con più leggerezza solo dopo alcune sconfitte.

E’ importante, quindi, saper distinguere il “fare sport”, inteso come mantenersi in buona salute e avere un gruppo di amici con cui sfogarsi dopo la scuola o il lavoro, dal “fare agonismo”.
L’agonismo è disciplina, è una scuola di vita che non perdona.

Tuttavia, quando ho smesso di essere un’agonista, ho pensato a tutto quello che mi ero persa della mia adolescenza, e ho capito che il pattinaggio mi aveva trasmesso dei valori che mi sarebbero stati utili per tutta la vita.
Grazie all’agonismo ho capito quanto bisogna impegnarsi per ottenere un risultato, che nessuno nella vita regala niente e ho conosciuto lo spirito di sacrificio.
Senza l’esperienza agonistica, probabilmente non sarei in grado di affrontare le situazioni difficili e non sarei la persona che sono adesso.

Camilla Cappellin

Appello contro la banalizzazione della meritocrazia

A tutti i professori.
All’istituto d’istruzione superiore Italo Calvino, come in ogni altro IIS del nostro paese, si educano i ragazzi perchè possano essere preparati alla vita oltre la scuola, dalle capacità lavorative a quelle logiche, dal senso del dovere al rispetto per gli orari. La frase può sembrare scontata e quasi banale ma è molto importante sottolinearlo poichè tutto ciò che si impara a questo punto della vita può riflettersi sull’intero arco vitale di una persona e, di conseguenza, sulla società che lo ospita, la nostra società.
Spesso ci lamentiamo del fatto che “in Italia non c’è meritocrazia, chi si impegna viene affossato e chi non fa nulla viene portato in palmo di mano” e cose simili: e se tutto ciò potesse essere fermato alle scuole superiori? Il periodo che è certamente alla base del pensiero socio-politico di una persona. Il mio appello è rivolto a tutti i prof: insegnate la meritocrazia a scuola. Molti già la insegnano con i fatti ma insegnatela esplicitamente, ve lo chiedo dal cuore. Parliamone in classe, evidenziamo l’importanza dell’equità nella società. Fate si che la classe dirigente del futuro sappia l’importanza dell’avere ciò che si merita, fate si che sia diversa da quella attuale. Perchè è il dare per scontati certi valori che li fa affievolire, non sono sottigliezze, nulla di banale. Nelle vostre mani avete un grande potere ed una grande responsabilità, sono certo che lo sappiate bene.

Questa lettera vuole essere un appello accorato, non una critica. Nel battermi per l’equità so di essere nel giusto, sentivo di doverlo fare. “Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana.” J. F. Kennedy. Giovanni Falcone amava riportare questa frase.

FESTA DELLA REPUBBLICA

Oggi, 2 Giugno 2017, la Repubblica Italiana compie 71 anni.

Infatti tra il 2 e il 3 Giugno 1946 si tenne il Referendum istituzionale  per determinare se mantenere l’allora attuale Monarchia o rendere l’Italia una Repubblica costituzionale.

L’affluenza alle urne fu dell’ 89,08%, il 45,7% degli Italiani votò in favore della Monarchia e il restante 54,3% per la Repubblica.

La Corte di Cassazione proclamò la vittoria della Repubblica il 10 Giugno del 1946.

Con questo Referendum venne abolita la monarchia dopo 85 anni di regno della dinastia dei Savoia di cui 20 anni furono di dittatura fascista.

Lungo la via dei Fori imperiali a Roma, per la Festa del 2 Giugno, ci sarà la “Rivista militare”, ossia un’ispezione compiuta da ufficiali su reparti militari schierati, in cui sfileranno quasi quattromila uomini e donne, tra militari e civili.

Inoltre, il cielo del centro di Roma sarà sorvolato due volte dalle Frecce Tricolori che con la loro coreografia apriranno e chiuderanno la parata in cui immancabile sarà l’inno d’Italia intonato da voci bianche.

 

 

 

 

Claudio Frattini

Ganbatte!

foto di Stefania Soldini

Cari Alunni del Calvino,

Sono una ex alunna del vostro liceo diplomata nel 2005.

L’impatto con il liceo è stato in salita! Ricordo le difficoltà incontrate il primo anno. Un po’ per mancanza di metodo di studio e un po’ per l’insicurezza che mi portavo dentro. Vi dirò di più, nel Gennaio del 2001 mi fu comunicato da una Prof. che avrei perso l’anno. La notizia per me fu devastante, non volevo assolutamente ripetere l’anno. Continuai a studiare e cercare di dare il massimo. Passai sopra la notizia… anche se ero consapevole che forse sarebbe stato tutto inutile. Vi posso dire che alla lunga l’impegno premia e che al Calvino ho anche incontrato Prof. che mi hanno capito e incoraggiato. In particolare, vorrei ricordare la Prof. Guerra e la Prof. Bianchi che sono sempre state dalla parte degli alunni, facendo l’enorme lavoro di comprendere la situazione piuttosto che limitarsi ai risultati delle valutazioni. Grazie al sostegno di queste due mitiche Prof.  e di altri Prof. negli anni a seguire passai l’anno con il minimo dei voti e un paio di debiti. La fiducia e l’incoraggiamento che mi è stato dato sono state fondamentali negli anni seguenti dove ho incominciato ad eccellere nelle materie scientifiche… latino era comunque rimasta una causa persa!

Veniamo a dopo il liceo. Nel 2005 mi diplomo e mi iscrivo alle lauree triennale e poi magistrale rispettivamente in Ingegneria Aerospaziale e Spaziale al Politecnico di Milano. Mi laureo alla magistrale nel 2011 dopo un esperienza in Scozia di sei mesi, dove svolsi la mia tesi sul controllo di assetto di un satellite dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Dopo un anno di esperienza lavorativa in Italia presso gli uffici dell’Agusta Westland (elicotteri militari), mi sono trasferita in Inghilterra, a Southampton, dove ho iniziato il dottorato di ricerca sullo studio delle traiettorie delle vele solari.

Stefania Soldini a Southampton

Durante i tre anni di dottorato sono stata sei mesi a Barcellona per portare avanti una collaborazione di ricerca tra le due università. Completata la tesi di dottorato e conseguito il titolo nel 2016 mi sono trasferita lo scorso Marzo a Tokyo con una borsa da ricercatore per lavorare all’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA). Attualmente, lavoro in JAXA sotto un nuovo contratto di Ingegnere Ricercatore alla missione giapponese Hayabusa 2. Hayabusa 2 è una delle due uniche missioni al mondo, insieme a quella della NASA, attualmente in programma per l’esplorazione degli asteroidi. Gli asteroidi potrebbero spiegare la teoria dell’origine della Vita. Se Hyabusa 2 trovasse “l’acqua” sull’asteroide potremo concludere che questi corpi insieme alle comete disseminano la Vita nell’Universo! Mi è stata data l’opportunità di seguire una missione da vicino in quanto Hayabusa 2 sta seguendo il suo corso verso l’asteroide con arrivo previsto nel Giugno 2018. Avere la possibilità di essere coinvolta ad una missione di esplorazione spaziale è un esperienza davvero eccitante ed unica.

Stefania vestita da giapponese

Ci tenevo a concludere che scegliere cosa fare nella vita dopo il liceo non è mai una scelta ovvia, ma soprattutto per esperienza personale vi posso dire che le difficoltà a scuola non determineranno la persona che sarete domani. La determinazione e la convinzione che con l’impegno si arriva ai propri obiettivi e aspirazioni personali è l’unica vostra forza, non i voti a scuola o l’aver ripetuto un anno.

E come dicono i giapponesi… Ganbatte! (Coraggio fate del vostro meglio!)

Domo Arigato Gozaimasu!

Stefania Soldini

Una nuova forma d’arte

Fin dal principio l’uomo ha cercato qualcosa che suscitasse in lui nuove emozioni. Tra le varie discipline che smuovono i nostri sentimenti, la più famosa è l’arte.

Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’arte per guardarsi l’anima.

Essa ha affrontato, negli anni, cambiamenti radicali, per quanto riguarda lo stile: dal romanico al gotico, dal barocco al neoclassico, dalla semplicità all’esagerazione e viceversa. Mentre, per quanto riguarda gli strumenti, ha avuto un’evoluzione quasi pari a zero, se non qualche miglioramento degli utensili. Nel 1839, però, un nuovo oggetto entrò in circolazione: la macchina fotografica. Purtroppo non ha avuto subito grande considerazione, ma solo dopo un secolo e mezzo circa, venne riconosciuta come un’inedita pratica artistica.

Io voglio parlarvi di quella cosa che crea, a chi ne coglie il significato, le così dette “farfalle nello stomaco”, non in ambito storico, ma riguardo le emozioni e il pensiero che ha il potere di cambiare questa nuova forma d’arte.

Fin dalla prima volta che ho preso in mano una fotocamera, ho provato euforia, perché mi sentivo un’artista; come quando ai bambini piccoli si danno i pastelli per colorare. Lo scattare foto mi ha insegnato ad osservare, a catturare e a fermare il tempo per godere di quell’armonia che esiste nel mondo e ad immaginare la storia che ha dietro di sé ogni oggetto. Ora guardo la natura con occhi diversi; mi blocco sempre ad ammirare i particolari e a pensare: “Wow…”. E’ proprio questo che la fotografia ha cambiato in me, perché prima che essa “entrasse” nella mia vita, pensavo che l’uomo fosse tutto, mentre adesso so che non è così: noi facciamo semplicemente parte di un meccanismo molto complesso, il quale va avanti in totale affinità.

In conclusione, per me la fotografia deve suggerire, non insistere o spiegare, ed è un’arte che, se la sai interpretare, ti migliora la vita.

 

Gender in Physics Day

Il 10 Maggio noi due, studentesse del liceo di Opera, Nada Mansour e Letizia Repizzi, abbiamo partecipato ad un convegno internazionale a Roma, dal titolo “Italian GENDER IN PHYSICS DAY”, presso la sede del Consiglio Nazionale delle Ricerche, in quanto selezionate con menzione speciale per il loro prodotto dal titolo: “l’altra metà del cielo”.

Nada e Letizia

Abbiamo ricevuto una targa, per il progetto da noi presentato per il concorso “Donne nella Fisica: stereotipi e pregiudizi di genere”. Continua la lettura di Gender in Physics Day

43 poeti per Ayotzinapa

“43 poeti per Ayotzinapa” è un’iniziativa letteraria internazionale per far luce sugli atroci fatti accaduti il 26 settembre 2014 agli studenti desaparecidos della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, Stato del Michoacàn.

Cominciamo per prima cosa proprio dalla scuola normale rurale, un istituto dello stato del Guerrero, Messico, in cui il tipo di preparazione è universitario, vi è un esame di accesso che viene superato da circa 120 studenti ogni anno. Dopo un paio di settimane per adattarsi, si cominciano le materie di studio: Osservazione della pratica docente, Geografia, Spagnolo, Scienze naturali, Matematica.

Gli studenti studiano e lavorano, coltivano fiori gialli, chiamati senpasuchil con cui alimentano una raccolta fondi che permette di sostenere le spese della scuola.

Tutto è cominciato il 26 settembre 2014, quando un centinaio di ragazzi dell’istituto si recò nella vicina Iguala per sequestrare alcuni autobus da utilizzare per raggiungere una manifestazione nella capitale, Città del Messico, ma, partiti per tornare in paese, furono intercettati dalla polizia locale.

Da questo momento la versione varia in base a chi la racconta: secondo i rapporti della polizia il fine dell’operazione era di fermare gli studenti che fuggivano a bordo degli autobus sequestrati; secondo il sindacato degli studenti, invece, l’attacco sarebbe stato effettuato dalla polizia, mentre i ragazzi erano fermi e vulnerabili.

Durante l’operazione, due studenti persero la vita, alcuni fuggirono ed altri furono sequestrati dalle Forze dell’ordine.

Si contarono in tutto 43 studenti scomparsi.

Lo Stato messicano non ha potuto fornire versioni plausibili dell’accaduto,fino ad ora, ma ha fabbricato verità di comodo per far passare questo crimine come un “fatto locale”.

Dopo la sparatoria, gli studenti rapiti vennero tenuti in custodia dalla polizia di Iguala, su ordine del sindaco della cittadina, Luis Abarca, considerato, insieme alla moglie Maria Pineda, il mandante della strage.
Seguendo la versione che lo Stato ha fornito alle famiglie delle vittime, i ragazzi sarebbero stati venduti alla banda criminale dei Guerreros Unidos, spacciandoli per appartenenti al gruppo rivale Los Rojos. A questo punto vennero portati alla discarica di Cocula dove furono uccisi da Patricio Retes, Juan Osorio e Agustin Garcia Reyes i quali, successivamente, bruciarono i corpi.

Subito dopo l’incidente del 26 settembre, Luis Abarca e Maria Pineda scapparono dallo Stato del Guerrero, ma furono arrestati il 4 novembre 2014.

La storia del sequestro da parte dei Guerreros unidos, della loro eliminazione con un colpo di pistola alla nuca, del grande falò con cui i narcos avrebbero fatto bruciare i corpi è una grande bugia inventata dalla magistratura per far uscire il governo dall’imbarazzo evidente e per consegnare al mondo una versione di comodo, organizzando addirittura un video con la confessione dei tre criminali.

L’ONU insiste per avere risposte e dichiara che il caso non è chiuso, come vorrebbe il governo Nieto, né può restare impune.

Nel frattempo gli anni passano e le famiglie, straziate dal dolore, possono solamente piangere i figli e fratelli scomparsi, organizzando marce e manifestazioni per chiedere che venga fatta luce sulla strage del 26 settembre.

Le conseguenze della Rivoluzione Industriale

A partire dalla seconda metà del ‘700, ebbe inizio in Inghilterra un fenomeno noto come Rivoluzione Industriale, risultato di un insieme di innovazioni economiche e sociali finalizzate a mutare la vita umana in tutti i suoi aspetti. Esso segnò un punto di svolta da un’economia sostanzialmente agricola ad una basata sulla produzione di beni tramite l’uso di macchine, rendendo l’industria (settore secondario) la principale fonte di reddito della società.

Questo insieme di cambiamenti si originò in Inghilterra per una serie di fattori favorevoli al suo sviluppo economico futuro: la disponibilità di capitali da investire, la ricchezza di materie prime dell’isola (soprattutto ferro e carbone), l’efficienza della rete di trasporti, la possibilità di poter disporre di un mercato internazionale molto vasto, la migrazione di masse di contadini dalle campagne alle città e le innovazioni tecnologiche operate da tecnici e scienziati inglesi.

Il primo settore ad essere trasformato dalle innovazioni tecniche della Rivoluzione Industriale fu quello tessile, molto attivo nell’isola a causa dell’ abbondanza di materie prime come lana e cotone, quest’ultimo fornito dalle colonie d’oltremare inglesi. Nell’arco di qualche decennio l’intera produzione di tessuti venne completamente automatizzata, grazie all’utilizzo di telai meccanici funzionanti tramite ruote idrauliche. Ma la vera innovazione in ambito economico e sociale fu l’invenzione della macchina a vapore ad opera di Thomas Newcomen, la quale fu poi perfezionata da James Watt nel 1769. Dapprima utilizzata in ambito minerario, per prosciugare le gallerie allagate, essa fu poi applicata nel settore dei trasporti, rivoluzionando il modo di spostarsi della gente, grazie all’invenzione di battelli e treni a vapore.

macchina a vapore

Tuttavia, questa serie di innovazioni ebbe un impatto molto forte sulle condizioni della classe produttiva. In primo luogo con l’istituzione delle fabbriche, unità produttive nelle quali i beni erano prodotti in grandi quantità con l’utilizzo di macchinari, il che condusse ad una frammentazione del meccanismo di produzione. Ad operai non specializzati, infatti, spettava il compito di eseguire azioni semplici e ripetitive, anche per 15 ore al giorno, in condizioni lavorative pessime e in ambienti malsani. In quell’epoca non esistevano leggi che stabilivano la durata delle giornate lavorative e tutelavano i diritti della classe operaia: si può spiegare in questo modo il perché dello sfruttamento di donne e bambini all’interno delle fabbriche, e la presenza di bambini molto piccoli (5-7 anni) nelle miniere.

Anche le condizioni urbane della classe produttiva erano miserabili: dettate dal sovraffollamento, dovuto alla migrazione di manodopera dalle campagne, le città industriali sorte nei pressi delle fabbriche mancavano di servizi igenico-sanitari fondamentali, come il rifornimento d’acqua, le fognature e gli ospedali. In questi ambienti insalubri e fatiscenti era molto facile contrarre malattie infettive, e di conseguenza l’aspettativa di vita in quelle città subì un grosso calo.

Over London by Rail Gustave Doré c 1870
Over London by Rail Gustave Doré circa 1870

Si può dunque affermare che con l’avvento della Rivoluzione Industriale la condizione dei lavoratori peggiorò, ma tuttavia negli anni Venti e Trenta del XIX secolo sorsero le prime organizzazioni sindacali a difesa dei lavoratori, e le loro condizioni di lavoro migliorarono gradualmente. In Italia, ad esempio, l’orario di lavoro di otto ore fu raggiunto solo nel 1919.

Diego Nesticò