Le foibe

Il Giorno del ricordo in Italia si celebra il 10 febbraio, in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Questa solennità civile è stata istituita con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, ove si legge

« La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero. »

Riporto uno stralcio, che ritengo significativo, del discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del “Giorno del ricordo” (Roma, 10 febbraio 2007)

« … va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe (…) e va ricordata (…) la “congiura del silenzio”, “la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio”. Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali. »

Ritengo che sia importante tenere vivo nelle nuove generazioni il ricordo delle vittime delle Foibe, in modo da impedire che si ripetano gli stessi orrori.

Terremoto 1 e 2

Amici, colleghi, parenti… tutti chiedono del terremoto.

Scrivere non sembra più un problema per i miei ragazzetti. Gli errori di ortografia sono sempre tanti, ma la frasi vengono, magari un po’ sghembe, magari sgrammaticate, però sono frasi e si capiscono. Qualcuno ci ha anche preso gusto ed insiste per scrivere nel blog le sue piccole storie.
La lettura, invece, è sempre motivo di sofferenza. Leggono, certo. Sembra anche che leggano bene, ma capire è ancora una missione impossibile.

Forse per questo eravamo tutti concentrati in un lavoro di comprensione del testo: una pagina del diario di Pigafetta, con tante domande a cui rispondere e, ahimè, le risposte erano un disastro.
Lavoravano quieti, però. Non ci siamo accorti della scossa, ma la voce della collega dell’aula accanto si è sentita benissimo: «Fuori tutti, terremoto!» Continua la lettura di Terremoto 1 e 2

Salvi per caso

Si legge nella circolare Prot. n.0000330 del 20 gennaio 2012, a firma del Ministro F.to Francesco Profumo:

“La Legge 211 del 20 luglio del 2000 ha istituito in Italia, come in molti altri Paesi del mondo, il “Giorno della Memoria”, allo scopo di tramandare e rafforzare nei giovani la consapevolezza della Shoah, renderne sempre vivo il ricordo e tributare il doveroso omaggio alle vittime e a chi si oppose al progetto di sterminio nazista, sacrificando la propria libertà e la propria vita.
E’ stata scelta in Italia, come nella maggior parte dei paesi del mondo, la data del 27 gennaio, giorno in cui nel 1945 vennero aperti i cancelli del campo di sterminio nazista di Auschwitz…”

Pubblico la testimonianza scritta, lasciata ai propri figli e nipoti, di un giovane di allora che visse la prigionia da settembre del 1943 a maggio del 1945, prima nei campi di concentramento M. STAMMLAGER VI-J, KREFELD FICHTENHAIN e ARBEITS-KOMMANDO Nr. 1162J e poi nel campo di lavoro AUGUST ENGEL – VELBERT (lavoro svolto in condizione di schiavitù).

“Sono stato fatto prigioniero il 9 settembre 1943 alla stazione ferroviaria di Reggio Emilia ed a breve tempo sono stato spedito in Germania, chiuso in un vagone merci senza vitto né acqua. Dopo cinque giorni di viaggio infernale e diverse ore di marcia, sono giunto al campo di concentramento di Meppen, situato a pochi chilometri dal confine olandese. Dieci giorni dopo sono stato portato a Velbert in Renania nell’acciaieria AUGUST ENGEL, dove sono rimasto fino alla primavera del 1945 fra stenti, fatica e fame. All’inizio il vitto era accettabile ma in seguito le razioni cominciarono a diminuire ed in proporzione diminuiva il mio peso ridotto ormai a 37 chili (altezza 175 cm). In quelle condizioni ero diventato un automa, senza volontà né spirito di conservazione; non ricordavo e nemmeno pensavo alla mia famiglia, ero diventato un numero, il numero 120 e nulla più.
Giunse la primavera del 1945, mi incolonnarono con altri provenienti da altri campi e ci fecero camminare per una settimana, senza sosta, giorno e notte mangiando l’erba del ciglio della strada e bevendo l’acqua dei canali. Eravamo partiti in duemila circa ma verso la fine della settimana di passione (era la Settimana Santa del 1945) eravamo rimasti poche centinaia di relitti umani. L’intento era di portarci fuori in tempo dalla sacca della Rhur, ma l’ottava armata americana chiuse il cerchio e ci fermammo. Dopo tre giorni eravamo liberi. Eravamo a Meinerzhagen (Altena) dove gli americani avevano organizzato dei centri di raccolta degli ex deportati e internati. Seguirono spostamenti vari e poi finalmente a casa.
Era il 12 settembre 1945, avevo 23 anni, ma mi sentivo vecchio e stanco.”

Inutile dire che il ricordo di quello che si è visto e vissuto rimane indelebile nell’animo e condiziona pesantemente la vita futura di un individuo.

In queste poche righe “il giovane di allora” ha semplicemente esposto i fatti ed ha omesso alcuni particolari, che ha invece raccontato di persona. Ne cito solo due, che mi sembrano significativi :
1) durante il periodo vissuto a Velbert, un soldato tedesco aveva cercato di far pervenire loro del cibo ed aveva pagato con la vita quel gesto di umanità. Una volta liberato il “il giovane di allora” con altri due sopravvissuti si recò a casa del soldato tedesco per aiutare la moglie con figli piccoli e per garantire loro protezione in quel periodo di rappresaglie;
2) la sera precedente la liberazione i tedeschi portarono ai pochi prigionieri rimasti barattoli di marmellata avvelenata, in modo da non lasciare testimoni. Per fortuna un vecchio alpino capì immediatamente quale fosse l’intento degli aguzzini, che nel frattempo si erano dati alla fuga, lasciandoli rinchiusi in un capannone. Cercò di bloccare i giovani affamati, ma solo alcuni riuscirono a salvarsi.

Spero che il ricordo dei genocidi non venga mai meno e si diffonda tra i giovani la consapevolezza di quali enormi e devastanti effetti possa determinare l’odio dell’uomo contro l’uomo.
Mi piace citare questa frase del Premio Nobel Gunter Grass
“Anche se i nostri figli e nipoti non sono colpevoli, porteranno sempre la responsabilità di far sì che il passato non si ripeta”

Vi consiglio il seguente filmato (“SALVI PER CASO” di Antonio Ferrari e Alessia Rastelli) , se avete la curiosità di ascoltare la testimonianza di otto degli ultimi testimoni viventi (Goti Bauer, Benjamin Capon, Liliana Segre, Heinz Salvator Kounio, Franco Schonheit, Nina Benroubi, Nedo Fiano, Rachel Revah)

http://video.corriere.it/salvi-per-caso/index.shtml

Un’alunna alla sua prof…

Girovagando nel cyber-spazio ho trovato nel sito “I DOCENTI SCAPIGLIATI” questa lettera scritta da una studentessa.
Quanta verità e saggezza in queste poche righe. Quanta ammirazione, quanta gratitudine e quanto amore trasmette questa ragazza.

Lettera ad una professoressa
di Isabella Stoppa

Dopo quattro anni mi sono accorta che… cazzo fare l’insegnante è il mestiere più difficile del mondo. Bisogna saper conciliare conoscenza, pazienza, voglia.

Voglia di insegnare, voglia di comunicare, voglia di sapersi divertire, e di sapersi mettere in gioco.
Bisogna saper dosare la severità con la morbidezza, essere umani. Perché, quando si entra in una classe e questa non ha voglia di seguire una lezione ci si sente un po’ come Don Chisciotte quando voleva combattere contro i mulini a vento. Una battaglia persa!
Bisogna saper camminare a piccoli passi e mettersi dall’altra parte. Dietro quel banco, magari l’ultimo, con la testa affollata di pensieri…di grandi piani per conquistare l’universo in una sola giornata! Quanto diventa difficile ascoltare!
Bisogna saper catturare l’attenzione seppure l’argomento sia noioso da morire. L’attenzione di tutti, anche di quello studente dallo sguardo scettico che già quando varchi la soglia è prevenuto e ti guarda con quell’aria giudicante di chi non vede l’ora che sbagli.
Ma soprattutto bisogna sapersi mettere in gioco e giocare fino all’ultimo minuto, dare tutto e tentare tutto. E quando non ti sentirai più la forza di andare avanti ecco: è in quel momento che avrai vinto. E ora come il piccolo principe guardava il suo fiore prepararsi tu guarderai il tuo… “Il piccolo principe, che assisteva alla formazione di un bocciolo enorme, sentiva che ne sarebbe uscita un’apparizione miracolosa, ma il fiore non smetteva più di prepararsi ad essere bello, al riparo della sua camera verde. Sceglieva con cura i suoi colori, si vestiva lentamente, aggiustava i suoi petali ad uno ad uno. Non voleva uscire sgualcito come un papavero. Non voleva apparire che nel pieno splendore della sua bellezza.”.
Tu l’hai aiutato a prepararsi alla vita dandogli nozioni, sgridate ma soprattutto amore. Tenevi ad ognuno di loro come se fosse l’unico e gli volevi bene ugualmente anche se glielo dimostravi in maniera diversa.
Fare l’insegnante non è un semplice mestiere, e chi solo lo ha mai pensato non è degno di sedersi dietro quella cattedra. E’ un gioco di relazioni, strategie e pura follia.
E’ a lei che voglio dedicare queste righe perché nessuno, come direbbe de Saint-Exupèry, ha saputo meglio di lei sopportare dei bruchi.
“Si devono pur sopportare dei bruchi se si vogliono vedere le farfalle… Dicono siano così belle!”
Con affetto
una sua alunna

Isabella Stoppa

Buon Natale al fantastico mondo del Calvino

Io che fantasia non ho, auguro a tutti un Sereno Natale e mi piace farlo con

Lo zampognaro

Se comandasse lo zampognaro
Che scende per il viale,
sai che cosa direbbe
il giorno di Natale?

“Voglio che in ogni casa
spunti dal pavimento
un albero fiorito
di stelle d’oro e d’argento”.

Se comandasse il passero
Che sulla neve zampetta,
sai che cosa direbbe
con la voce che cinguetta?
“Voglio che i bimbi trovino,
quando il lume sarà acceso
tutti i doni sognati
più uno, per buon peso”.

Se comandasse il pastore
Del presepe di cartone
Sai che legge farebbe
Firmandola col lungo bastone?

” Voglio che oggi non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbiano lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino”.

Sapete che cosa vi dico
Io che non comando niente?
Tutte queste belle cose
Accadranno facilmente;

se ci diamo la mano
i miracoli si faranno
e il giorno di Natale
durerà tutto l’anno.

Gianni Rodari

Che strano sogno…

“I sogni sembrano reali finché ci siamo dentro, non ti pare? Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto che c’era qualcosa di strano.”

Sveglio.

Ho ricordi confusi di quello che ho appena sognato, ma se mi trema ancora la mano non deve essere stato molto piacevole. Respiro a fondo e cerco di calmarmi.

Ora ricordo. Ho fatto un incubo. Uno di quelli che, una volta svegli, viene spontaneo dire “per fortuna era solo un incubo”.

Allora, vediamo se riesco a raccontarlo. Chiedo scusa già da adesso se quello che sto per raccontare risulterà un po’ confuso, ma abbiate pietà: non è facile ricomporre i cocci di un sogno come il mio…

Ero… un professore. Esatto, un professore di liceo, almeno credo. E mi lamentavo… mi lamentavo con un collega. Credo fosse perché i miei studenti erano demotivati durante le mie spiegazioni e quando interrogavo o facevo verifiche, le mie classi erano piene di banchi vuoti. Ero arrabbiato per questo perché, ero assolutamente convinto che le mie spiegazioni fossero chiarissime e non capivo perché fossi sempre interrotto per chiedere delucidazioni.

Ero un bravo professore che agiva per il bene dei suoi ragazzi! Era per il loro bene se li tenevo sotto torchio con le interrogazioni e li caricavo di lavoro! E loro come mi ripagavano? Con continue assenze strategiche? Non lo potevo tollerare.

Ricordo di essermi lamentato di una ragazza che un giorno mi disse una cosa del tipo “Lei ci dà da studiare come se non avessimo anche altre materie”. Ma come si permetteva? Io le davo una mano e lei me la mordeva? Che maleducazione!

Ricordo che mi lamentavo dei risultati imbarazzanti di tutte le mie valutazioni, che gran parte degli studenti andasse a ripetizioni e che a fine anno c’era sempre un numero consistente di rimandati nella mia materia. Com’era possibile? Io gli insegnavo in modo addirittura troppo semplice, non poteva essere colpa mia! Ero sicuro di non sbagliare in niente.

Ricordo, infine, che il mio collega mi disse qualcosa – sono certo che sia qui che è cominciato il vero e proprio incubo –, ma non ricordo cosa… So che è stato in quel momento che mi sono sentito crollare il mondo addosso e ho cominciato ad urlare e disperarmi (ed è proprio dopo questo fatto che mi sono svegliato).

Ecco! Mi disse con un tono particolarmente severo: “Questa situazione è colpa tua. Se decine di studenti hanno problemi con te, non è possibile credere che sia solo ed esclusivamente colpa loro. Stai sbagliando tutto.” Ed ecco spiegato perché mi sono disperato: ero cieco. Le mie certezze si basavano su presupposti assolutamente sbagliati, quindi con quella frase le mie certezze erano venute a crollare come un castello di carte.

Ora sono più calmo. Meno male che era solo un sogno. Dopo tutto, professori così non esistono neanche…

Me ne vado all’estero

Riporto i dati contenuti nell’articolo di Laura Pulici da http://ulisse.sissa.it/scienza7/notizia/2011/nov/Uesp111125n001/

Ogni anno circa 50mila italiani lasciano il bel Paese per trasferirsi all’estero. Nel 2009 se ne sono andati più di 48mila, il 16% con una laurea in tasca, nel 2000 erano il 9,7%. Questi “cervelli in fuga” – giovani e brillanti neolaureati, ricercatori e professionisti – hanno portato con sé 4 miliardi di euro. È questo, infatti, il valore economico dei 301 brevetti depositati dai 20 principali scienziati italiani emigrati all’estero, secondo i calcoli dell’Istituto per la Competitività (ICom). Del resto il 35% dei 500 migliori ricercatori italiani lavora all’estero. Se consideriamo i primi 100, addirittura uno su due ha abbandonato il nostro Paese.
C’è chi, come l’ex ministro della Salute Ferruccio Fazio, considera il fenomeno non come una fuga, ma una “fisiologica mobilità all’estero”. “Non c’è un’emorragia di intelligenze italiane, ma normale mobilità nell’ambito della ricerca, che ha caratteristiche diverse da quelle di altri lavori, come i metalmeccanici, che non prevedono mobilità”, ha affermato Fazio a Cernobbio qualche settimana fa, suscitando non poche polemiche tra gli altri scienziati presenti.
Quello che distingue l’Italia dagli altri Paesi sviluppati è il bilancio negativo tra “brain drain” e “brain gain”, cioè la scarsa capacità di università, centri di ricerca e industrie italiane di attrarre ricercatori e professionisti oltre confine. In media per ogni “cervello” che entra in Italia, ne esce uno e mezzo.
Tuttavia, in Italia, la ricerca si fa e anche con buoni risultati in rapporto alla scarsità di stanziamenti. Come rileva lo studio dell’ICom, abbiamo un numero di ricercatori più basso rispetto agli altri Paesi del G7, ma con un indice di produttività individuale superiore alla media dei principali Paesi europei. Tutto questo in un clima di carenze di risorse, nessun riconoscimento del merito e sottoinquadramenti. Solo per fare un esempio, secondo i calcoli di Almalaurea, se un neolaureato italiano all’estero guadagna in media 1.568 euro al mese, il suo collega rimasto in Italia ne prende solo 1.054.
Proprio per frenare la fuga dei cervelli italiani è in vigore la legge 238/2010 che garantisce sgravi fiscali ai talenti che desiderano tornare a lavorare in Italia. Per ora, anche se non c’è una statistica ufficiale, sono pochi ad averne usufruito. Chissà perché.

Ogni commento è superfluo.