Che cos’è il nazionalismo?

L’origine del nazionalismo è da ricercare nel principio di nazionalità che si era diffuso nella prima metà dell’Ottocento (periodo del Romanticismo e della politica espansionistica di Napoleone). Questo principio si è evoluto in relazione alla nascita della società di massa., tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Il crescente bisogno di affermazione e superiorità estremizzò il principio di nazionalità.
Il nazionalismo diventò sempre più funzionale alla crescente rivalità tra le nazioni; inoltre non fu più un’espressione della volontà dei popoli, ma esso si fondava sulla convinzione dell’esistenza di una divisione naturale del genere umano. Di conseguenza, la guerra diventò la migliore arma del nazionalismo in quanto sanciva l’affermazione del più forte sul più debole determinando una sorta di “selezione naturale” tra le nazioni.
Proprio per le conseguenze che ebbe, acquisì un’accezione negativa: infatti il termine nazionalista designa colui che ama la propria patria ma odia quella altrui.

Immagine simbolo del nazionalismo patriottico
Eugene Delacroix La Libertà che guida il popolo (1830), Museo del Louvre – sventola la bandiera nazionale; uno dei simboli del nazionalismo europeo.

Alcuni dei contesti in cui il nazionalismo ha avuto conseguenze rilevanti su larga scala sono quello panslavista russo e quello tedesco. Continua la lettura di Che cos’è il nazionalismo?

Che importanza ha la filosofia?

Nelle scuole superiori è riservata particolare attenzione allo studio della filosofia, che però, spesso, risulta non molto interessante e di difficile comprensione agli occhi degli studenti. Lo studio di questa materia viene visto come noioso e inutile: una vera perdita di tempo. Ma in realtà, la filosofia è di grande importanza per l’uomo, per svariate ragioni.

La parola “filosofia” fece la sua comparsa verso la fine del V secolo a.C. in Grecia e significa letteralmente “amore per il sapere”. Quindi il filosofo è una persona che desidera conoscere, che non accetta le “verità” che gli vengono proposte, ma le mette in dubbio; egli si pone domande e guarda la vita con occhio critico .

La filosofia, secondo Aristotele (uno dei più grandi filosofi della storia antica), nasce dallo stupore, dalla curiosità, dal meravigliarsi a tal punto di ciò che ci circonda fino a chiedersi “perché?”. Quindi essa è un atteggiamento di curiosità (e non un’attività intellettuale), che tutti possono adottare. Già, proprio tutti. Perché se è vero che far filosofia equivale a porsi domande, a formulare dei “perché”, allora anche il bambino nella sua natura è un po’ filosofo.

Chi fa filosofia sottopone ad esame le credenze della gente su se stessa, sulla natura, sul mondo, per sperimentare se sono fondate, sostenibili, giustificabili. Il filosofo non dà mai nulla per scontato, ma cerca sempre di analizzare le ragioni delle scelte, dei comporatamenti, delle idee. Quindi un aspetto molto importante della filosofia è che accresce lo spirito critico di una persona, aumenta la sua voglia di esplorare, di analizzare, di esaminare, aiuta a mettersi in discussione, a porsi domande intelligenti e permette di affrontare problemi comuni in modo flessibile.

La filosofia è la scienza dell’intero, che si occupa del “conoscere” in generale, e quindi permette di analizzare tutto con una grande varietà di metodi e di idee; consente di guardare gli stessi argomenti che studiano le altre sienze con occhi diversi. Essa è un modo razionale di osservare il mondo.

Lo studio della storia della filosofia ci aiuta ad arrivare al possesso di noi stessi, a comprendere meglio la nostra mente grazie alla conoscenza dei pensieri di altri venuti prima di noi. Quindi, le diversità delle opinioni ci aiutano a crescere interiormente.

Allora io mi chiedo: come si può affermare che la filosofia sia inutile?

Il riposo di Gea

Dal momento della creazione, il pianeta Gea, meglio conosciuto col nome di Terra, iniziò la sua lenta e progressiva evoluzione. In un ambiente verde e rigoglioso, nacquero le prime forme di vita: animali d’ogni grandezza, d’ogni colore ed aspetto, carnivori ed erbivori, cominciarono a prendere parte all’ambiente circostante. Fin da subito, il perfetto equilibrio tra flora e fauna era tale da garantire l’armonia nella vita di ogni specie.
Ben presto, però, l’abbondanza delle risorse di Gea spinse gli animali a desiderare molto più di quanto avessero bisogno e la loro cupidigia distrusse poco a poco il preesistente equilibrio tra le specie: gli erbivori trasformarono i prati verdeggianti in terra brulla e le chiome degli alberi divennero spoglie. I carnivori causarono una drastica diminuzione di esemplari rischiando l’estinzione delle specie più deboli.
Mancavano pochi mesi al termine del suo primo anno di vita, e Gea stava già morendo, così il dio creatore, stanco e deluso dal comportamento degli animali, decise di porre un freno. Gli animali dimostratisi più avidi caddero in un sonno lungo e profondo, che Dio chiamò letargo, e sugli alberi ormai spogli e sulle pianure aride calò un manto bianco e freddo, la neve, che conservò l’ambiente così come era stato lasciato.
Dopo pochi mesi, e dopo che Gea ebbe compiuto il primo anno d’età, con il calore dei raggi del Sole il manto bianco cominciò a ritirarsi, scoprendo una natura nuova e rigenerata. L’ambiente piacque molto al Dio creatore, che decise di risvegliare gli animali per mostrare loro il meraviglioso paesaggio. Questo periodo di rinascita fu chiamato Primavera.
Col passare dei giorni, l’ambiente riacquistò l’equilibrio, l’abbondanza e la magnificenza di un tempo, scaldato e illuminato dal Sole e talvolta bagnato da piogge leggere. Era il periodo più bello, poiché ricordava il paesaggio creato al principio, e Dio lo chiamò Estate.
Dio, però, temeva che gli animali fossero sopraffatti nuovamente dalla loro cupidigia. Decise, quindi, di impoverire l’ambiente, spogliando le chiome degli alberi e preparando ogni specie ad un nuovo letargo. Questo periodo venne denominato Autunno.
Ben presto, venne la neve. Tutto taceva ed ogni essere riposava nel suo letargo. Dio chiamò Inverno questo periodo di silenzio e riposo, e attese con pazienza la rinascita del più meraviglioso dei pianeti mai creati: Gea.

L’origine della notte

All’inizio dei tempi, sul pianeta Terra, esisteva solo il sole, che splendeva sempre e non tramontava mai.
Gli uomini, conoscendo solo la luce, lavoravano tutto il giorno senza fermarsi mai e pur avvertendo la stanchezza fisica che aumentava di giorno in giorno non riuscivano ad addormentarsi.
Un giorno tutti gli uomini del mondo, davvero stremati, furono colpiti improvvisamente da un sonno profondo che neanche la luce del sole riuscì ad evitare.
Il dio Sole, osservando la scena dall’alto, fu meravigliato da questo strano evento; egli non aveva mai veduto gli occhi degli uomini chiudersi, neanche una volta, perché la sua brillantezza glielo impediva. Così, cominciò a pensare che gli uomini avessero bisogno di un momento di riposo come premio per il lavoro svolto fino ad allora.
Allora, si privò di due raggi: con uno creò una sfera luminosa, ma capace di diffondere una luce più tenue; l’altro raggio lo frantumò in piccolissimi pezzi da spargere nel cielo.
Nacquero così la luna e le stelle, che diedero vita al buio e permisero agli uomini, e anche al sole, di riposare.

L’accordo fra il Mare e la Terra

All’inizio dei tempi vi erano il dio Mare e la dea Terra. Questi erano in continua competizione per contedersi il territorio disponibile sul pianeta. Il Mare, più potente, ne occupava la maggior parte.
Dopo le innumerevoli piogge che accrescevano e rinforzavano il Mare, la Terra iniziò a temere di essere sovrastata dall’impeto del suo acerrimo nemico.
Pur sentendosi nettamente inferiore, la dea prese coraggio e decise di affrontare il dio Mare.
Stipularono un accordo: la dea Terra avrebbe scavato dei solchi e delle crepe sul suo corpo per accogliere l’eccesso di acqua che la stava sommergendo. Il dio accettò ma subito iniziarono a nascere i primi problemi. Il sale del dio Mare infastidiva la dea Terra, la quale non esitò a lamentarsi chiedendo che quella sostanza venisse rimossa. Seppur controvoglia il Mare accettò. Fece passare nelle crepe della dea solamente acqua dolce. Così nacquero i laghi e i fiumi che permisero alla dea Terra di continuare a vivere.
Dopo ormai tanti anni, la dea Terra e il dio Mare riuscirono a stabilire un sincero e solido rapporto di amicizia.

 

Ritrovare il gusto della storia

Ho frequentato il liceo scientifico nella prima metà degli anni Settanta e il programma di storia che studiai in Quinta cominciava con il Congresso di Vienna (1815) e si concludeva con il fascismo (accennato sommariamente solo nell’ultima parte dell’anno e con molta cautela, trattandosi di un argomento troppo “caldo”). Seconda guerra mondiale, Resistenza, Costituzione repubblicana: tematiche bollenti e misteriose, lasciate alla malsana curiosità di studenti “politicizzati”, poco adatte al severo rigore dell’indagine storica.

Da allora sono passati, ahimè, quasi quarant’anni; ma la scuola continua a considerare le vicende accadute dopo il 1945 quasi di stretta attualità, alle quali riservare un frettoloso e superficiale sguardo d’insieme un mese prima dell’esame di Stato, a conclusione di tredici anni di frequenza scolastica. E così abbiamo ragazzi di 19 anni che escono dai nostri licei conoscendo magari qualche sentenza mal digerita di autori latini, la concezione aristotelico-teologica di Dante, la trama del “Fu Mattia Pascal” (di un noto autore “contemporaneo”!), qualche triade dialettica hegeliana (a memoria), o la data dell’incoronazione di Carlo Magno; ma ignorando allegramente la differenza tra il Governo e il Parlamento. Per limitarsi alla storia italiana, la preparazione di uno studente dell’ultimo anno esclude quasi sempre – solo per fare qualche esempio – argomenti come gli anni del miracolo economico, la contestazione studentesca e l’autunno caldo, la stagione delle bombe e delle stragi, per non parlare della P2, di Tangentopoli, della storia delle mafie, del passaggio dalla “prima” alla “seconda Repubblica”, e molto altro ancora.

Mi chiedo: dovendo scegliere se trascurare la Dieta di Worms (1521) o il maxi-processo contro Cosa Nostra (1986-88), quale delle due “inadempienze” è più grave? Cosa preferiamo che non ignorino i nostri ragazzi? Perché di questo si tratta, di scegliere.

Gli illuminati riformatori della scuola italiana hanno deciso di tagliare le ore di storia, mentre contemporaneamente fanno aumentare il numero di alunni per classe e, ipocritamente, prescrivono di non trascurare alcun argomento di rilevanza storica utile a comprendere lo sviluppo della nostra civiltà. Che, tradotto, significa continuare a rovesciare addosso agli studenti – che non a caso nella loro maggioranza considerano la storia una materia mnemonica e noiosa – tonnellate di nozioni relative a un passato remoto o remotissimo, ignorando come al solito la conoscenza e l’analisi critica del mondo attuale.

A me, francamente, ciò appare come un clamoroso fallimento del sistema scolastico, capace solo di riprodurre all’infinito se stesso e i propri contenuti arcaici, inerti, privi di autentica vitalità. Come si spiega altrimenti che non appena si propone agli alunni di affrontare problemi legati alla contemporaneità (la loro, non quella dei loro nonni o bisnonni) si animano, partecipano, si appassionano?

In 27 anni di insegnamento non mi è mai capitato che un genitore si lamentasse perché a scuola non c’era tempo per affrontare, che so, le vicende legate alla “strategia della tensione” negli anni ’70; in compenso, oggi trovo un genitore che si duole perché, con due ore di insegnamento settimanale, decido di non fare studiare a rotta di collo mille anni di storia, ma propongo ai miei studenti di concentrarsi “solo” sugli ultimi 250, per capirli, esplorarli, approfondirli. E’ senz’altro una scelta didattica discutibile e quindi ben venga la discussione; ma inviterei a riflettere se per caso non passi anche da qui la possibilità di introdurre nella nostra scuola un po’ di vigore culturale, di passione etico-civile, restituendole una funzione di stimolo ad un apprendimento critico, anti-enciclopedico, meno meccanico, passivo e finalizzato unicamente al voto .

Soprattutto suggerisco di parlarne con i ragazzi, la cui motivazione allo studio dovrebbe stare a cuore a tutti noi. Anche per aiutarli a diventare dei cittadini accorti e consapevoli.

P.S. Naturalmente mi rendo conto del disagio procurato dal cambiamento del libro di testo e me ne scuso, anche se io stesso ho scoperto la mia assegnazione alla 3B per le ore di storia a inizio anno. Faccio però presente che nel corso del triennio i volumi da acquistare saranno complessivamente due invece di tre e, in tempi di crisi, anche un piccolo risparmio non guasta. Ma ciò ovviamente prescinde dall’oggetto della discussione.

Credo ut intelligam, intelligo ut credam

Sant'Agostino
La più antica immagine di Agostino, risalente al VI secolo, in un affresco nella basilica del Laterano

“Credo per comprendere, comprendo per credere”. Con queste parole, Sant’ Agostino, afferma che condizione e fondamento della ricerca razionale debba essere la fede; d’altra parte l’uomo, grazie all’intelletto, può accogliere e comprenderne meglio i contenuti. Tuttavia è opportuno chiarire prima il significato dei termini “fede” e “ricerca razionale”: il primo, per definizione, è “la credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive”; il secondo è un procedimento condotto mediante l’uso della ragione e che si basa su dati reali e appurati.

Ciò che secondo noi è contraddittorio è il rapporto che lega entrambi questi termini: infatti se si ha fede in qualcosa, non si sente la necessità di dimostrare tale credenza, proprio perché è fondata sull’ autorità altrui (nel caso di Sant’Agostino, Dio) o su una convinzione personale. Dunque, ricordando le definizioni, si può affermare che la vera contraddizione sta nel tradire ciò in cui si ha fede cercando di dimostrarlo tramite l’intelletto.

Matteo Bonamassa, Luca D’Ambrosio

Learning Week “Dal latte al gelato” (09-14 Luglio 2012)

Ciao Calvino!

Iniziamo un nuovo anno scolastico ricordando con grande entusiasmo l’esperienza della Learning Week “Dal latte al gelato” (09/14 Luglio 2012) alla quale hanno partecipato la prof. Paola Ventura , il prof. Maurizio Lapadula e gli alunni Federico Galli, Miriana Traverso, Mattia Giacone (ITAG), Elisabetta Lenzo, Luigi Matrone, Lorenza Pantusa, Fatima Salai, Sara Sturla e Antonietta Spezzacatena della Classe 4a A Itc (anno scolastico 2011/2012). I percorsi di Learning Week sono settimane di studio, di apprendimento e di acquisizione di esperienze, di relazioni, che favoriscono il rafforzamento delle conoscenze e delle competenze dei giovani e una più efficace introduzione nel mondo del lavoro. Il project work di quest’anno ha consentito a noi allievi più alcuni nostri coetanei, provenienti da tre indirizzi diversi (Tecnico Commerciale, Agrario ed Alberghiero), di mettere in gioco e in comune le nostre specifiche competenze, prevalentemente: tecnico – produttive per l’agrario, tecnico – gestionali per il tecnico commerciale e di preparazione alimentare per gli chef ed i pasticceri. La classe, così composta, ha svolto un percorso di conoscenza diretta ed esperienziale della filiera del latte, dall’allevamento dei bovini alla produzione del latte, alla distribuzione e all’utilizzo per la produzione del gelato, inoltre, tutti noi ragazzi, abbiamo avuto l’opportunità di progettare e simulare lo start up di un’agrigelateria. Continua la lettura di Learning Week “Dal latte al gelato” (09-14 Luglio 2012)

Perdere il filo della Storia

Della scuola, i genitori scoprono le cose un po’ alla volta. A giugno, come è stato valutato il lavoro dei figli; a luglio, quali saranno i libri di testo. Solo a settembre, con l’avvio delle lezioni, quali saranno gli insegnanti. E può anche capitare di scoprire, dagli insegnanti appunto, che i libri (adottati e pubblicati sul sito scolastico) non verranno utilizzati. Motivo: si salta a piè pari il programma previsto normalmente per un anno di corso e si passa direttamente a quello successivo.

 Metto le carte in tavola: si tratta dell’idea di articolare il programma di Storia del triennio a partire dal Settecento. Lo scopo, dichiarato e in sé condivisibile, è quello di trattare con maggior ampiezza e grado di approfondimento la Storia recente.

 Il Presidente del Consiglio Monti (riferendosi nel suo caso allo Statuto dei Lavoratori), diceva che talvolta con l’intenzione di tutelare degli interessi si finisce invece per danneggiarli. L a sua dichiarazione non è stata accolta con simpatia; temo che lo stesso possa accadere anche al sottoscritto, visto che sto per dire cose simili, ma non mi pare giusto, come diceva Lutero a Worms, mettere a tacere la propria coscienza.

 Ecco, appunto, Lutero. Incominciare con il Settecento significa escludere settecento anni di Storia europea (dal momento che, secondo i nuovi programmi, l’insegnamento della Storia nel secondo biennio dei Licei dovrebbe prendere le mosse dal sec. XI). In questi settecento anni si colloca per esempio anche la Riforma protestante. Più in generale, vi si trovano: “i diversi aspetti della rinascita dell’XI secolo; i poteri universali (Papato e Impero), comuni e monarchie; la Chiesa e i movimenti religiosi; società ed economia nell’Europa basso medievale; la crisi dei poteri universali e l’avvento delle monarchie territoriali e delle Signorie; le scoperte geografiche e le loro conseguenze; la definitiva crisi dell’unita religiosa dell’Europa; la costruzione degli stati moderni e l’assolutismo; lo sviluppo dell’economia fino alla rivoluzione industriale; le rivoluzioni politiche [inglesi] del Seicento”. Cito tra virgolette, perché si tratta delle “Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento” per i Licei, il documento prodotto nel contesto della recente riforma della Scuola Secondaria e che dovrebbe costituire “l’intelaiatura sulla quale le istituzioni scolastiche disegnano il proprio Piano dell’offerta formativa” e “i docenti costruiscono i propri percorsi didattici”.

Nelle Indicazioni nazionali, circa i temi elencati sopra, si dice che “non potranno essere tralasciati”.

 Certamente la riforma ha anche i suoi aspetti irritanti di incongruenza: mentre prescrive di “non tralasciare” questo e quello, riduce le ore di Storia nel quinto anno. Tuttavia, per quanto irritati, ci sentiamo davvero di sostenere che la storia delle autonomie comunali, le scoperte geografiche, Riforma e Controriforma, l’organizzazione e le giustificazioni teoriche dello Stato assoluto sono argomenti che i ragazzi possono anche fare a meno di conoscere? E se non li spiega il docente di Storia chi lo farà al suo posto? Forse il professore di Italiano, che anche lui (o lei) subisce i disgraziati tagli di orario, dovrà, mentre spiega Dante, fornire anche tutte le informazioni del caso sulla Firenze della fine del ‘200, su guelfi e ghibellini, sul priorato e su Giano della Bella, su Bonifacio VIII, ecc.? E poi, quando i ragazzi studieranno il Barocco in Arte o Tasso in Letteratura Italiana e si imbatteranno in espressioni come “il clima culturale della Controriforma”, come se la caveranno per capirci qualcosa? Chi insegna Arte ha diritto di concentrarsi sull’analisi della produzione artistica, presupponendo che il contesto storico sia stato chiarito dal docente a cui è affidato.

 Dal momento inoltre che questa distribuzione del programma viene proposta come sperimentazione, aggiungerei che le sperimentazioni dovrebbero essere dichiarate in anticipo alle famiglie, per consentire loro di scegliere.

 Concludo con una citazione dal P.O.F. 2012-2013: “Pur riconoscendo la specificità dei singoli indirizzi, in tutti i corsi di studio i docenti perseguono i seguenti obiettivi didattici comuni:

– fornire una buona cultura generale e dare una visione organica [!] dello svolgimento della civiltà” (pag. 6)

 Spero di aprire un proficuo dibattito

 Cordialmente

 Un genitore

Il signor Miller in Italia

Mi permetto di consigliare questo articolo, trovato sulla Repubblica di ieri.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/09/09/il-caso-henry-miller-ultimo-processo.html?ref=search

Si tratta di un autore che credo meriti molte delle ore del nostro tempo -questa, l’opinione di un semplice appassionato. Di lui, oltre al Personaggio che si trova ad essere, ho gradito particolarmente l'”Opus Pistorum” (imperdibile se non altro perchè ancora oggi suona un romanzo estremo, e come succede ad ogni pezzo d’arte fuori dal suo tempo, potrebbe non esserlo più fra qualche anno) e “Il sorriso ai piedi della scala” -un consiglio del professor Colavolpe durante ultimo anno di Liceo-, libro che da quanto ho capito è oggi fuori pubblicazione ma che trovate facilmente alla biblioteca di Rozzano.

Qualche informazione in più, se si vuole:
http://it.wikipedia.org/wiki/Henry_Miller

Buon anno scolastico!, ciao.