E guerra fu

Le cause che diedero inizio alla Prima Guerra Mondiale, come tutti sappiamo, furono moltissime: politiche, culturali, sociali… Ma la scintilla che fece esplodere il conflitto fu l’attenato contro il futuro erede al trono d’Austria Franceso Ferdinando e sua moglia Sofia. Fra ‘800 e ‘900 l’uccisione di regnanti in Europa non era un evento raro, ma si trattava sempre di fatti circoscritti, per cause e conseguenze, ai confini interni degli Stati. Così non avvenne per l’assassinio dell’Arciduca austriaco. L’attentato infatti fu utilizzato dal governo di Vienna come il casus belli e diede formalmente inizio alla Grande Guerra.

Esisteva un gruppo politico chiamato “Giovani Bosniaci” composto da giovani membri di alcune società segrete tra Serbia e Austria-Ungheria, che aveva come idea di fondo quella di eliminare l’impero asburgico con un movimento rivoluzionario per porre fine alla dominazione austriaca sulla penisola balcanica. Tra questi c’era Gavrilo Princip.

Il 28 giugno 1914, l’Arciduca e la moglie si trovavano in visita in Bosnia per poter osservare le manovre miltari ed assistere all’inaugurazione di un museo a Sarajevo. L’attentato era stato preparato attentamente: un uomo era posizionato ad un’alta finesta di un palazzo per poter mirare , ma non riuscì nel suo intento perchè vi era troppa gente che ostacolava il successo del colpo; un altro membro del gruppo, mentre la vettura dell’arciduca passava a bassa velocità sul lungofiume dell’Appel, lanciò una bomba a mano, però mancò la vettura, provocando comunque molti feriti tra gli ufficiali e il popolo. Pensando che tutto fosse fallito, i Giovani attentatori abbandonarono l’impresa. Per il successivo spostamento si decise che le automobili dell’arciduca dovessero viaggiare a velocità più elevate e cambiare la strada precedentemente decisa, per evitare altri attentati. L’autista della vettura di Ferdinando e della moglie commise però un errore di percorso e si arrestò per cercare la giusta direzione. In quel momento, per puro caso, Princip si trovava lì, appena fuori da un negozio di alimentari, e sparò due colpi dal marcapiede a lato della vettura, colpendo Sofia al petto e Ferdinando al collo, unico punto non protetto dal giubbottino antiproiettile. Le vittime morirono nel trasferimento per i soccorsi. Le ultime parole pronunciate da Ferdinando furono: “Sofia cara, non morire! Resta in vita per i nostri figli!” (“Sopherl! Sopherl! Sterbe nicht! Bleibe am Leben für unsere Kinder!“)

Chiara M. e Chiara C.

Gavrilo princip
assassino di Ferdinando e Sofia

Società di massa e globalizzazione

Possiamo definire la nostra società come una società di massa; quest’ultima, infatti, come quella attuale, è caratterizzata in primo luogo da una diffusione di massa dei prodotti di consumo (telefoni, automobili, televisori…) accessibili a tutti in particolare nel mondo occidentale.
Le prime manifestazioni di questo tipo di società risalgono agli inizi della Seconda rivoluzione industriale, mentre con la Terza essa si diffuse in tutto il pianeta, dando luogo a un fenomeno non più solo economico, ma anche politico e culturale: la globalizzazione.
Nella società di massa i cittadini vivono in grandi città e vengono rappresentati non più da piccole comunità, ma dalle grandi istituzioni (Stati, partiti, sindacati…); gli individui non producono più ciò che consumano, ma lo comprano con il denaro ricavato dal lavoro; i comportamenti quotidiani delle persone, infine, si uniformano secondo modelli generali. In una società di massa, dunque, i singoli individui scompaiono rispetto al gruppo.
Con la diffusione della società di massa anche la vita privata delle famiglie mutò: insieme all’illuminazione elettrica e all’acqua potabile si diffusero i cosiddetti mass media, cioè i mezzi di comunicazione di massa (radio, televisione, quotidiani).
In campo economico si sviluppò enormemente il settore terziario, ossia il settore dei servizi (banche, ospedali, scuole…) e nacque la pubblicità.
Anche il mondo della scuola subì un radicale cambiamento: l’istruzione, non più considerata un bene riservato ai più abbienti ma un diritto di tutti cittadini, venne resa obbligatoria e gratuita, nonché organizzata e finanziata dallo Stato. Tuttavia ciò provocò la reazione degli ambienti più tradizionalisti, che vedevano in un popolo alfabetizzato e istruito un pericolo per le classi privilegiate.
Con la società di massa si diffuse in molti stati europei il suffragio universale maschile (in Italia nel 1912). L’estensione del diritto di voto fece nascere nei movimenti politici la necessità di conquistare il consenso di un gran numero di elettori e portò quindi alla nascita dei partiti politici di massa. Contemporaneamente sorsero organizzazioni sindacali nazionali, la cui arma principale per ottenere aumenti dei salari e riduzioni delle ore lavorative era lo sciopero.

Per concludere bisogna ricordare che, oltre all’omologazione e alla spersonalizzazione degli individui di fronte al gruppo, l’avvento della società di massa favorì la nascita dei movimenti politici totalitari del ‘900 (fascismo, nazismo e comunismo), impensabili al di fuori di questo tipo di contesto.

mmagine dello sciopero del 1912 del settore tessile a Lawrence
mmagine dello sciopero del 1912 del settore tessile a Lawrence (Massachusetts)

Rerum Novarum, l’appello della Chiesa a un accordo fra parti nella nostra società.

Leone XIII
Leone XIII fu il primo Papa a interessarsi alla questione sociale.
Leone XIII
Rerum Novarum, pubblicata nel 1891

La Rerum Novarum non fu sicuramente un documento improvvisato. Alle sue spalle ci furono anni di lavoro e ampie ricerche da parte di autorevoli vescovi. Questa enciclica rappresenta il primo passo concreto della chiesa sul tema del dibattito sociale.

Papa Leone XIII scelse di prendere una posizione moderata, che criticava sia l’odio e i movimenti rivoluzionari della classe operaia, sia il comportamento verso i dipendenti e lo schiavismo che a volte era ancora presente in certe situazioni. Alle seguenti problematiche egli sottolinea il valore delle associazione (le quali possono essere sia di soli operai, sia miste, ovvero con operai e padroni). Precisa anche che è meglio creare una nuova associazione che rappresenti appieno la propria idea, piuttosto che aderire ad una alla quale poi non si parteciperebbe entusiasticamente. Infine il Papa condanna la lotta di classe e la massoneria, poichè esse minerebbero all’armonia tra le due classi sociali.

Nello specifico la Rerum Novarum non condivideva l’idea dell’abolizione della proprietà privata poiché con essa non veniva meno il problema della povertà ma anzi, si acutizzava la diversità, sconvolgendo anche poi tutto l’ordine sociale. Per questo motivo l’enciclica venne vista dai marxisti come un’opera principalmente strutturata per criticare la politica socialista in quanto la denuncia verso il capitalismo appariva molto blanda. Infatti risuonava molto forte la difesa della proprietà privata da parte del Papa, il quale chiedeva un intervento mirato dello Stato, mentre per quanto riguardava l’affermazione dei diritti dei lavoratori Leone XIII non chiariva allo stesso modo il ruolo che avrebbe dovuto rivestire lo Stato nella questione suddetta. Un altro tema trattato dalla Rerum Novarum era quello delle organizzazioni sindacali, le quali, in poche parole, avrebbero dovuto semplicemente opporsi alle organizzazioni socialiste e di classe.

Questo testo rappresentò perciò, principalmente per i cristiani, un forte richiamo rivolto ad uno Stato assenteista che non rispettava e difendeva affatto i diritti degli operai, i quali erano ormai sempre più oppressi dalla legge del profitto.
L’enciclica infine non forniva soluzioni definitive ma confermava il valore della possibilità di riunirsi in associazioni, poichè essa non derivava altro che dalla natura socievole dell’uomo.

La parola come arma

Gorgia

La parola, arma più pericolosa? Come affermazione pare esagerata, eppure proprio di questo era convinto il filosofo Gorgia. Attraverso un discorso ben costruito da una persona capace, si può convincere che è giusto ciò che sembra sbagliato e che è sbagliato ciò che sembra giusto. Non ha valore il contenuto in sè, ma solo l’abilità che ciascuno di noi ha di persuadere la gente. E i più bravi in questo, sempre secondo l’opinione di Gorgia, sono i sofisti.

Però, la mia mente (come penso quella di chiunque altro) ad un’affermazione del genere si ribella. Possibile che non abbia valore ciò che diciamo, ma solo come lo diciamo? Un sofista, o chiunque sappia essere carismatico, con il suo discorso ci ha quindi in pugno, ci domina. Non nego l’importanza del saper parlare: le stesse argomentazioni presentate attraverso parole diverse possono essere più o meno convincenti e suscitare emozioni differenti in chi le ascolta. Ma da questo al dire che la sola e unica cosa che conta è il come ci si esprime, di strada ce ne vuole. Se davanti a noi c’è una persona priva di qualsiasi spirito critico, pronta a farsi soggiogare dalla magia delle parole, allora si può dire che Gorgia ha ragione. Ma la realtà è un po’ diversa. Ogni uomo ha le sue opinioni, che non possono essere annullate dall'”incantesimo” di cui secondo Gorgia potremmo essere vittime. Un uomo carismatico rende le sue argomentazioni più persuasive di un uomo che fatica ad esprimersi, può farle sembrare inconfutabili, ma se ciò che dice il primo uomo va contro la nostra morale o le nostre convinzioni non è pensabile che muteremo la nostra idea senza rifletterci. Un esempio che potrebbe appoggiare il principio e la posizione di Gorgia è quello di Hilter, che non si è imposto sulla scena politica solo con la forza: è stato eletto dal popolo tedesco. Il popolo non ha saputo vedere ciò che si nascondeva dietro le parole di Hitler e, senza porsi troppe domande, ha seguito il suo percorso; si è affidato alla magia che le sue parole sapevano provocare.
C’è una cosa però su cui mi trovo d’accordo con Gorgia: ciò che fa la differenza è la conoscenza. Se non si conosce si è più disposti a credere all’opinione altrui, che può essere ingannevole e illusoria. Invece, il “sapere” consente di farsi un’idea su una questione e di trovare delle argomentazioni per confutare il discorso persuasivo che tenta di ingannarci o per sostenere la nostra opinione.

E poi, se Gorgia fosse stato davvero così in gamba come diceva nel persuadere la gente attraverso le parole, ora io non sarei contraria a ciò che lui dice, no?

La relatività del relativismo

Protagora (al centro) insieme a Democrito (seduto a sinistra)
Salvator Rosa – Protagora (al centro) insieme a Democrito (seduto a sinistra)

Celebre la massima di Protagora: “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono”. Ogni uomo ha la sua concezione della verità, conforme alla società in cui vive e alle sue condizioni intellettuali e fisiche. Dunque, tutto è relativo.
Protagora ha fatto sorgere in me molti dubbi. Così ho cercato di riflettere. Se tutto è relativo, infatti, non esiste il vero, ma se non esiste il vero, su cosa fondiamo le nostre scelte?
Protagora sostiene che esse possono esser basate sul criterio dell’utile per cui scelgo ciò che mi fa stare meglio, ma, anche in questo caso sorgono spontanee altre molteplici domande: come faccio a sapere che cos’è meglio? E soprattutto, siamo sicuri che ciò che è meglio per me lo sia anche per gli altri? E in che misura conta ciò che è meglio per me e in quale ciò che è meglio per gli altri? Posso sempre fare ciò che è più comodo a me e trascurare ciò che è comodo agli altri? E infine, anche volendo scegliere ciò che è meglio per la maggioranza, cosa mi dice che non sia la maggioranza a sbagliare, o meglio, cosa mi dice che la maggioranza non sia stata in realtà influenzata e portata a fare una determinata scelta perché manipolata? Quindi scegliere “cosa è meglio” è più difficile del previsto. L’uomo infatti, di fronte a una scelta, deve cercare di capire quale delle due opzioni gli permetterebbe di vivere in maniera migliore, ma ciò potrebbe andare contro il “vivere bene” degli altri. Si potrebbe pensare che in fondo questo non sia molto importante e che, se ognuno punta al proprio bene il problema è risolto. Ma dato che noi essere umani viviamo continuamente in relazione con gli altri e ci differenziamo come tali proprio grazie al fatto che comunichiamo tra di noi, allora forse riuscire a vivere bene non è molto diverso da far vivere bene gli altri. Il criterio dell’utile quindi spesso non è sufficiente al fine di fare una scelta e qualche volta può essere necessario ricercare qualcosa di più attendibile e condivisibile da tutti, insomma, in alcuni casi è indispensabile, almeno a mio parere, andare a cercare qualcosa che vada oltre l’opinione e si avvicini a una verità che Protagora sostiene non esista. Per capirci: come può essere affare individuale, qualcosa che incide sulla relazione con gli altri?
E ancora, Protagora sostiene che tutto è vero. Ma nel momento in cui tutto è vero, il vero perde il suo significato, in quanto esso esiste solo in contrapposizione al falso ed è quindi più corretto dire che per Protagora non esiste né un vero né un falso, ma solo punti di vista. Io non credo che ciò sia vero.
Prima di tutto, infatti, se diciamo che “tutto è relativo” automaticamente stiamo assumendo la relatività come verità, pertanto bisogna partire dal presupposto che anche la relatività sia un concetto relativo e possa essere messa quindi in discussione.
La vita è sicuramente piena di incertezze, l’uomo, non è in grado di conoscere e sapere tutto. Ci sono cose infatti che vanno oltre la sua capacità di ragionamento e non possono essere comprese, come la sua stessa funzione di uomo, il suo destino e la sua origine. Ma affermare che esistono concetti alla cui verità nessun uomo può aspirare, per cui esistono solo opinioni “relative” non solo è diverso dal “negare” una verità, ma è diverso anche dal sostenere che non esista “nessuna” verità oggettiva. Penso inoltre che se una verità è irraggiungibile dall’uomo, allora forse non è poi così importante discutere sulla sua relatività. Per esprimere meglio il concetto, a mio parere è ovvio che, dal momento che la conoscenza dell’uomo è limitata, esistano situazioni in cui ci sono solo opinioni e su cui ogni uomo ha il suo modo di vedere e interpretare ciò che vede, ma, nel momento in cui questo è assodato è inutile continuare a discutere in merito a ciò e conviene cercare di andare oltre queste “verità irraggiungibili”.
È bene quindi distinguere due concetti di verità: il primo è quello di una verità incomprensibile all’essere umano, a cui egli non può avvicinarsi, mentre il secondo è quello di una verità fondata sulle certezze dell’uomo, per la quale credo sia possibile contraddire il concetto di relatività. Esistono infatti delle certezze come le scienze che non possono essere messe in discussione e alcune norme morali e comportamentali che si sono tramandate per secoli e che possono essere ormai considerate “vere” in ogni contesto. Anche se è vero quindi che in alcuni casi la relatività è indispensabile, non è possibile scegliere sempre sulla base di cosa è meglio in quanto anche cosa è meglio è relativo. Ci sono situazioni che, nonostante siano considerate normali e radicate in una determinata cultura sono “oggettivamente” immorali e quindi sbagliate. L’uomo non deve quindi andare alla continua ricerca delle verità che non può raggiungere ma, nel momento in cui deve prendere una decisione è importante che si chieda non solo cosa sia “meglio” ma anche cosa sia “giusto”.

Le olimpiadi nel passato

Chiunque sa cosa siano le Olimpiadi, ma le antiche origini sono in pratica sconosciute a molti di noi; cerchiamo di far emergere qualche dettaglio interessante.

La prima Olimpiade antica venne organizzata nel 776 a.C. ad Olimpia, in onore dei defunti e delle divinità. Questi eventi erano considerati manifestazioni sia atletiche sia religiose, in onore di Zeus, re degli dei, e ovviamente erano visti come spettacolo di massa. Gli atleti gareggiavano nudi, vestiti della propria virtù.

Col passare del tempo cominciò a dilagare la corruzione e il Cristianesimo vedeva questi giochi una sorta di festa pagana, inaccettabile, poiché veniva messo in evidenza il corpo e non l’anima; fu quindi con l’imperatore romano Teodosio che nel 393 d.C. le Olimpiadi vennero sospese.
In molti tentarono di riesumare i valori olimpici e grazie al barone francese Pierre de Coubertin nel 1896 d.C. fu ufficialmente aperta la prima edizione delle Olimpiadi Moderne, che si svolse ad Atene. Alle donne era vietato gareggiare, tanto per cambiare.
Venne introdotto il simbolo dei cinque anelli, usando i colori che compaiono sulle bandiere di tutto il mondo. A ogni colore corrisponde un continente: blu per l’Europa, nero per l’Africa, rosso per le Americhe, verde per l’Oceania e giallo per l’Asia. Con questo simbolo il barone francese Pierre de Coubertin voleva sottolineare lo spirito di fratellanza e di unione dei continenti.

Anche Hitler è riuscito a lasciare un segno, poichè fu proprio con lui che venne introdotta la fiaccola olimpica; inoltre, durante le olimpiadi di Berlino, venne reinserito il calcio e fu introdotta la pallacanestro.

cinque anelli olimpici
cinque anelli olimpici

Con le Olimpiadi moderne sono cambiate molte cose. Gli alteti gareggiano vestiti, l’evento non è più considerato religioso, sono stati introdotti vari sport e alle donne è permesso gareggiare. Un breve accenno va anche fatto alle Paraolimpiadi, ossia le Olimpiadi dei disabili. Purtroppo non credo che molte persone seguano questo evento, tuttavia sono interessanti. Ad esempio esiste il calcio per ciechi!

Nonostante tutti questi cambiamenti, il cuore di questo evento mondiale è rimasto lo stesso: trovare un momento di ritrovo e unione in cui confrontarsi a livello atletico, e il premio non sono soldi, ma onore e medaglie. Come disse il vescovo anglicano Ethelbert Talbot (e non Pierre de Coubertin, come affermano vari libri) “l’importante non è vincere, ma partecipare”; ma ad essere sinceri un atleta olimpico può arrivare a essere pagato fino a 50 milioni di dollari (per esempio Lebron James o Kobe Bryant, mica male!).

Gabriele Bertoli e Andrea Vaghi

Mito e realtà

Il mito è un racconto in cui vengono narrate le gesta di dei ed eroi leggendari. Questo serve a rispondere in modo simbolico a diverse domande che l’uomo si pone, come ad esempio le origini del mondo, dell’umanità, di un popolo, ma è anche un modo per descrivere la realtà, ad esempio i fenomeni atmosferici. Infatti, per l’uomo primitivo, la natura, la vita, la morte e tutto ciò che lo circondava, apparivano come una serie di eventi senza senso e il mito era quindi un modo per aiutare a conoscere la realtà.

Sono molti i miti che si sono formati prima dell’invenzione della scrittura, e che sono simili tra loro, pur appartenendo a diversi popoli geograficamente collocati in luoghi differenti. Ad esempio, in alcuni miti dell’America si raccontano storie simili a quelle di altri miti dell’Asia, dell’Africa o dell’Europa; cambiano diversi fattori, cambiano alcuni particolari ma l’intreccio e il significato delle storie restano gli stessi.
Uno dei miti che è stato riscontrato in molte civiltà è quello del diluvio universale. Però il mito non va confuso con altre narrazioni quali la leggenda morale, la favola sentimentale, l’episodio storico romanzato o favole su terre felici, in quanto essi divennero “istituzioni” religiose fondamentali: il loro contenuto era perciò condiviso e ritenuto importante da tutti, soprattutto durante la civiltà greca e quella romana, sotto cui si riscontra un congruo numero di miti, alcuni molto simili tra loro, in quanto, oltre a ciò che viene detto prima, la religione greca era stata “inglobata” da quella romana.

Penso che il mito sia una forma di spiegazione che gli uomini dei tempi antichi usavano per capire alcuni fenomeni che allora erano inspiegabili, di cui una parte sono oggi stati “spiegati” grazie al progresso scientifico, come ad esempio fenomeni naturali; infatti è un mezzo per arrivare a una conoscenza superiore di sé e della realtà.

Il doppio volto di Giolitti

L’azione di governo di Giolitti fu caratterizzata da una profonda contraddizione. Il suo modo di far politica venne definito del “doppio volto”:
• aperto e democratico nell’affrontare i problemi del Nord
• conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del Sud

Il doppio volto di Giolitti
Il doppio volto di Giolitti

Per quanto riguarda il Nord, non represse gli scioperi e favorì l’organizzazione di associazioni di lavoratori. Alle critiche dei conservatori che lo definivano troppo tollerante, rispose affermando che in Italia non esisteva un reale pericolo rivoluzionario. Giolitti promosse numerose riforme in campo sociale: venne riconosciuta la validità degli scioperi per motivi economici, venne regolamentato il lavoro femminile e minorile, fu resa obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e ricostruì la Cassa nazionale per l’invalidità dei lavoratori, diminuì le ore lavorative, istituì l’ispettorato del lavoro e nel 1912 introdusse il suffragio universale maschile. Il progresso era ovunque: la rete ferroviaria, i trafori alpini, lo sviluppo dell’idroelettricità, le grandi opere di bonifica e d’irrigazione consentirono un notevole incremento della produzione in tutti i settori. La produzione del grano e dei vini raddoppiò. Ebbe inizio l’esportazione del cotone.
Tutto ciò portò all’aumento dei salari dei lavoratori e, di conseguenza, nel Nord si andò diffondendo un benessere economico.

Il Mezzogiorno, invece, era depresso ed impoverito, abbandonato ai latifondisti; in particolare, era diffuso il clientelismo e la corruzione. Qui Giolitti, al contrario del Nord, controllò le elezioni politiche facendo ricorso ai prefetti, impedì agli avversari di tenere i comizi elettorali, falsificò i risultati elettorali e usò la malavita per intimidire gli avversari. Di fronte agli scioperi, non fu neutrale: fece intervenire le forze dell’ordine e ciò causò numerose vittime. Per questo modo di operare gli fu rivolto l’appellativo di ministro della malavita. I salari dei lavoratori scesero portando povertà e disoccupazione. Molti contadini furono costretti a emigrare verso l’America.

Giulia D’Antuono e Giulia Naretti