La parola: un mezzo di comunicazione che spesso trae in inganno

“La parola è una gran dominatrice che, anche col più piccolo e invisibile corpo, cose profondamente divine sa compiere. Essa ha la virtù di stroncare la paura, di rimuovere la sofferenza, di infondere gioia e d’intensificare la commozione” affermava uno dei più noti sofisti, Gorgia.

Che cosa voleva dire?
Come possono, le parole, comportarsi da dominatrici su tutto e compiere cose divine? E sopratutto… in che modo sono in grado di provocare sensazioni così diverse in un solo animo?

Secondo Gorgia, la parola non viene utilizzata per indicare come stanno realmente le cose, ma piuttosto per persuadere le persone che ci circondano, per stimolare le loro emozioni e infine per ingannarle.
La parola viene identificata da Gorgia con un’arma pericolosa; un’arma che ha una grande forza persuasiva, capace di sedurre le persone che l’ascoltano, di far approvare ciò che viene affermato e di stimolare nuove emozioni in chi la sente.
Essa non agisce attraverso argomenti che convincono l’intelletto, ma in maniera inconscia, rendendo nulla  la consapevolezza di chi ne subisce il fascino.
Quante volte, infatti, ci facciamo ammaliare da chi riesce a catturare la nostra attenzione con un semplice discorso… Le parole pronunciate con una grande sicurezza e molta enfasi, improvvisamente, ci appaiono piene di verità e accettiamo come vero tutto ciò che ci viene detto. Rimaniamo affascinati dalle parole utilizzate e ci convinciamo che quello che è stato detto sia giusto anche se in realtà non lo è del tutto o per niente.
La parola, tra l’altro, può essere paragonata ad una medicina. Come un farmaco può sollevare il nostro corpo ed un altro può danneggiarlo; allo stesso modo alcune parole possono dilettare l’animo ed altre affliggerlo.
È incredibile, infatti, come un litigio ci possa rattristare e demoralizzare per tutto il corso della giornata e invece una semplice parola di conforto possa rallegrarci immediatamente.

Riconosciamo, dunque, che la parola (che pare un semplicissimo mezzo di comunicazione) in realtà può nascondere una serie di inganni.

Francesca Mantellini

L’origine della pioggia

All’origine del mondo, a volte, il cielo si riempiva di nuvole ma non pioveva mai.

pioggia

Viveva nei boschetti della terra una ninfa Napea di nome Pioggia, figlia di Zeus. Era molto bella e piena di allegria, tanto da suscitare anche molta invidia, soprattutto da parte di Fiamma, una ninfa Driade malvagia, che viveva nella foresta e che si divertiva ad incendiare gli alberi.
Pioggia organizzava spesso con le sue amiche meravigliose danze animate dalla sua elegante flessuosità nel ballare e giochi a cui partecipavano i ragazzi dei villaggi vicini.
In occasione di una festa, la bella ninfa, giocando a nascondino, conobbe un giovane di nome Markus di cui si innamorò perdutamente. Il suo amore fu corrisposto, anche se il fanciullo era già promesso sposo a Fiamma.
Pioggia e Markus passarono intere giornate insieme, coltivando il loro forte amore, fino a quando, entrando in una foresta, si ritrovarono davanti Fiamma, che, appena li vide, scatenò la sua ira uccidendo il ragazzo.
L’innamorata riuscì a scappare, pregando Zeus di salvarla. Il padre allora la trasformò in una nuvola per tenerla vicino a sè nella volta celeste.
Pioggia, da allora, continuò a vagare per il cielo non smettendo mai di piangere per la tristezza insita in lei. Unica consolazione era quella di poter in tal modo spegnere gli incendi generati da Fiamma.

Ma cos’è il mito?

Un mito è una narrazione, dove solitamente i protagonisti sono dei ed eroi, relativa alle origini del mondo o alle modalità con cui il mondo stesso e le creature viventi hanno raggiunto la forma presente. La parola deriva dal greco mythos che significa parola, discorso, racconto. Solitamente le vicende narrate nel mito hanno luogo in un’epoca che precede la storia scritta.

Inizialmente i miti erano tramandati oralmente; per capire meglio come è fatto un mito ho provato a scriverne uno che risponde alle domande: perché l’uomo non può fare ciò che vuole? Perché alcuni fenomeni naturali sono catastrofici?

Una volta che Dio ebbe creato la Terra e i suoi abitanti, diede ad una delle sue creature, quella che gli parve essere la più ragionevole, il potere di esaudire ogni suo desiderio. Questo essere era l’uomo. All’inizio i suoi bisogni erano molto semplici: cibo per sfamarsi, un riparo per la notte…

Ma poi, quando l’uomo ebbe paura di un leone e desiderò qualcosa per far scappare la belva, apparve il fuoco e capì quanto era grande il suo potere. Iniziò a desiderare sempre più cibo e, dopo un lungo periodo di solitudine, desiderò una compagna con cui condividere le sue giornate; anche ella aveva questo strano dono, così chiese qualcosa che potesse unirla a quell’uomo in maniera profonda e le venne data la possibilità creare altri piccoli esseri della loro specie.

Così l’uomo e la donna riempirono la Terra di creature simili a loro.

Ma Dio, quando l’uomo chiese di poter essere più potente di tutti, persino di più di colui che tutto aveva creato, scatenò contro di lui e i suoi discendenti, tutta la forza della Terra: fulmini, tuoni, terremoti, maremoti e vulcani eruttanti. Dio tolse il potere all’uomo e, per sicurezza, anche alla donna, decidendo così di essere l’unico detentore di poteri straordinari. Per ricordare poi all’uomo e ai suoi figli ciò che aveva fatto, Dio con l’aiuto dei fenomeni terrestri, avrebbe ricordato periodicamente con catastrofi naturali chi dei due era e doveva essere il più forte. Come ulteriore punizione, Egli decise che la vita dell’uomo e di tutte gli abitanti della Terra doveva  avere sì un inizio ma anche una fine; così impose la morte su tutte le sue creature.

Non si riprese i precedenti oggetti di desiderio dell’uomo e della donna, ma venuta la loro ora, entrambi morirono.

La forza “magica” delle parole

La forza magica delle parole
La forza magica delle parole

Da sempre, presso tutte le culture, chi sa ben argomentare riesce a persuadere le menti più deboli. Nell’antica Grecia questa capacità fu chiamata dialettica ed era insegnata soprattutto dai sofisti.

Uno di questi fu Gorgia, sofista originario di Lentini, allora famosissimo. Usava la sua abilità come strumento per aver sempre la meglio nelle discussioni e per confutare le affermazioni degli altri… un compito non facile, direi.

Secondo la sua teoria, parole e verità sono due concetti nettamente diversi e per questo le parole non hanno la funzione di dire la verità ma, piuttosto, di far credere agli altri, attraverso le capacità persuasive e le argomentazioni convincenti di colui che parla, che quello che egli afferma è il vero. Non aveva importanza l’argomento di cui si parlava, ma era fondamentale il modo col quale era esposto tale argomento. Gorgia si vantava, infatti, di poter parlare di qualsiasi argomento.

Grazie al suo metodo, colui che lo ascoltava rimaneva ammaliato dalle parole che udiva e come “incantato” si lasciava convincere. Le parole erano per lui un mezzo “magico” per stupire e convincere le altre persone.

Ma io, invece, sono dell’idea che ognuno abbia la propria opinione, che può essere giusta o sbagliata, e che il contenuto di un discorso sia importante tanto quanto il modo nel quale i concetti di tale discorso sono presentati: se una persona espone le sue motivazioni su un argomento in modo straordinario, ma tale argomento non è credibile, non sarà mai possibile che chi ascolta gli dia ragione.

La materia di cui si tratta deve avere almeno un minimo di credibilità e una base veritiera. Non è poi così facile far sembrare vero il falso e far credere che il vero sia falso perché ognuno di noi ha capacità di giudizio.

L’uomo senza spirito critico, pronto a sottomettersi alle convinzioni degli altri, che Gorgia usa come modello, non è la regola, ma, piuttosto, l’eccezione.

Un parere autorevole

Trovo in rete e ripropongo:

Gli insegnanti, il cui orario settimanale è andato via via aumentando, sono diventati delle “macchine per vendere fiato”. Ma “la merce fiato” perde in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla settimana. La scuola a volerla fare sul serio logora. E se si supera una certa soglia nasce una “complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e studenti a far passare il tempo”. La scuola si trasforma in un ufficio, o in una caserma, col fine di tenere a bada per un certo numero di ore i giovani; perde ogni fine formativo.
(Luigi Einaudi, Il Corriere della Sera, 21 aprile 1913)

Caricatura di Luigi Einaudi, disegnata da Amintore Fanfani
Caricatura di Luigi Einaudi, disegnata da Amintore Fanfani, Marzo 1948. Archivio Fondazione Luigi Einaudi di Torino

Calcio

Da quest’anno ho deciso di non seguire più lo sport del calcio. Il motivo è che sono amareggiato dal fatto che quasi ogni partita sia “falsata” da errori arbitrali. In particolar modo quest’anno il ruolo di capro espiatorio ricade sulla solita Juventus, che date le passate vicende, si vede ora amplificato ogni minino errore, ogni fuorigioco, ogni svista: tutte cose che succedono benissimo a tutte le altre squadre, ma che non vengono segnalate o messe in evidenza da giornali/tifosi.

Perché tutti quelli che hanno da parlare contro la Juventus (dico Juventus perché è la squadra che attira più polemiche, ma potrei benissimo dire Pizzighettone, se questa fosse al suo posto) non si rivolgono invece alla Fifa per chiedere l’introduzione della moviola in campo? Da quest’anno ci sono due persone pagate per stare 90 minuti a guardare una linea e controllare se la palla la oltrepassi oppure no e nonostante ciò esistono ancora i “gol fantasma”, non credete sia assurdo, quando basterebbe una semplice telecamera, con conseguente risparmio di denaro per altro?

Chi è che ruba, la Juventus, oppure chi ha interesse ad ostacolare la presenza della tecnologia in campo?

Andry

Speculazioni e infiltrazioni camorristiche nella ricostruzione post terremoto a l’Aquila.

L’interessante articolo scritto da Lorenzo Gatto ci ha dato lo spunto per riflettere sulla gestione attuale dei problemi legati alle catastrofi naturali. Purtroppo la situazione non è cambiata.

Consideriamo per esempio il terremoto avvenuto in Abruzzo nella notte del 6 aprile 2009. L’evento suscitò molto scalpore e per mesi ci furono servizi ai telegiornali, che dedicavano parte delle notizie ai politici invisita nei luoghi della disgrazia dove promettevano mari e monti.

Soccorsi al lavoro tra le macerie

Per dimostrare che il governo si stava occupando della situazione, si pubblicizzò molto la ricostruzione della Fontana delle 99 Cannelle. Il governo stanziò 8 milioni di euro per la ricostruzione degli edifici post sisma. L’Aquila ne ricevette solo 2 e mezzo.

La speculazione che deriva dal terremoto è senza limiti, oggi come un tempo. Attualmente, però, la situazione è ben più preoccupante, in quanto i clan della Camorra sono consapevoli della possibilità di trarre grande guadagno da queste situazioni. Le infiltrazioni mafiose prima del terremoto erano modeste in Abruzzo, poiché non vi era la possibilità di fare grandi affari. Tuttavia, come dice Roberto Saviano nel suo libro La bellezza e l’inferno:  «Ora si apre una miniera per le imprese». In pratica più il danno e la catastrofe si fa grave, più i clan, proprietari delle imprese, guadagnano. Il rischio della ricostruzione è dovuto agli enormi costi proposti dalle azienze “legali”: la gara di appalto viene, infatti, vinta dalle aziende mafiose, che propongono prezzi molto più competitivi e, di conseguenza, vengono preferite rispetto alle altre imprese. L’avanguardia dell’edilizia in subappalto in Italia è completamente in mano ai clan. Il rischio è che in tempo di crisi i clan arrivino a spartirsi i grandi affari in Italia: l’Expo di Milano se l’è aggiudicato la Ndrangheta mentre la ricostruzione d’Abruzzo, in subappalto, la Camorra.

L’unica soluzione è creare una commissione in grado di controllare la ricostruzione degli edifici. I prezzi competitivi dell’edilizia camorrista sono dovuti alla scadenza dei materiali, adoperati per la ricostruzione degli edifici, e ai metodi approssimativi, “non a norma di legge”. Si tornerebbe così alla stesso dramma, se dovesse avvenire un altro cataclisma. Il crollo dell’ala nord della Casa dello Studente, per esempio, fu provocato non solo dal terremoto, ma anche da una serie di errori e carenze in fase di progettazione ed esecuzione dei lavori.

Solo di fronte a simili avvenimenti viene da pensare come sia importante rispettare le regole. Eppure ogni volta che la terra trema sembra sempre che sia la prima volta che accada nella storia italiana: non si ricostruisce adottando criteri volti a non far riaccadere simili tragedie, ma si continua ad adottare la condotta criminale, presente largamente nel nostro paese. Come scrive Roberto Saviano nel libro Vieni via con me: «Se sentissimo un terremoto come il terremoto di tutti, la speculazione criminale e politica scomparirebbero dal nostro paese».

Federico Minoldo

Federica Landais

Roberta Bertoli

Come si pronuncia “Tycho Brahe”?

Io l’ho sempre pronunciato alla tedesca. Questa mattina i miei alunni di quarta mi hanno proposto una pronuncia che mi sembrava troppo inglese. Così ho pensato di fare una piccola ricerca. Due file con pronunce leggermente diverse, ma, direi, convergenti. Preferirei la pronuncia di wikipedia perché ci vien detto chi è la persona che ha fatto la registrazione: Malene Thyssen.

Tycho Brahe

Un saluto da un “vecchio” studente

Ciao a tutti, era tantissimo che non passavo di qui, e da più di due anni non scrivo. E pensare che anche l’ultimo giorno dell’ultimo anno di scuola mi ero preso la briga di fare un post semi-polemico sulla chiusura anticipata delle scuole in Luini.
Molte cose sono cambiate, e la stragrande maggioranza delle persone che legge e scrive su questo blog probabilmente neanche sa, o si ricorda di me (il Preside credo proprio di sì…).
Volevo fare un appello ai ragazzi, prima ancora che ai Professori: fate vivere questo blog, intavolate discussioni, su qualunque argomento, coinvolgete chi non lo usa. È vero, oramai facebook ha preso il sopravvento, ma non c’è (o non ho visto) una pagina istituzionale della scuola, ed è solo qui che si può fare un po’ di “casino” (nel senso buono del termine).

Per mettervi un po di voglia vi metto due link, uno trovato a caso e uno su di una mia discussione (il Preside, che saluto con affetto, sarà molto contento…):

  • Qua ho preso a caso una pagina del blog di quando lo frequentavo io, in cui potete vedere che le discussioni erano abbastanza vive.
  • Qua un po’ di polemica da me creata perché il Preside non fece chiudere le scuole. Non so oggi quante scuole siano aperte, il Calvino mi risulta di sì (la mia Università ha fatto ponte…).

Detto questo colgo l’occasione per salutare tutti, dai ragazzi e i Prof della ragioneria che conosco, ai nuovi e ai liceali (si usa ancora “LICEALE TORNA A STUDIARE”??). Magari un giorno farò un articolo di riflessioni su quel che è stato il Calvino per me (mi uscirà, forse, la lacrimuccia, ma non credo 🙂 )

Un abbraccio a tutti.

PS Sig. Preside lo legge ancora il blog? Non le mancano i vecchi tempi? Si ricorda dei due fiocchi di neve? 😀

Mario P.

Il “peccato originale” dell’industria italiana

Operai della Breda al lavoro nel reparto di produzione di siluri durante la Prima guerra mondiale, 1915-1918 (Fondazione Isec, fondo Breda)
Operai della Breda al lavoro nel reparto di produzione di siluri durante la Prima guerra mondiale, 1915-1918 (Fondazione Isec, fondo Breda)

Lo storico Alberto Caracciolo ha individuato una sorta di “peccato originale”, che avrebbe segnato il destino dell’industria italiana. L’affermarsi della Rivoluzione industriale in Italia può essere collocato, in gran parte, nell’età giolittiana (1901-1914). L’intervento statale ebbe un ruolo fondamentale nell’incentivare questa fase di crescita. Fu inoltre attuata una politica protezionistica, con l’imposizione di alte tasse sui prodotti esteri. Questo provvedimento, tuttavia, danneggiò le imprese del Sud, poichè i mercati esteri reagirono chiudendo le porte ai nostri prodotti tipici come olio, vino e agrumi. Dopo una fase di rallentamento dell’economia internazionale, con l’inizio della prima guerra mondiale, l’industria italiana, non solo si risollevò, ma conobbe un eccezionale sviluppo, dal momento che, in una guerra per la prima volta combattuta in trincea, sarebbe stata decisiva la disponibilità di equipaggiamento militare e ausiliario. Lo Stato si trasformò infatti in un “insaziabile consumatore”. Venivano inoltre accordati larghi anticipi per coprire i costi della produzione e il reinvestimento dei capitali era fortemente incentivato, grazie a una severa tassazione su quelli non investiti. Le imprese non dovevano preoccuparsi di costi di produzione o del rischio di perdite, come in normali condizioni di mercato. Queste condizioni straordinarie consentirono straordinarie crescite, come quella del gruppo siderurgico Ansaldo. Oltre a consentire lo sviluppo di importanti gruppi industriali, questo particolare contesto rivitalizzò settori fino a quel momento trascurati, come quello chimico o quello estrattivo. È in questa fase che, secondo lo storico Alberto Caracciolo, è rintracciabile il “peccato originale dell’industria italiana”. Alla fine della guerra,  infatti, le industrie erano ormai eccessivamente abituate all’appoggio economico dello Stato e ad una politica protezionistica che non permetteva di confrontarsi con il mercato internazionale;

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