Ataturk: dittatore o democratico?

Atatuk fu il generale turco durante il primo conflitto mondiale. La Turchia al termine della guerra fu occupata dall’Intesa, che si pose l’obiettivo di smantellare l’esercito ottomano: le condizioni imposte furono infatti durissime e prevedevano, fra le altre, la rinuncia alle province meridionali. Il sultano Maometto e i suoi ministri si sottomisero alla volontà dei vincitori; da questi si distinse Ataturk, che riuscì ad evitare la rovina del paese e ne ristabilì l’unità e l’indipendenza. Nel 1919  sconfisse i Greci, andando persino contro il proprio governo per salvaguardare il bene del proprio paese; a partire da quell’anno, c’erano sostanzialmente due poteri in Turchia: quello del sultano, che era sotto il controllo degli stranieri, e quello di Ataturk che aveva sede ad Ankara, dove si trovava il suo quartier generale. Nel 1920 con il trattato di Sèvres fu sancita la spartizione della Turchia: il conflitto fu inevitabile e portò ad una guerra civile e allo stesso tempo ad una d’indipendenza contro gli stranieri invasori.

Atatürk, mentre era Comandante dell'esercito (1918).
Atatürk, mentre era Comandante dell’esercito (1918).

Tre anni più tardi, nel 1923,  venne cancellato il Trattato di Sèvres, la Turchia proclamata repubblica, Kemal ne divenne il presidente e la capitale trasferita ad Ankara. Il neo presidente iniziò con un programma riformatore: soppresse il sultanato, abolì il califfato e riuscì a rendere la Turchia un paese civile. Secondo Ataturk uno Stato civilizzato è innanzitutto uno Stato laico: per questo intendeva liberare la Turchia dall’Islam che considerava causa del ritardo della modernizzazione del paese. Per questo motivo, nel 1937 venne inserito il principio di  laicità e si iniziò la laicizzazione della società e della cultura, si assicurò alle donne l’uguaglianza in materia ereditaria e nel 1934 esse ottennero il diritto di voto e molte entrarono in Parlamento. Il sistema educativo venne controllato dallo Stato, Ataturk sostituì i caratteri arabi con quelli latini e istituì il calendario gregoriano. Fu avviata una politica di industrializzazione per contrastare l’arretratezza economica; venne fondata quindi una Banca d’affari per sovvenzionare crediti alle imprese. Ciò però non aiutò la ripresa economica che subì un grave colpo col la crisi del 1929, imponendo quindi un cambiamento di strategia: venne adottata una politica mirata al protezionismo e al dirigismo. Grazie a questa politica messa in atto, la Turchia divenne meno dipendente dal punto di vista economico dalle altre potenze straniere.

Successivamente l’opposizione si organizzò in una rivolta che lui represse in modo brutale con una giustizia sommaria. Non si può quindi definire quale ruolo ebbe questa figura politica nella storia della Turchia: dittatore per la durezza e l’inflessibilità utilizzata nei confronti degli oppositori politici, democratico poichè non cercò di trasformare il suo paese in un regime simile a quello presente in Germania o Russia.

Torneo di scacchi: incontri del 25 gennaio 2013

Ecco i risultati delle partite del 25 gennaio 2013:

Girone AGirone BGirone CGirone D
Lisanti – Prevedini: 1-0Siniscalco – Vanin: non disputatoMalcovati – Rattenni: 1-0Comini – Villanucci:0-1 (a tavolino)
Vitale – Sassi: non disputatoNan Men – Tornabene F.: 1-0Cappelli – Rossiccone: 0-1 (a tavolino)Tornabene E. – Cappellini: 0-1

Gli incontri non disputati verranno recuperati venerdì 8 febbraio.

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La politica secondo Platone

Platone
Busto di Platone

Nell’ultimo periodo della sua vita, il filosofo Platone (V-IV secolo a.C.) scrisse due dialoghi dedicati alla politica, ma profondamente diversi tra loro per idee e contenuti.
Nel primo dialogo, Il Politico, Platone descrive come dev’essere il perfetto uomo politico e differenzia sei tipologie di costituzione. Secondo il filosofo, la risorsa fondamentale di chi governa è la ragione: egli non ha bisogno di leggi, poiché deve possedere unicamente la capacità di governare qualunque comunità, ovvero la “scienza regale”, come un moderatore. Per il filosofo, infatti, il buon politico doveva essere in grado di unificare e mescolare gli elementi che compongono una comunità con una giusta misura, ovvero come un buon misuratore.
Platone ritiene però molto difficile trovare buoni politici. Perciò, suddivide i sei diversi tipi di governo in due gruppi: quelli buoni, che rispettano le leggi, ovvero la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia; e quelli “cattivi”, basati invece sulla violazione delle leggi, ovvero la tirannide, l’oligarchia e un’altra forma di democrazia.
La legge può dunque supplire alla mancanza del buon misuratore.
Platone considera la monarchia la costituzione migliore, poiché essa consiste nel governo del buon politico, mentre la tirannide quella peggiore.

E se questo “buon politico” non fosse davvero così buono? A parer mio la monarchia non può essere considerata il governo migliore, in quanto si basa esclusivamente sulle scelte e sui pensieri di un’unica persona, non sempre dotata della “scienza regale” citata da Platone. Un singolo uomo non può essere in grado di prendere le decisioni migliori per il proprio popolo, anche se egli fosse l’uomo più saggio del mondo, poiché non potrà mai trovarsi in accordo con tutti i cittadini.  La monarchia, infatti, potrebbe diventare rischiosa se vista come un modo per possedere il pieno potere (portando, talvolta, alla tirannide), senza prendere in considerazione i diversi bisogni di una comunità.
L’essere umano ha il diritto di esprimere le proprie idee, le proprie opinioni, ed è indispensabile che tutti vengano ascoltati, per far sì che, tutti insieme, si raggiunga la decisione migliore e si verifichi una condizione di “buon governo”. Bisogna quindi dare ad ognuno la possibilità di manifestare i propri pensieri, come avviene per esempio in democrazia, tramite elezioni e referendum.

Come Platone stesso affermerà nel suo ultimo dialogo politico, Leggi, in contraddizione con il suo precedente scritto, non esiste un modello migliore di governo. La costituzione migliore deve possedere le qualità più valide presenti nei diversi tipi di governo, e deve essere in grado di maneggiarli con attenzione. Bisogna dunque sfruttare ciò che di meglio si trova nelle diverse situazioni e riunire alcuni degli elementi presenti nelle diverse costituzioni.

Le leggi servono, non sono superflue. Esse sono in grado di guidare lo stato verso ciò che è utile per la comunità, e lo fanno in termini generali, senza analizzare i singoli casi; sono indispensabili, poiché garantiscono la libertà ai cittadini, ma devono essere scritte con la saggezza e il buon senso umano, senza esagerare, perché è su queste caratteristiche che si basa una forma di buon governo.

Charles Maurice de Talleyrand-Périgord: come si pronuncia?

Charles Maurice de Talleyrand-Périgord

Qualche esempio:

Per un confronto tra Platone e Cicerone

Papiro con frammento della Repubblica di Platone
Papiro con frammento della Repubblica di Platone

Sia Platone sia Cicerone dedicano alla riflessione politica un ampio spazio ed entrambi scrivono un dialogo intitolato La Repubblica. Ma che cosa avvicina il filosofo greco all’uomo latino? Quali idee condividono e in quali, invece, divergono? Per scoprirlo bisognerà partire proprio dall’analisi delle due opere che li accomunano per il titolo scelto.

La Repubblica di Platone ha la giustizia come tema principale. Nel II libro Socrate, dopo aver confutato alcune definizioni circa il significato di giustizia, propone di ricercare che cosa è la giustizia in un quadro più ampio e, dunque, più facile da analizzare: lo Stato.

L’indagine è resa possibile dal legame fra etica e politica; infatti, non può esistere una società buona senza che anche i suoi membri lo siano per primi.

Socrate considera un modello di Stato piuttosto semplice in cui gli uomini soddisfano solamente i bisogni fondamentali: il sostentamento materiale e la difesa. Questi due bisogni spingono, perciò, il legislatore a riorganizzare i cittadini in classi, dove troviamo i lavoratori, i guardiani difensori dello Stato e, infine, i governanti. Ogni membro di questa società lavora per realizzare solo cose di carattere positivo.

Successivamente, riadattando un vecchio mito di Esiodo, le tre classi vengono associate alle tre parti dell’anima: alla sapienza, al coraggio e alla temperanza. La giustizia, perciò, consisterà nell’ordinamento per cui ciascuno svolge le attività che gli competono naturalmente senza usurpare quelle degli altri.

A trarre ispirazione e a scrivere un trattato politico sullo Stato a partire dalla Repubblica di Platone, è Marco Tullio Cicerone, autore tra il 54 e il 51 a.C. del De re publica. Non c’è dubbio. Innanzitutto, perché in quest’opera anche Cicerone, come Platone, ragiona su quale sia lo Stato perfetto; poi, perché ritorna il modello del dialogo platonico; infine perché il mito di Esiodo che chiude l’opera platonica è la fonte della sezione conclusiva dell’opera di Cicerone, il Somnium Scipionis.
Ma Cicerone, a differenza di Platone, evita qualsiasi discorso ideale o astratto e preferisce proiettarsi nel passato, facendo riferimento a Stati veramente esistiti.
La sua originale rielaborazione dell’opera platonica si fonda, infatti, sulla comparazione tra il pensiero greco e la tradizione etica, politica e giuridica romana.

Busto di Cicerone presso i Musei Capitolini
Busto di Cicerone presso i Musei Capitolini

Egli ambienta il suo dialogo nel 129 a.C., anno della costituzione romana presieduta dagli Scipioni, di cui Scipione Emiliano è uno dei maggiori protagonisti.

In primo luogo discute delle tre diverse forme classiche di governo: la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia. La conclusione? Semplicemente si afferma che inevitabilmente queste degenerano nelle loro forme estreme, ovvero la tirannide, l’oligarchia e l’oclocrazia.

La soluzione non è astratta, anzi, concreta: lo Stato migliore è il regime “misto” della res publica romana (e qui riecheggia di nuovo Platone),che, per fortuna, sa essere un po’ monarchia, un po’ aristocrazia, un po’ democrazia.

Segue, poi, nel libro VI il Somnium Scipionis, che rappresenta il più importante frammento pervenutoci del De re publica, in cui Scipione Emiliano racconta agli interlocutori di un sogno fatto anni prima, all’inizio della terza guerra punica. Egli aveva visto in sogno Scipione Africano che gli parlava dall’alto della via Lattea, sede dei grandi uomini, rivelandogli il destino delle anime dei defunti.

Il messaggio di Cicerone, così come si esprime per bocca dell’Africano, è duplice: gli uomini devono aspirare alle cose celesti; là, tra l’armonia di quelle sfere, le anime troveranno la vera ricompensa; la gloria umana, osservata dalle altezze del cielo, appare ben piccola cosa, quindi, finché essi saranno sulla terra il loro dovere sarà servire la patria, ma senza insuperbirsi. ma finché saranno sulla terra il loro dovere sarà servire la patria, senza insuperbirsi.

Da tutto ciò sappiamo che Cicerone era totalmente legato alla tradizione della res publica aristocratica. Per lui la fedeltà alla tradizione implicò anche scelte che oggi non sembrano condivisibili: leader degli oligarchici, egli per regola e abitudine metteva sempre al primo posto i boni cives, i possidenti (quelli che, invece, per Platone erano filosofi) e che erano anche i primi destinatari delle sue opere.

Dal confronto, fin qui condotto, tra il pensiero platonico e quello ciceroniano, è evidente come Cicerone, al contrario di Platone, abbia un’idea politica più concreta e chiara. Cicerone si appella sin dall’inizio ai cittadini romani affinché si impegnino politicamente, si sofferma sulla specifica costituzione della res publica romana e fa continui riferimenti a Roma. Il pragmatismo di Cicerone, dunque, costituisce il punto di forza della sua opera, laddove l’idealismo platonico è motivo di debolezza. Entrambi, però, hanno un limite: porre come unica guida dello Stato un’ èlite illuminata e individuare in modo netto ruoli e compiti di ciascuno.

Tutto questo, infatti, se applicato alla lettera potrebbe finire per escludere il popolo da una partecipazione attiva alla politica e per diventare all’interno degli Stati attuali un vero e proprio strumento di discriminazione e sopraffazione sociale.

Torneo di scacchi: risultati del 18 gennaio 2013

Ecco i risultati delle partite del 18 gennaio 2013

torneo di scacchi – 18 gennaio 2013: i risultati
Girone A Girone B Girone C Girone D
Vitale – Lisanti: 0-1 Siniscalco – Nan Men: 0-1 Malcovati – Cappelli1-0 Comini – Tornabene E.1-0
Prevedini – Sassi: 1-0 Vanin – Tornabene F.: 0-1 Rattenni – Rossiccone: 0-1 Villanucci – Cappellini: 0-1

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Impero e papato al tempo di Dante

Dante Alighieri
Sandro Botticelli, Ritratto di Dante, tempera su tela, 1495, Ginevra, collezione privata


Sui contrasti fra l’autorità laica (l’imperatore) e l’autorità religiosa (il papa) prese posizione anche Dante Alighieri (1265-1321).

La sua vita fu strettamente legata agli avvenimenti della politica fiorentina. Quando la lotta fra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri si fece più aspra, Dante si schierò col partito dei Bianchi che difendeva l’indipendenza del Comune e si opponeva alle tendenze egemoniche di Papa Bonifacio VIII.

Le guerre intestine a Firenze, riflesso di quanto accadeva in Europa, portarono il poeta a elaborare una profonda riflessione sui rapporti tra papato e impero. A suo avviso la chiesa doveva essere esclusa da ogni intervento a finalità politica. Il suo unico compito doveva essere quello di guidare il genere umano alla vita eterna, dedicandosi alla cura delle anime.

Dante era, perciò, un vero e proprio sostenitore del potere imperiale e così, intorno al 1310, compose il De Monarchia, un trattato scritto in latino dove ribadiva il concetto di impero universale e quello della separazione dei poteri, già accennati nel Convivio e nella Commedia.

L’incipit con cui si apre l’opera riassume già il pensiero del suo autore:

“Due fini l’ineffabile Provvidenza ha posto dinanzi all’uomo come mete da raggiungere: la Felicità di questa vita, che consiste nella piena attuazione delle sue capacità, ed è raffigurata nel Paradiso Terrestre, e la Beatitudine della vita eterna, la quale consiste nel godimento della visione di Dio ed è raffigurata nel Paradiso celeste”.

Per Dante il fine ultimo dell’uomo è la felicità e Dio ha stabilito due somme autorità: il pontefice, che è la guida verso la felicità spirituale, ultraterrena, e l’imperatore, che è tutore della pace e della libertà. In tal modo l’imperatore e il pontefice appaiono come due autorità distinte e pienamente sovrane, ciascuna nel suo campo specifico di interesse, rispettivamente politico e spirituale.

L’imperatore, però, deve sempre al pontefice “quella riverenza che il figlio primo genito deve al padre”. In poche parole, papato e impero devono collaborare per garantire il pieno perfezionamento intellettivo e morale dell’uomo.

Dante con la sua idea di laicità dello Stato è un pensatore moderno e il suo contributo, rapportato al contesto storico in cui viveva, è stato di fondamentale importanza. La sua riflessione, sul tramonto del Medioevo, infatti, è un appello al rinnovamento e pone le basi alla rinascita del Quattrocento.

Concordo pienamente la critica rivolta da Dante al papato, in quanto è innegabile l’eccessivo e incessante desiderio di dominio da parte dei pontefici in quegli anni (e tuttora è evidente in alcuni casi l’interferenza dell’autorità religiosa in ambito strettamente politico), ma ritengo che, anche il ruolo giocato dagli imperatori il più delle volte fosse discutibile, poiché le loro pretese avevano spesso il potere di provocare disordini, confusione e indebolimento delle autorità civili, in particolar modo in Italia, dove le città erano dilaniate da lotte che vedevano parte dei cittadini schierati con l’imperatore e parte, invece, con il papa.

Torneo di scacchi 2012-2013: rinvio della seconda fase eliminatoria

La seconda fase eliminatoria del torneo di scacchi è rimandata a venerdì 18 gennaio 2013.

incontri torneo di scacchi – 18 gennaio 2013
Girone A Girone B Girone C Girone D
Vitale – Lisanti Siniscalco – Nan Men Malcovati – Cappelli Comini – Tornabene E.
Prevedini – Sassi Vanin – Tornabene F. Rattenni – Rossiccone Villanucci – Cappellini

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Platone e la sua teoria dell’anamnesi

Platone scrisse molti dialoghi durante la sua vita. Essi hanno natura prevalentemente polemica e spesso si chiudono senza che gli interrogativi proposti abbiamo trovato una risposta. Uno fra questi è il Menone in cui viene per la prima volta affrontata la teoria della reminiscenza o dell’anamnesi.

Per Platone infatti apprendere, e quindi conoscere non è altro che richiamare alla memoria e ricordare quanto già si sapeva.
Quindi vuol dire che una persona può conoscere già tutto semplicemente ricordando quello che già sapeva nella vita precedente?

Infatti nel Menone Platone prova la sua tesi con l’esempio pratico di uno schiavo che risolve un problema di geometria solo rispondendo ad alcune domande: questo perché, non avendo mai studiato geometria in quella vita, ha ricordato ciò che la sua anima aveva appreso nell’aldilà.

Probabilmente oggi nessuno crede più a questa teoria. In effetti, la teoria di Platone è poco convincente. Platone sembra pensare che si possa arrivare alla verità solo in maniera passiva , contemplandole nell’Iperuranio. Eppure lo schiavetto potrebbe essere arrivato alla soluzione, non perché ricorda, ma perché, sollecitato dalle domande, è riuscito a trovare soluzioni per lui nuove.
Per Platone neppure un dio come il Demiurgo crea. Plasma soltanto, ad imitazione delle idee. Ma noi, uomini d’oggi, lo sappiamo: gli esseri umani sono capaci di scoprire cose nuove, sono grandi creatori.