“NEWS” DALLA PRESIDENZA: PSEUDOINTERVISTA D’INIZIO D’ANNO

Come “apre” quest’anno scolastico, preside? In modo ottimale, direi, almeno per quanto riguarda gli aspetti organizzativi. I “buchi” in organico sono pochissimi, banchi e sedie ci sono. Siamo perfettamente pronti a partire e raccogliamo i frutti del nostro lavoro estivo: mio, dei docenti collaboratori, del personale di segreteria.

Dunque non ci saranno difficoltà…
É presto per dirlo: volevo solo sottolineare che abbiamo fatto di tutto per prevenirle. Quest’anno la situazione è più complessa che negli anni scorsi, perché avremo una succursale (pur piccola) da gestire, a Rozzano in viale Liguria.

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La professoressa Marzia Squadroni

il prof. Paganini

Anche durante le vacanze i professori pensano alla scuola.
Qualche giorno fa, mentre passeggiavo sul crinale tra la Val Parma e la Val Magra, ho incontrato una collega di un’altra scuola, in tuta mimetica: «Mi sto allenando – mi dice – per essere efficiente all’inizio delle lezioni!»
La professoressa Marzia Squadroni, sarà per via del nome, pensa che la scuola sia una guerra, una dura lotta, senza esclusione di colpi, da condurre contro selvaggi infidi, che potranno essere portati alla civiltà solamente attraverso il vaglio purificatore della sofferenza.
Per lei lo studente è, per definizione, un subdolo mentitore da smascherare. Se pare che uno studente sappia, indaga bene: troverai l’errore. Se uno studente sembra comportarsi bene, è meglio diffidare: sotto sotto si sta prendendo gioco dell’insegnante.
A questa regola fanno eccezione soltanto le poche vittime della sindrome di Stoccolma, sempre pronte a compiacere la docente padrona, ma anche per loro vale la legge fondamentale: la scuola è e deve essere dolore oppure non è scuola.
Per fortuna si dice che da noi non ci sia nessuno così…

la professoressa Squadroni in classe - vignetta di A. Paganini
 

Addii

Finiti gli esami. Tempo di addii.
Vi rivedrò a settembre, quando verrete a vendere i libri usati (non vendete, vi prego, lo Strumia). Poi vedrò solo qualcuno sempre più saltuariamente o, magari, vi incrocerò al supermercato e ci saluteremo con la fretta di chi è pressato dal correre della vita.
Così ve lo dico adesso: è stato bello!
Ringrazio Dio e voi per il dono ricevuto: tre anni gioiosi, anche quando fingevo di voler cambiar mestiere.
Ora, andate e non lasciatevi intimidire da nessuno: meritate tanto. E non dico per i risultati scolastici; quelli sono secondari: un voto non vi misura.
Vale anche per chi non ha avuto il successo sperato e dovrà pazientare ancora per un anno: anche ottimi colleghi, amatissimi dai loro studenti, hanno impiegato più tempo del previsto per concludere la scuola superiore.

Vatti a fidare…

Caricatura del prof. Paganini in forma di ragno al centro della tela con computer - opera del prof. Nello Colavolpe

Vatti a fidare degli amici!
Colavolpe mi ha ridotto che neanche Gregor Samsa.
Nemmeno Kafka sarebbe arrivato a tanto.
E poi dicono delle armi! Le matite sono più pericolose. Bisognerà introdurre un permesso speciale: il porto di matita.
Almeno, però, mi ha lasciato il computer: mi consolerò pensando che sono al centro del web.

il Paga

ADDIO QUINTE!

Dario Passaro


E così anche loro, i grandiosi studenti di quinta lasciano l’istituto. “Finalmente!” griderà la maggior parte, “In fondo mi dispiace” svelerà la rimanente. Io come neopromosso in quarta ho potuto vivere questi momenti dall’esterno sebbene mi sia interessato di ogni cosa che accadeva agli orali con vivo interesse (chiedete ai prof che mi hanno dovuto sopportare sebbene fosse finita la scuola!), ma di una cosa sono certo ovvero che di loro avrò spero per sempre uno splendido ricordo. Ho passato 3 anni a convivere con questi ragazzi, ad imparare a conoscerli chi più chi meno, ma comunque quasi tutti. Sono cresciuto con loro e grazie a loro, ho visto i loro successi ed ero felice, gli insuccessi ed ero triste ma ho sempre cercato di tirarli su per quanto ragazzino sia, sforzandomi in ogni occasione di fare del mio meglio per dargli forza perché erano, sono e saranno sempre parte di me. Figuratevi agli occhi di quando ero un primino che miti dovevano essere per me, beh, dopo 3 anni non è cambiato nulla. Vivendo la mia vita soprattutto a scuola sono diventati loro la mia famiglia, si intenda, di amici, ma con questo rispetto ed ammirazione che penso non proverò più nell’ambito scolastico perchè per me sono valsi così tanto che so che questo articolo non esprimerà che un millesimo di quello che realmente sento. A loro devo di essere pieno di gratitudine, contento per le loro future carriere e studi ma ancora di più, triste per il vuoto incolmabile che lasceranno nella scuola. In particolare vorrei ringraziare Zotti, Pieri, Gianluca, Seppe, Klaude, Colo, Beno, Spada, Zacca, Gil, Varone, Spiazzi, Schiavone, Pecar, Ivan, Paolo, Eina, Wany, Ogliari, Cirella, Capo, Soldini, Cattaneo, Maca, Cristina, Teo, Borreca, Montanari, Schilli, Fesce, Aronne, Mordini… . So di non averli citati tutti e che sicuramente qualcuno non è stato scritto ma solo perchè sono in tanti e vorrei poter ringraziare ognuno di questi, anche chi mi conosce solo di vista. Voi avete dato tanto alla scuola e a me, statene certi, e questo scritto in realtà rappresenta niente di più che il dolore ed il rammarico di non vedervi più l’anno venturo, siete le migliori quinte e le miglior persone che abbia mai conosciuto, non smettete di esserlo anche per quelli come me: BUONA FORTUNA RAGAZZI!

viva viva la matura!

Ebbene sì, sono passati i primi due giorni di orale della 5B… e già è tempo di bilanci
il più richiesto: Zotti (leggi Lorenzo Bagnoli) al cui orale ha partecipato un’intera squadra di basket+compagni di classe+amici vari+Passaro (che passava di lì per caso)
il megalomane: Maurisscio Capone, che ha distribuito opuscoli, immagini, locandine (e secondo alcuni anche caramelle…) a tutti i professori
il più sportivo: Federico Benolli, che è uscito dall’orale conciato come dopo il mitico test dei mille del Calda
grandissimo record: di Sahamahantaha Sanzani, che è riuscita a pronunciare, durante la sua tesina di 15 minuti, ben 1.457.982 parole
il “golpe”: di Riccardo Spada che si dice abbia cercato di ipnotizzare il corpo docente con la sua tesina sul nazismo esoterico, tentativo miseramente fallito…
il più fortunato: Andrea Natale, sorteggiato l’ultimo giorno…da solo…GRANDE WANY!
Particolare attenzione merita infine lo strano caso del prof. Colavolpe, fotografato da paparazzi mentre palleggiava col pallone di Pieri in una classe non meglio identificata…

l’uomo felice…

il prof. Paganini

Sono anni che propongo al Consiglio di Classe un lavoro di approfondimento interdisciplinare sul tema della Felicità: niente da fare. Mi prendono anche un po’ in giro, come se la mia richiesta fosse motivata dalla personalissima esigenza di non affogare nella sfiga.
Forse gioca tra i colleghi anche la paura di dover riconoscere le proprie infelicità: 40, 50, 60 anni e una piega amara sulla bocca; molto meglio non parlarne.
Eppure tutti abbiamo provato la felicità. Com’è che ci vien difficile definirla? Perché il “che cos’è” della felicità sembra sfuggire alla nostra presa?
I più sembrano pensare che abbiano ragione gli inglesi, che la felicità sia happiness, qualcosa che accade (to happen) e dunque non è in nostro potere. La fortuna è cieca e la sfiga ci vede benissimo.
Altri pensano, credono, sperano che la felicità si possa costruire o si possa raggiungere.
Altri altro ancora.
Come sarà?
Anche quando sono felice, non so ben rispondere. però voglio proporvi una storia: la storia dell’uomo felice, una storia raccontata da Italo Calvino, che faccio un po’ mia e, dunque, mi permetto di cambiare, ma poco poco.
Eccola.

Un re aveva un figlio unico e gli voleva bene come alla luce dei suoi occhi. Ma questo Principe era sempre scontento. Passava intere giornate affacciato al balcone, a guardare lontano.
– Ma cosa ti manca? – gli chiedeva il Re. – Che cos’hai?
– Non lo so, padre mio, non lo so neanch’io.
– Sei innamorato? Se vuoi una qualche ragazza dimmelo, e te la farò sposare, fosse la figlia del Re più potente della terra o la più povera contadina!
– No, padre, non sono innamorato.
E il Re a riprovare tutti modi per distrarlo! Teatri, balli, musiche, canti, ma nulla serviva, e dal viso del Principe di giorno in giorno scompariva il color di rosa.
Il Re emanò un editto e, da ogni parte del mondo, venne la gente più istruita: filosofi, dottori e professori. Vennero persino dall’Istituto Calvino. Il re mostrò il Principe e domandò consiglio.
Quelli si ritirarono a pensare, poi tornarono e dissero:
– Maestà, abbiamo pensato, abbiamo letto le stelle. Ecco cosa dovete fare. Cercate un uomo che sia felice, ma felice in tutto e per tutto, e cambiate la camicia di vostro figlio con la sua.
Quel giorno stesso il Re mandò ambasciatori per tutto il mondo a cercare l’uomo felice.
Gli fu condotto un prete: – Sei felice? – gli domandò il Re.
– Io sì, Maestà!
– Bene. Avresti piacere di diventare il mio vescovo?
– Oh, magari, Maestà!
– Va’ via! Fuori di qua! Cerco un uomo felice e contento del suo stato, non uno che voglia star meglio di com’è.
E il Re si mise ancora in attesa.
C’era un altro Re, suo vicino. Gli dissero che era proprio felice e contento: aveva una moglie bella e buona, un mucchio di figli, aveva vinto tutti i nemici in guerra e il paese stava in pace. Subito il Re, pieno di speranza, mando gli ambasciatori a chiedergli la camicia.
Il Re vicino ricevette gli ambasciatori e: – Sì, sì, non mi manca nulla. Peccato, però, che quando si hanno tante cose, poi si debba morire e lasciare tutto! Con questo pensiero soffro tanto che non dormo la notte!
così gli ambasciatori pensarono bene di tornarsene indietro.
Per sfogare la sua disperazione, il Re andò a caccia. Tirò a una lepre e credeva d’averla presa, ma la lepre, zoppicando, scappò via. Il Re le tenne dietro e s’allontanò dal seguito.
In mezzo ai campi sentì una voce d’uomo che cantava allegramente. Il Re si fermo: – Chi canta così non può che esser contento!
Seguendo il canto si infilò in una vigna e, tra i filari, vide un giovane che cantava potando le viti.
– Buon dì, Maestà, – disse quel giovane – così di buon’ora già in campagna?
– Benedetto te, vuoi che ti porti con me alla capitale? Sarai mio amico.
– Ahi, ahi, Maestà, no, non ci penso nemmeno, grazie. Non mi cambierei nemmeno col Papa.
– Ma perché, tu, un così bel giovane?
– Ma no, vi dico. Sono contento così e basta.
– Finalmente un uomo felice – pensò il Re. – Giovane, senti: devi farmi un piacere.
– Se posso, con tutto il cuore, Maestà.
– Aspetta un momento, – e il Re, che non stava più nella pelle per la contentezza, corse cercare il suo seguito: – Venite! Venite! Mio figlio è salvo! Mio figlio è salvo – e li porta da quel giovane.
– Benedetto giovane, – dice, – ti darò tutto quello che vuoi, ma dammi, dammi…
– Che cosa, Maestà?
– Mio figlio sta per morire! Solo tu lo puoi salvare. Vieni qua, aspetta! – e lo afferra, comincia a sbottonargli la giacca. Tutt’a un tratto si ferma, gli cascano le braccia.
L’uomo felice non aveva camicia.

Morale della favola?
Due interpretazioni
Interpretazione pessimistica: è proprio vero, la felicità non è in nostro potere. Se capita, bene, altrimenti…
Interpretazione ottimistica: la felicità non sta nel possedere qualcosa, beni o privilegi o, persino, una camicia e, se non dipende dall’avere, allora può esser per tutti.
Quale sarà la risposta giusta?
Silenzio, per favore. Forse riusciremo a sentirla.

Orali Orali…

Iniziati oggi al Calvino le prove orali dell’esame di stato.
Tra gli studenti è molta la tensione ma, il clima sereno instaurato dai professori e dal presidente della commissione permette di svolgere la prova in assoluta tranquillità.
Notevole la partecipazione degli “spettatori” che assistono prendendo quanti più appunti possibili.

Marco Mordini, (purtroppo) quasi ex-quinta A Liceo Scientifico.

Alunna alle prese con la prova. Foto di Marco Mordini
Il colloquio si svolge in una classe con i 6 professori della commissione…

Il notevole afflusso degli spettatori. Foto di Marco Mordini
Alcuni alunni che assistono al colloquio dei loro compagni…

Via del Volontariato

il prof. Paganini

Questa mattina, questa caldissima mattina di fine giugno, per di più tempo d’esami, alle 5,00 non riuscivo proprio più a restare a letto. così mi sono alzato per ritirarmi in quello che in quasi tutte le famiglie è, se la fortuna assiste, l’ultimo angolo di tranquillità di ogni padre e, data l’ora, lo era davvero.
Questa mattina niente letture culturali, soltanto un po’ di Littizzetto.
Poi, anche a prendersela comoda, alle 7,00 ero più che pronto e allora, via, in sella alla mia vecchia e cigolante bicicletta. Gli undici chilometri che mi separano da scuola in queste mattine luminose sono un anticipo di Paradiso (così, quand’anche in quello lassù non mi volessero, potrò sempre consolarmi).
Era presto e pedalavo placido ruminando pensieri ed ecco presentarsi nitida l’immagine della via che affianca la scuola. É una via ampia, curata, con la sua brava targa: «Via del Volontariato». Nobile intenzione quella dell’Amministrazione Comunale. Purtroppo, tragica ed involontaria metafora, all’ingresso è ben visibile un segnale stradale: «Strada senza Uscita».
Mi veniva la malinconia ogni volta che ci pensavo. Questa mattina, poi, mi sembrava intollerabile. così, ho imboccato deciso una stradina di campagna determinato a trovare un passaggio per Via del Volontariato. Ebbene, c’è! Ancora meglio è andata al ritorno, quando ho tentato un percorso leggermente diverso.
Che gioia aver rovesciato la metafora: dove auto e TIR non possono passare, la mia vecchia e sgangherata bicicletta, aiutata da un po’ di sudore, non ha trovato ostacoli, dove amministrazioni ed imprese devono arrestarsi, i poveri mezzi del volontariato giungono a destinazione.
C’è ancora speranza!