E’ fatta, ci siamo costituiti!

L’atto costitutivo dell’Impresa Formativa Simulata

Durante la I.F.S. week session di febbraio, noi 27 soci della nostra start up  ci siamo recati nell’aula informatica del Liceo per assistere alle lezioni dell’avvocato Cristina Calegari al fine  di poter scrivere lo Statuto, l’Atto Costitutivo e il Business Plan di Giardino Calvino s.r.l.

La sigla “s.r.l.” sta per “società a responsabilità limitata”, modello societario da noi adottato in mancanza di fondi economici e al fine di diminuire la responsabilità personale di ciascun socio.

Dopo aver seguito al mattino lezioni teoriche tenute dalla sig.ra Calegari, mamma della nostra compagna Francesca Sala, nel pomeriggio il nostro gruppo si è dedicato alla stesura dell’atto costitutivo.

Legalmente, redigere un atto costitutivo aziendale prevede diverse fasi che non dipendono unicamente dai soci.

gruppo studi
Il nostro gruppo studi

Chi si occupa di stendere ufficialmente un atto costitutivo è il notaio. Suddiviso in articoli, la prima parte comprende la denominazione, in cui vengono specificati il nome e la sede dell’azienda, ovvero il luogo (da inserire nel registro imprese) in cui si trova la sede sociale della start-up. Il fulcro dell’atto costitutivo è l’articolo contenente l’oggetto, necessario per l’attuazione dei progetti, in cui è fondamentale elencare tutte le attività che l’azienda propone di realizzare.

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Lo Statuto societario, una guida utile

ROZZANO. Il  27 Febbraio noi della quarta C del Liceo Italo Calvino, durante la week session, abbiamo continuato il nostro progetto di IFS (Impresa Formativa Simulata) un’altra forma di alternanza scuola-lavoro estesa anche ai licei dall’ultima riforma scolastica. In particolare, con l’attento sostegno dell’avvocato Cristina Calegari, abbiamo sviluppato i documenti che costituiscono la base di giardino CALVINO s.r.l., la nostra start up. L’atto normativo fondamentale per l’organizzazione e il funzionamento di un qualsiasi ente, nonché la guida più utile, è lo statuto societario.

Lo statuto societario è il documento contenente tutte le regole di un’azienda e le norme che regolano i rapporti tra i soci e l’associazione stessa. Questo documento è suddiviso in articoli, che rispondono alle esigenze della società, ma che ne fissano anche i limiti di operatività.Il primo è la denominazione dell’associazione, dove viene ufficializzato il nome dell’azienda e il tipo di società che verrà a costituirsi (s.r.l., società a responsabilità limitata, o S.a.S., società di persone). Vanno indicate, inoltre, la collocazione della sede legale e la sede operativa. Inoltre viene descritto l’oggetto dell’azienda contenente l’elenco di tutti i possibili servizi che essa può offrire.

Un altro punto importante è il capitale sociale, ossia la somma delle quote versate da tutti i soci alla nascita dell’azienda che deve rimanere immutata per tutta la durata della società. Nello statuto devono essere definite anche le modalità e le regole di amministrazione della società. Generalmente è prevista la nomina di un amministratore unico, a cui è affidata la gestione ordinaria e straordinaria dell’azienda, oltre le linee generali per eventuali future fusioni o acquisizioni di altre società. Naturalmente l’amministratore unico è il rappresentante principale dell’azienda, che ha anche il compito di nominare i supervisori che capeggiano ogni team.

ragazzi del gruppo progetti
alcuni ragazzi del gruppo progetti

Ogni norma stabilita nello statuto deve essere rispettata, altrimenti si corre il rischio di danneggiare l’immagine non solo dei soci, ma anche dell’impresa stessa. Infatti nella società ogni dipendente deve rispettare tutti gli articoli prestabiliti, altrimenti verrà sanzionato ed escluso da ogni carica assunta. All’interno della società nessun membro può prendere decisioni autonomamente, nemmeno l’amministratore unico, in quanto è prevista la convocazione dell’assemblea per la discussione di proposte di cambiamenti; l’ assemblea deve essere convocata con almeno 8 giorni di preavviso  e, nel caso in cui non si dovesse raggiungere un numero minimo di partecipanti, verrà stabilita una seconda data. Inoltre, nel caso in cui un socio volesse recedere dalla società, è tenuto a dare un preavviso di sei mesi. Continua la lettura di Lo Statuto societario, una guida utile

Il business plan, lo strumento di partenza per ogni buona impresa

Durante la week session che si è tenuta dal 27 febbraio al 2 marzo di quest’anno, noi ragazzi della 4C del Liceo Calvino abbiamo fondato la nostra start-up  giardino CALVINO srl e, fra le altre cose, abbiamo capito cos’è un business plan, a cosa serve e come deve essere stilato.

Che cos’è quindi?

È un documento che sintetizza i contenuti e le caratteristiche di un progetto imprenditoriale, la business idea.  Viene utilizzato sia per la pianificazione e gestione aziendale sia per la comunicazione esterna, in particolare verso potenziali finanziatori o investitori.

Non c’è un preciso modello da seguire, quindi ogni azienda può progettarne uno adatto alle sue esigenze: è possibile organizzarlo elencandone i punti, come abbiamo fatto noi, o utilizzare un foglio elettronico per quantificare,  confrontare e bilanciare le entrate e le uscite.

Nel nostro abbiamo incluso una descrizione dettagliata del lavoro che l’azienda svolgerà, ovvero redigere studi di carattere artistico-ambientale, progettare e realizzare  giardini per committenti privati o pubblici, curare la manutenzione del verde con particolare attenzione alla sostenibilità degli interventi, organizzando e promuovendo, ad esempio, le visite a pagamento ai giardini storici della nostra città. Abbiamo presentato anche il personale che compone la start up, descrivendo i lavori che i vari team andranno a svolgere. Inoltre abbiamo esposto le nostre strategie di marketing soffermandoci sulle stime riguardanti i profitti che l’azienda produrrà, una volta avviata, e molti altri elementi, come i nostri punti di forza, gli eventuali  rischi che potremmo trovarci a dover fronteggiare  e un’analisi del mercato in cui andremo ad inserirci.

ragazzi del gruppo marketing
alcuni ragazzi del gruppo marketing

Il tutto è stato scritto al fine di ottenere un finanziamento da una banca per sviluppare la nostra start up. Continua la lettura di Il business plan, lo strumento di partenza per ogni buona impresa

Il coraggio della sindaca di Lampedusa

La “leonessa di Lampedusa” Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa e Linosa, il 9 Gennaio 2016 ha ricevuto il premio “Simone de Beauvoir” :  dal 2012, anno della sua elezione, si batte fortemente per il riconoscimento dei diritti delle donne di tutto il mondo ed è sempre stata in prima linea per la difesa coraggiosa dei diritti dei rifugiati.

La sindaca investirà la somma vinta in un progetto che mira a salvare dalla depressione e dalla disperazione almeno alcune delle donne violate. Cogliendo l’occasione della consegna del premio, ha espresso in maniera chiara e diretta critiche sia nei confronti della classe politica italiana sia nei confronti della politica migratoria europea:

“I politici davanti alle bare del naufragio del 3 ottobre 2013 hanno detto ‘mai più morti in mare’, ma poi hanno chiesto la chiusura di Mare nostrum, l’operazione umanitaria della marina italiana, ritenuta colpevole di salvare troppe vite, ritenuta colpevole di incentivare gli arrivi. Anche negli ultimi, difficili mesi, l’Ue ha dimostrato grandissima ipocrisia, da un lato ha detto facciamo un piano di accoglienza per i migranti, stabilendo le quote come si fa per il latte, e poi [l’Europa] non è stata nemmeno in grado di prenderseli….”.

Riguardo alla difesa dei diritti dei migranti Giusi Nicolini non teme di sfidare nessuno: nel novembre del 2015 ha scritto al prefetto Mario Morcone per chiedere un intervento immediato per trasferire 422 profughi presenti nel centro d’accoglienza a causa delle pessime condizioni igienico-sanitarie provocate dall’emergenza rifiuti. Nella nota del Comune scrive con decisione: “Non li soccorriamo per poi ospitarli in una discarica”.

Eletta nel 2012, ha denunciato immediatamente pubblicamente su scala nazionale le stragi di migranti annegati in mare di cui era spettatrice, ogni giorno, ma ha avuto visibilità mediatica solo a partire dal 3 novembre dello stesso anno, quando le hanno consegnato le salme di 21 migranti, tra cui 8 giovani donne e 2 bambini. Una vicenda dalla gravità simile l’ha indotta a scrivere un appello sia all’Unione Europea sia al Governo italiano, che sicuramente entrerà nella storia.

http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-cb0328f7-f715-4c84-8822-ca06b5de47d5.html

Solamente papa Francesco, fra le massime autorità mondiali, ha risposto all’appello del sindaco, rendendo il suo immenso lavoro conosciuto a livello mondiale grazie alle parole rilasciate durante il suo viaggio in Messico in cui afferma che “Il sindaco di Lampedusa è un eroe”.

Giusi Nicolini è sicuramente una “cattiva ragazza”, sa che il suo lavoro sta sollevando un problema considerato da tutti troppo scomodo per essere affrontato senza demagogia, poiché quelle rotte alimentano un ricco mercato e coinvolgono ampi interessi, è una donna coraggiosa, che non ha paura di infastidire e calpestare i piedi con il suo lavoro a enti o persone di caratura nazionale e mondiale che permettono che ogni anno centinaia o migliaia di uomini, donne e bambini nella speranza di raggiungere un futuro migliore, muoiono in un tratto di mare che è ormai divenuto un cimitero. Queste sono alcune delle parole forti, che esprimono il suo modo audace di essere donna e di fare politica, parole che hanno toccato papa Francesco:

“… se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza.”

Lorenzo Uccellini

“La unica lucha que se pierde es la que se abandona” – Rigoberta Menchu Tum

 

                       “L’unica lotta che si perde è quella che si abbandona”.

 Le parole di Rigoberta Menchu , esprimono bene la tempra e il carattere di questa donna.. Rigoberta Menchu Tum fin da giovane ha lottato per ciò che ritiene giusto. E’ appunto,secondo me, una cattiva ragazza: si merita anche lei l’etichetta linguistica affibbiata alle donne che non sottostanno alle regole del loro paese, Rigoberta Menchu è una di loro.

                                                     

Siamo abituati ad una vita tranquilla noi studenti; scuola,compiti,amici. In molti paesi i nosrti coetanei non sono così fortunati. In Guatemala, negli anni 60,la vita riservava molte sorprese. Nelle fincas del Guatemala la vita era molto dura ed il padre di Rigoberta, un uomo forte,si batteva come guida (l’eletto) della comunità contro i proprietari terrieri, i quali approfittando dell’analfabetismo degli indigeni, volevano togliere loro la terra. Le condizioni di lavoro degli indigeni provocavano molte malattie dovute agli sbalzi di temperatura tra l’altopiano e la costa . Rigoberta, all’età di cinque anni, vide morire davanti a se i suoi fratelli e successivamente sua madre. Ciò suscitò in lei la volontà di riscattare se stessa e l’ intero popolo. Nel 1977 entrò a far parte clandestinamente di un’organizzazione, il CUC (Comitato di Unità Contadina), in cui gli indigeni si battevano contro i proprietari terrieri e chiedevano un aumento del salario nelle fincas, avviò molte battaglie per le dignità del suo popolo, finché nel 1992 ricevette il premio Nobel per la pace,diventando anche ambasciatrice dell’ONU.

Lei ha sempre creduto nel cambiamento delle condizioni di vita e di lavoro e nel rispetto per i diritti delle popolazioni indigene. Negli anni della lotta la sua determinazione divenne famosa in tutta Europa e furono molti i parlamentari italiani e europei, docenti universitari e numerosi giornalisti che la sostennero.

Ancora Rigoberta Menchu lotta per i diritti del suo popolo:

MI TIERRA

[…] Tierra mía, madre de mis abuelos,            

         Il mio paese, la madre dei miei nonni,             

 quisiera acariciar tu belleza,                                      

         vorrei accarezzare la tua bellezza

contemplar tu serenidad                                                              

       contemplare la tua serenità

acompañar tu silencio.                                                                     

      e accompagnare il tuo silenzio.

Quisiera calmar tu dolor,                                                               

      Vorrei lenire il tuo dolore,

llorar tu lágrima al ver                                                                

       piangere le tue lacrime a vedere

tus hijos dispersos por el mundo,                                                      

       i tuoi figli sparsi in tutto il mondo

regateando posada en tierras                                                      

       mercanteggiare terre lontane

lejanas sin alegría, sin paz,                                                           

     senza gioia, senza pace,

sin madre, sin nada.                                                                           

    senza madre, senza nulla. 

 

Una mujer con imaginación es una mujer que no sólo sabe proyectar la vida de una familia, la de una sociedad, sino también el futuro de un milenio.

Una donna con l’immaginazione è una donna che non solo sa come pianificare la vita di una famiglia, di una società, ma anche il futuro di un millennio.

 

Lisa Orsini

“Quando il mondo intero non parla, persino una sola voce diventa potente.”



Manes Sara, 4°E

“Quando il mondo intero non parla, persino una sola voce diventa potente.”

Oslo, il Nobel per la Pace 2014 alla giovane pakistana Malala Yousafzai, portavoce della lotta per il diritto all’istruzione dei bambini del suo paese e di tutto il mondo.

Una cattiva ragazza diremmo, per utilizzare un’etichetta linguistica. “Impugniamo i nostri libri e le nostre penne,che sono loro le nostre armi più potenti.

Queste sono le parole di Malala, Cattiva Malala, come tutte quelle donne che hanno alzato la voce per ribellarsi ad una mentalità ottusa del loro tempo, nei più diversi ambiti: attraverso lo sport, il canto, la scrittura o ‘semplicemente’ la parola. Cattive ragazze perchè non si sono piegate alle regole del loro tempo, non hanno aderito al conformismo sociale, per maturare il pensiero di un futuro migliore.

Tutto quello che voglio è istruzione e non ho paura di nessuno. Un bambino, un insegnante e un libro possono cambiare il mondo. Impugniamo i nostri libri e le nostre penne,che sono loro le nostre armi più potenti.

Queste parole appartengono ad un discorso toccante e ricco di speranza che la giovane Malala, ha pronunciato davanti ai potenti del mondo, battendosi per l’uguaglianza dei sessi e il diritto all’istruzione. Una battaglia questa, che porta avanti con un coraggio insolito per una ragazza di soli diciannove anni, disposta a morire in nome della libertà.

La sua azione “divergente” ebbe inizio otto anni fa, quando inconsapevole dell’importanza e allo stesso tempo delle conseguenze innescate dalle sue azioni, pubblicò un articolo per la BBC, in cui documentava lo stile di vita che le persone erano costrette a condurre nel suo paese, sotto il regime talebano.La lotta contro l’ignoraza la portò ad essere nel 2012 vittima di un attentato in cui rischiò la vita. Nonostante ciò la giovane non si arrese e la sua lotta si rafforzò ancor di più.

I miei sogni sono gli stessi” disse dopo l’attentato, “la debolezza, la paura e l’impotenza sono morte. Sono nate la forza, la potenza e il coraggio”.

Una “cattiva” ragazza ? Si, ma in nome della libertà.

Non perde l’occasione per parlare a nome di tutti coloro che sono senza voce, in questi giorni in cui il presidente americano Donald Trump ha pubblicamente esposto il suo piano per chiudere le porte agli immigrati negli Stati Uniti.

Mi si spezza il cuore nel vedere che l’America sta voltando le spalle a una storia gloriosa di acccoglienza di immigrati e rifugiati, persone che hanno contribuito a costruire il Paese, disposti a lavorare duramente in cambio di una chance di vita migliore“, scrive Malala sulla sua pagina Facebook.

E’ ammirevole per il suo coraggio, la sua forza di volontà; sostiene e combatte con un’arma pacifica, il regime e l’ignoranza. E mentre lei ogni giorno rischia la vita per andare a scuola e costruire un nuovo finale, io mi rendo conto, di non essere del tutto consapevole della mia libertà !

Per me lei è la mia eroina.

 

 

 

 

 

La nuda verità

Aliaa Magda Elmahdy Aliaa è una ragazza che conduce una vita normale. L’università, il ragazzo, i suoi sogni. Non è certo una di facili costumi, né una delle tante che farebbero qualsiasi cosa per un attimo di notorietà. È nata a Il Cairo nel 1991 e ha ricevuto una rigida istruzione ed educazione da parte dei suoi genitori, i quali sono legati a costumi, usanze e tradizioni del proprio paese, ma soprattutto ai valori della religione islamica. All’età di vent’anni, però, la vita di Aliaa prende una piega diversa, e lei, oltre a dichiararsi laica, si trasforma in un’altra persona: si trasforma in una “cattiva ragazza”. Nell’ottobre del 2011 decide di pubblicare su Internet un autoscatto che la ritrae nuda. Accanto alla foto aggiunge la seguente descrizione: “Processate i modelli che posavano nudi nelle scuole d’arte, nascondete i libri d’arte, distruggete le statue di nudi antichi, poi spogliatevi e guardatevi allo specchio: bruciate il vostro corpo, il corpo che disprezzate, per liberarvi per sempre della vostra appartenenza a un sesso per infine dirigere la vostra umiliazione e il vostro sciovinismo contro di me e osare negarmi la libertà di esprimermi”. Ma non si ferma a questo e appella questo suo gesto come: “un urlo contro una società di violenza, razzismo, sessismo, molestie sessuali e ipocrisia”. Ma cosa l’ha portata a compiere un’azione simile? In un’intervista rilasciata a un telegiornale americano, Aliaa racconta il susseguirsi di alcuni eventi che le permisero di cambiare sguardo sulla sua vita: due mesi prima di scatenare il grande tumulto sul web, la giovane aveva trovato l’amore assieme a Kareem. Bisogna che vi informi che presso Il Cairo “l’amore prematuro”, quello che nasce e sboccia tra i giovani, è considerato un’offesa al sentito fondamentalismo religioso del paese, soprattutto se manifestato in pubblico. Aliaa racconta di un pomeriggio in cui stava passeggiando e scambiandosi semplici tenerezze con Kareem in un parco. A un certo punto i due vennero avvistati dal servizio di sicurezza e rischiarono di essere processati in tribunale perché si tenevano per mano. Kareem aveva deciso di riprendere quanto stava succedendo per avere una prova dell’assurdità della situazione, ma “ovviamente” gli venne subito ordinato di spegnere la videocamera. Lui ebbe il coraggio di opporsi: non aveva intenzione di spegnerla. Gli uomini della sicurezza lo minacciarono di chiamare la polizia e se la presero anche con Aliaa, continuando a chiamarla “bambola” davanti al fidanzato. Lei si difese dicendo di voler essere rispettata, ma loro le intimarono di abbassare la voce e di stare zitta. Rizzi Camilla 4E Questo episodio si concluse la sera stessa senza alcun provvedimento nei confronti dei due giovani, ma Aliaa, una volta tornata a casa, ebbe il tempo di riflettere su quello che aveva passato fino a quel giorno e capì a cosa sarebbe andata incontro se avesse continuato a condurre la propria vita nel suo paese. Non accettando la propria condizione di inferiorità in quanto donna, pubblicò sul suo blog (arebelsdiary.blogspot.com ثائرة مذكرات (la sua prima foto di nudo integrale. L’accaduto rappresenta la fatidica goccia che fece traboccare il vaso di sopportazione alle oppressioni a cui Aliaa era costantemente sottoposta.

 

“Is it freedom about nudity? No it’s not. But it’s about it: it’s my body and I decided to post the photo. It’s about the freedom to post or not. It’s about not imposing things upon me.”

 

In pochi giorni ricevette quasi tre milioni di visite, con oltre 3.500 commenti. In un primo momento la maggioranza degli utenti la screditava, insultava, addirittura la minacciava di morte, senza cogliere il significato dell’atto coraggiosissimo di questa ragazza: un gesto di protesta che in un qualunque paese occidentale, prendiamo per esempio il nostro, l’Italia, avrebbe avuto come unico scopo il raggiungimento di una certa notorietà, ma che in un paese come l’Egitto suscita non poco clamore. É una provocazione importante, aggressiva, ma che riesce a funzionare. I sostegni non tardano ad arrivare, le manifestazioni in onore di Aliaa e della sfida che ha lanciato sono numerose in tutto il mondo. Questa ragazza esprime una grande verità che, a parer mio, dovrebbe essere scontata. Uso il condizionale è dico “dovrebbe”, perché purtroppo un atto come questo da alcuni é stato frainteso ed é stato interpretato con malizia, quando invece molte donne che hanno vissuto, vivono e vivranno ancora per chissà quanto nella sua stessa situazione, si sono sentite coinvolte. Una di loro commenta: “Aliaa mostra un corpo che c’è, esiste, e non può essere negato da nessun regime e da nessuna religione!”; ha ragione! Alia lotta per la libera espressione del suo paese, protesta contro un regime oppressivo, in cui è stata vittima della uso di potere della polizia, quella stessa polizia che a noi fa sentire protetti e al sicuro, difende la libertà delle donne, mettendo a rischio la sua di libertà, e forse la sua stessa vita! Quello che mi turba è che potrebbe essere mia sorella. In ogni caso da tutte le parti del mondo i supporti e gli incoraggiamenti continuano ad aumentare soffocando le poche critiche che rimangono. Non solo: questo suo gesto ha dato vita a rivoluzioni e manifestazioni e ha risvegliato nello spirito delle persone il desiderio della parità dei sessi e la voglia di reagire alle ingiustizie.

Camilla Rizzi

La mia Calvineide

vignetta di Nello Colavolpe - Capone come l'Albatros

Non si insegna ciò che si sa, si insegna ciò che si è
Soren Kierkegaard

È inevitabile che l’insegnante insegni non solo come
fare qualcosa, ma anche che cosa è preferibile fare e perché:
comunichi cioè non solo tecniche ma anche valori.
Alfonso Berardinelli,
L’eroe che pensa. Disavventure dell’impegno

La morte / si sconta / docendo
(io, parafrasando Ungaretti)

Carissimi studenti del Calvino,

mi chiamo Maurizio Capone, ho 30 anni e sono uscito dal Liceo Scientifico Italo Calvino nel luglio 2005. Sono rimasto così legato al Calvino che, pur non vivendo più a Rozzano, quando riesco ripasso a trovare i miei professori e a rivivere la magia di quell’ambiente. Ho anche tenuto un paio di lezioni sulla Divina Commedia (ho svolto dei modesti studi danteschi) a fine 2009 e ricordo ancora con allegria, dopo che sfoderai una cinquantina di versi recitati a memoria (Paganini non ripete!), il commento insolitamente romanesco di un ragazzo: «Amvedi, oh ma qua c’avemo er fijo de Benigni!». Chissà se troverò il tempo di venire a raccontarvi il mio Nievo e Tolstoj (tra qualche riga capirete), sarebbe bello.
Poiché purtroppo il tempo è tiranno (tempus edax rerum, vero latinisti?), non riesco a scrivervi la miriade di ricordi positivi e malinconici che mi evocano gli anni “calviniani” (se ci fosse la macchina del tempo tornerei oggi stesso a 14 anni per ripercorrerli tutti). Ma, per sopperire a questo, ho scelto di fare una vera “operazione amarcord”: vi riporto il mio lascito d’addio alla scuola, che scrissi proprio sul blog; i ringraziamenti in calce alle mie tesi di laurea triennale e magistrale; un messaggio di fine anno. Questi testi possono fungervi come reperti per tracciare una stratigrafia della mia fedeltà al Calvino, ai miei professori e, in particolare, per mia inclinazione personale, alle Lettere e ai saperi umanistici in generale. Ovviamente, rileggendo, qualcosa oggi lo modificherei, ma è eticamente corretto che ve li presenti così senza cambiare una virgola dei testi. L’esito finale è prolisso, dunque, qui si parrà la (vostra) nobilitate. Solo i veri die hards, solo i duri a morire arriveranno in fondo.

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I regolamenti possono fermare la determinazione di un’atleta?

Inizio della maratona

Kathrine Switzer: una ragazza che non si arrese mai

“Nella vita ho avuto fortuna. I miei genitori ed Arnie mi hanno sempre detto che potevo fare qualsiasi cosa. Come donna non mi sono mai accontentata di giocare con le bambole o fare solo la cheerleader. Sì, mi piaceva giocare con le bambole od indossare bei vestiti, ma mi divertivo anche ad arrampicarmi sugli alberi e a fare sport. Dopo la mia esperienza a Boston, capii che vi erano milioni di donne al mondo che erano cresciute senza credere di poter superare i limiti a loro imposti. Volevo fare qualcosa per migliorare le loro vite. Ciò di cui abbiamo bisogno è il coraggio di credere in noi stesse ed andare avanti passo dopo passo.”: le parole di Kathrine Switzer sicuramente la collocano tra le cattive ragazze.

Fin da bambina ha amato lo sport, tanto che quando ha avuto l’età adatta anziché diventare una cheerleader ha scelto di diventare un’atleta. Il primo sport è stato l’hockey su prato, uno sport poco apprezzato al college, perciò decise di dedicarsi all’atletica; eppure anche in questo ambito ebbe difficoltà ad emergere perché negli anni sessanta le corse erano riservate unicamente agli uomini , inoltre la sua presenza nella squadra non era accettata dalla mentalità conservatrice della Virginia. Nel 1966 però avvenne una svolta nella sua vita poiché conobbe Arnie Briggs, il postino dell’università che aveva partecipato alla maratona di Boston per ben quindici edizioni e che divenne il suo mentore. A lui svelò il desiderio di partecipare alla maratona, un progetto per cui si era allenata tenacemente anche nelle fredde giornate d’inverno. Arnie rimase colpito dal progetto ardimentoso, le donne non potevano prendere parte alla maratona. Il postino decise di supportarla, non solo allenandola all’impegno ma anche esortandola a prenderne parte in maniera ufficiale, iscrivendosi alla corsa. Insieme escogitarono un modo per aggirare la burocrazia, iscrivendo Kathrine a nome K.H. Switzer, un nome anonimo che non avrebbe destato sospetti.

Qualche sera prima della gara Kathrine espose il suo obiettivo al fidanzato, Tom Miller, suscitando a lui molta ilarità, tant’è che sostenne che se lei ce l’avesse fatta anche lui ne avrebbe preso parte, d’altronde anch’egli era un atleta seppur di lancio del martello. La corsa proseguì senza intoppi per i primi chilometri di gara, grazie anche alla collaborazione sportiva degli altri partecipanti, finché il direttore di gara si accorse della presenza di un’atleta donna a causa dello scompiglio creato dai fotografi.

John Semple cerca di strattonare e fermare Kathrine

Malgrado i tentativi di fermarla, Kathrine giunse al traguardo grazie all’aiuto del suo stesso fidanzato, che la protesse durante il corso della gara. Ovviamente Kathrine non fu inserita nella classifica finale, ma questo fu un motivo di lotta e negli anni successivi cercò di cambiare il regolamento della associazione affinché comprendesse anche le donne alla maratona.

Nel 1972 Kathrine vinse la sua battaglia, così le donne furono ammesse alla Boston Marathon. Successivamente si dedicò alla sua attività giornalistica promuovendo lo sport, partecipò ancora alla maratona vincendola nel 1974. Grazie alla sua determinazione ed alla sua tenacia,è riuscita a cambiare il regolamento ottuso della corsa in un’opportunità per tutti.

 

 

Davide Fioletti

Kathrine alla Women’s Marathon con il “suo” numero 261

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Una “cattiva ragazza” eccezionale

 La prima volta che ho letto la storia di Oriana Fallaci mi ha ricordato molto quella di Nelly Bly, una giornalista statunitense, anche lei  inviata speciale nelle zone di guerra, e anche lei “ cattiva ragazza” per il solo fatto di essere una giornalista donna. Anche Oriana Fallaci può essere considerata una “cattiva ragazza” perché nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare nella sua vita, sia per il fatto stesso di essere una donna, sia per  il suo pensiero spesso anticonformista, è riuscita a portare avanti la sua passione di giornalista e scrittrice, andando anche in zone molto pericolose come il Vietnam durante la guerra, affermando le proprie idee senza nessuna censura e senza paura delle conseguenze diventando una scrittrice affermata e apprezzata da molti, a tal punto da riuscire con i suoi dodici libri a vendere  venti milioni di copie in tutto il mondo. “Cattive Ragazze” può sembrare un’ espressione negativa ma in realtà nasconde un significato più complesso, infatti, indica tutte quelle ragazze che per raggiungere i propri obiettivi (ottenere un diritto, un lavoro) hanno dovuto infrangere le regole dell’ epoca in cui vivevano e per questo motivo sono state soprannominate “cattive ragazze”. Tra le tante donne che sono state considerate in classe, io ho scelto Oriana Fallaci proprio per il suo carattere determinato nell’ affermare le proprie opinioni.

Come non definire “cattiva ragazza”una donna che dopo aver ottenuto un’intervista con Khomeini,   leader della rivoluzione iraniana del 1979, si tolse il chador impostole prima di accordare l’intervista, in un estremo atto di indipendenza e affermazione di identità. Davanti a tale gesto “l’ayatollah si alzò con uno scatto così svelto, così improvviso, che per un istante credetti d’esser stata investita da un colpo di vento. Poi, con un salto altrettanto felino, scavalcò il chador e sparì”.

Intraprese la carriera da giornalista subito dopo la scuola al “Mattino dell’Italia centrale, un quotidiano d’ ispirazione cristiana, dove si occupò di vari argomenti, tuttavia fu licenziata dal quotidiano quando si rifiutò di scrivere un articolo contro Palmiro Togliatti, come le era stato chiesto dal direttore. Oriana, perciò fin da giovane si dimostrò forte e tenace  nell’ imporre il proprio punto di vista. Nel 1961 realizzò un reportage sulla condizione della donna in Oriente ,che poi divenne il suo primo vero successo editoriale intitolato “Il sesso inutile”. Fu anche la prima donna italiana ad andare al fronte in qualità di inviata speciale, infatti, nel 1967 si recò come corrispondente di guerra per il quotidiano “L’Europeo” in Vietnam dove  raccontò sette anni di guerra, documentando menzogne e atrocità, ma anche eroismi e umanità di un conflitto che definì una “sanguinosa follia”. Nel 1975 la Fallaci e Panagulis, suo compagno di vita fino alla morte di lui, collaborarono alle indagini sulla morte di Pier Paolo Pasolini, amico della coppia e sarà proprio lei la prima a denunciare il movente politico dell’omicidio dell’ intellettuale. Anche la sua stessa storia d’amore con Panagulis leader dell’ opposizione greca al regime dei Colonnelli, segnò la sua vita; in lui Oriana vedeva un uomo con la “U maiuscola” che si era battuto per la verità, giustizia e libertà del suo paese e raccontò la sua storia  nel libro “Un uomo”. Durante i suoi ultimi anni di vita Oriana Fallaci scrisse un articolo, subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York, intitolato “La rabbia e l’orgoglio”, in cui oltre ad attaccare l’islam  accusa soprattutto  l‘Occidente di non aver saputo imporre la cultura occidentale su quella islamica. Nel 2006 Oriana Fallaci muore per un cancro ai polmoni, fu suo preciso desiderio morire nella città in cui era nata e , nonostante fosse atea, decise di donare gran parte del suo patrimonio librario e altri suoi oggetti alla Pontificia Università Lateranense di Roma, poiché il rettore Rino Fisichella era suo personale amico. Questa fu l’ultima contraddizione di una donna ricca di chiaroscuri.

“Essere donna è cosi affascinante, è un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida, che non finisce mai ”
(Oriana Fallaci)

Chiara Virzì