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Due ore sul palco… due ore speciali

Il regista Marco Pernich

Finalmente dopo 5 lunghi mesi di “astinenza” oggi ricomincia il laboratorio teatrale della scuola. Questo è per me il terzo anno, la maggior parte del vecchio gruppo ormai non c’è più. I ragazzi di quarta e quinta hanno terminato gli studi e alcuni ragazzi di prima hanno invece deciso di cominciare questa attività. Ma una cosa è importante: l’insegnante non è cambiato e quindi in fondo il laboratorio è rimasto lo stesso. Ricordo ancora quando in prima liceo, rapita dalla bellezza dello spettacolo decisi di iscrivermi, nonostante avessi timore anche di alzare la mano in classe per chiedere di andare in bagno.
Nel primo spettacolo ho detto 7 battute, nel secondo 20, ma non è questo l’importante, avrei potuto anche stare zitta, l’importante è essere parte del gruppo. L’importante è sapere che dalle 14,30 alle 16,30, non importa cosa sia successo la mattina, se sia andata male un’interrogazione, una verifica o una litigata con i genitori, per quelle due ore, con i cellulari rigorosamente spenti (e guai a dimenticartelo acceso!), non si deve pensare ad altro che allo spettacolo e al gruppo, a trasmettere qualcosa a quelle persone che per 45 minuti circa stanno sedute di fronte a noi e ci danno la possibilità di dire qualcosa, di essere ascoltati. Perché pensandoci, quando mai ci capita la possibilità di essere ascoltati veramente?

Seduta sulla sedia dell’auditorium aspetto pazientemente le 14,30 e intanto penso a cosa faremo oggi. Sono sicura, oggi Marco, l’insegnante (anche se lui non vuole che lo si chiami così), trascorrerà due ore facendoci il solito discorso interminabile sul teatro, dicendo sempre le stesse cose che ormai, dopo aver ascoltato per due anni, conosco abbastanza bene. Eppure non vedo l’ora e dentro me spero che dica esattamente le stesse cose, perché quando Marco parla c’è qualcosa di speciale nel suo modo esprimersi. È come se le sue parole ti rapissero e se tu non potessi fare a meno di ascoltarlo. Anche le cose più banali sono talmente scontate da risultare tremendamente vere. A volte mi chiedo se faccio teatro per ascoltare lui o perché mi piace recitare. Finisco sempre con il convincermi che in fondo una motivazione non deve necessariamente escludere l’altra.

Alle 14,30 ci sono tutti, ragazzi nuovi compresi, cominciamo a conoscerci e a salutare i vecchi amici. Poi dopo un quarto d’ora arriva Marco che esordisce con la sua solita frase: “trasferite le vostre inutili molecole sul palco”. Così tutti ci spostiamo immediatamente sul palcoscenico e lui si presenta ai nuovi arrivati, che rimangono subito colpiti dal suo aspetto fisico: magro, alto e dalla lunga barba e capelli bianchi assomiglia più ad un profeta biblico che a un regista. Marco tuttavia ignora placidamente le arie confuse dei ragazzi e comincia a elencare in modo rigido e preciso le regole principali del laboratorio: niente cellulari accesi, niente braccialetti, collane,orecchini o orologi e solo 2 assenze all’anno. Tutti lo guardano con aria un po’ terrorizzata, mi sa che non hanno capito che tipo è. Poi comincia, una domanda semplice, che però ci lascia perplessi: “immaginate che io sia un marziano, su Marte non c’è il teatro, voi dovete spiegarmelo, cosa mi direste?”. Siamo così confusi che ci vengono in mente solo risposte idiote come: “beh, il teatro vuol dire fare uno spettacolo” oppure “fare teatro vuol dire recitare” o ancora meglio “vuol dire che ci sono delle persone che fingono di essere ciò che non sono”. Sono tutte risposte banali, quelle frasi sgrammaticate e senza senso che ci vengono in mente quando siamo in difficoltà, eppure per Marco non esistono domande o risposte stupide e in particolare l’ultima sembra catturare particolarmente la sua attenzione. “Interessante…” esclama “quindi delle persone fingono di essere ciò che non sono, beh, anche su Marte c’è un posto che si chiama manicomio dove delle persone credono di essere qualcun altro, gli attori sono quindi dei pazzi? dove sta la differenza?” La discussione continua per un po’, quando finalmente arriviamo a una conclusione: “la differenza sta nel fatto che i pazzi non sono coscienti di fingere di essere qualcun altro, loro percepiscono la realtà in modo diverso proprio come un daltonico percepisce il rosso al posto del verde. Un attore invece recita in modo consapevole per trasmettere un messaggio ben preciso e dire qualcosa ad un pubblico con il quale instaura una relazione emotiva”. Mi sento esaltata, mi sembra di aver capito tutto, quando Marco fa crollare il mio castello con un’altra domanda che a stento comprendiamo completamente: “Il problema del teatro non è quello di farsi capire ma di arrivare là dove le parole da sole non arrivano, e quindi, dove deve arrivare l’attore? Qual è questo messaggio a cui le parole da sole non arrivano?” Ci guardiamo con aria interrogativa, non sappiamo proprio cosa dire, come quando ad una interrogazione un professore ti fa una domanda difficilissima. Eppure qui non c’è una risposta giusta o una sbagliata e nessuno ti etichetta con un numero sul registro, ma ho paura di dire una stupidaggine, sento che qualunque cosa dicessi non sarebbe mai all’altezza di un suo intervento, così aspetto che parli lui. Lui lo avverte e comincia: “Un certo Fontana, pittore d’arte moderna, un giorno prese una tela e la incise provocando uno squarcio enorme e la portò poi in un museo. Quello che una persona istintivamente fa trovandosi di fronte a una tela squarciata in un museo è guardare dall’altra parte per vedere cosa ci sia dietro. Peccato che dietro non ci fosse niente. Vedete, il teatro, così come l’arte è l’epifania dell’invisibile.” e poi continua “L’arte è la vita senza tempi morti. Nel tempo dello spettacolo puoi fingere di fare qualsiasi cosa, essere un’astronauta o scaccolarti e fingerti un bambino, la gente ti crederà, a patto che tu lo faccia fino in fondo e non lasci trasparire la quotidianità.” e finisce dicendo “Ciò che conta nell’arte moderna è l’idea. Se qualcun altro dopo Fontana avesse fatto la stessa cosa non avrebbe avuto nessun significato, egli è stato grande non per quello che ha fatto ma per il solo fatto di aver deciso di farlo. Noi possiamo raccontare qualsiasi storia, l’importante è che abbiamo qualcosa da dire, poi troveremo il modo di dirlo”.

Mi guardo attorno, abbiamo tutti quanti un’espressione stupita, ma tutti lo abbiamo ascoltato, senza rendercene conto sono passate due ore durante le quali abbiamo discusso di tutto, eppure non siamo stanchi o annoiati, ci ha spiegato un sacco di concetti, ma senza la “presunzione” di un’insegnante, si è fatto ascoltare, ma non ha voluto che lo facessimo in modo passivo. Ha fatto una sorta di lezione, ma grazie alle sue battute e ai suoi interventi di spirito non ce ne siamo nemmeno accorti. Abbiamo parlato del filosofo Averroè e del fatto che non conoscesse il teatro, ma anche del fatto che il lupo è l’unico personaggio con una finalità pedagogica all’interno della storia di “Cappuccetto Rosso”. Ci siamo divertiti come dei matti, e abbiamo capito che matti non siamo affatto. Abbiamo trascorso due ore dedicandoci solo a noi stessi, ma abbiamo parlato di come comunicare ciò che sentiamo agli altri. Insomma, come al solito mi ha lasciato con molti dubbi e mille domande, ma su una cosa sono sicura: non importa saper recitare o no, essere timidi o estroversi e impulsivi, per come è ora il laboratorio teatrale del nostro istituto è assolutamente un’esperienza unica!

Learning Week “Dal latte al gelato” (09-14 Luglio 2012)

Ciao Calvino!

Iniziamo un nuovo anno scolastico ricordando con grande entusiasmo l’esperienza della Learning Week “Dal latte al gelato” (09/14 Luglio 2012) alla quale hanno partecipato la prof. Paola Ventura , il prof. Maurizio Lapadula e gli alunni Federico Galli, Miriana Traverso, Mattia Giacone (ITAG), Elisabetta Lenzo, Luigi Matrone, Lorenza Pantusa, Fatima Salai, Sara Sturla e Antonietta Spezzacatena della Classe 4a A Itc (anno scolastico 2011/2012). I percorsi di Learning Week sono settimane di studio, di apprendimento e di acquisizione di esperienze, di relazioni, che favoriscono il rafforzamento delle conoscenze e delle competenze dei giovani e una più efficace introduzione nel mondo del lavoro. Il project work di quest’anno ha consentito a noi allievi più alcuni nostri coetanei, provenienti da tre indirizzi diversi (Tecnico Commerciale, Agrario ed Alberghiero), di mettere in gioco e in comune le nostre specifiche competenze, prevalentemente: tecnico – produttive per l’agrario, tecnico – gestionali per il tecnico commerciale e di preparazione alimentare per gli chef ed i pasticceri. La classe, così composta, ha svolto un percorso di conoscenza diretta ed esperienziale della filiera del latte, dall’allevamento dei bovini alla produzione del latte, alla distribuzione e all’utilizzo per la produzione del gelato, inoltre, tutti noi ragazzi, abbiamo avuto l’opportunità di progettare e simulare lo start up di un’agrigelateria. Continua la lettura di Learning Week “Dal latte al gelato” (09-14 Luglio 2012)

Al Calvino di Noverasco Nasce la Maglia d’Istituto !!!

Anche se l’anno è ormai giunto al termine e gli studenti pensano più al mare che ai libri, tranne quelli di quinta, a Noverasco un’idea della docente Napoletano trova terreno fertile ed attecchisce.

In pochi giorni viene realizzato il nuovo logo studentesco del Calvino pronto per la stampa.
Verrà applicato su magliette bianche per studenti, docenti e personale scolastico, un’idea nata per caso che diventa un progetto !!!

Grazie alla professoressa Napoletano e alla sua idea, adesso passiamo il testimone a Rozzano!!

A tutti voi 0 debiti 😉

Che strano sogno…

“I sogni sembrano reali finché ci siamo dentro, non ti pare? Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto che c’era qualcosa di strano.”

Sveglio.

Ho ricordi confusi di quello che ho appena sognato, ma se mi trema ancora la mano non deve essere stato molto piacevole. Respiro a fondo e cerco di calmarmi.

Ora ricordo. Ho fatto un incubo. Uno di quelli che, una volta svegli, viene spontaneo dire “per fortuna era solo un incubo”.

Allora, vediamo se riesco a raccontarlo. Chiedo scusa già da adesso se quello che sto per raccontare risulterà un po’ confuso, ma abbiate pietà: non è facile ricomporre i cocci di un sogno come il mio…

Ero… un professore. Esatto, un professore di liceo, almeno credo. E mi lamentavo… mi lamentavo con un collega. Credo fosse perché i miei studenti erano demotivati durante le mie spiegazioni e quando interrogavo o facevo verifiche, le mie classi erano piene di banchi vuoti. Ero arrabbiato per questo perché, ero assolutamente convinto che le mie spiegazioni fossero chiarissime e non capivo perché fossi sempre interrotto per chiedere delucidazioni.

Ero un bravo professore che agiva per il bene dei suoi ragazzi! Era per il loro bene se li tenevo sotto torchio con le interrogazioni e li caricavo di lavoro! E loro come mi ripagavano? Con continue assenze strategiche? Non lo potevo tollerare.

Ricordo di essermi lamentato di una ragazza che un giorno mi disse una cosa del tipo “Lei ci dà da studiare come se non avessimo anche altre materie”. Ma come si permetteva? Io le davo una mano e lei me la mordeva? Che maleducazione!

Ricordo che mi lamentavo dei risultati imbarazzanti di tutte le mie valutazioni, che gran parte degli studenti andasse a ripetizioni e che a fine anno c’era sempre un numero consistente di rimandati nella mia materia. Com’era possibile? Io gli insegnavo in modo addirittura troppo semplice, non poteva essere colpa mia! Ero sicuro di non sbagliare in niente.

Ricordo, infine, che il mio collega mi disse qualcosa – sono certo che sia qui che è cominciato il vero e proprio incubo –, ma non ricordo cosa… So che è stato in quel momento che mi sono sentito crollare il mondo addosso e ho cominciato ad urlare e disperarmi (ed è proprio dopo questo fatto che mi sono svegliato).

Ecco! Mi disse con un tono particolarmente severo: “Questa situazione è colpa tua. Se decine di studenti hanno problemi con te, non è possibile credere che sia solo ed esclusivamente colpa loro. Stai sbagliando tutto.” Ed ecco spiegato perché mi sono disperato: ero cieco. Le mie certezze si basavano su presupposti assolutamente sbagliati, quindi con quella frase le mie certezze erano venute a crollare come un castello di carte.

Ora sono più calmo. Meno male che era solo un sogno. Dopo tutto, professori così non esistono neanche…

prove INVALSI

Riporto quanto ho trovato “girovagando”.

SCUOLA/ 1. Le prove Invalsi? Non è un test di 4 ore a rovinare il lavoro di ogni giorno
Elena Ugolini (INVALSI)
mercoledì 11 maggio 2011

Nel corso di questa settimana circa 2.250.000 studenti sono impegnati a svolgere le prove di italiano e matematica Invalsi. Sono gli alunni che frequentano la II e V primaria, la I secondaria di primo grado e la II superiore. Penso sia giusto usare il termine “prove” per indicare ciò che è contenuto nei fascicoli su cui sono chiamati a lavorare i nostri figli: si tratta di esercizi, problemi, domande sul testo costruite a partire da quadri di riferimento concettuali ben precisi. Non sostituiscono quelle che i docenti costruiscono ogni giorno per verificare ciò che i propri studenti hanno imparato, la loro capacità di argomentare, giudicare, esprimersi, trovare strade nuove per risolvere problemi. Le prove Invalsi non potranno mai prendere il posto di questo lavoro quotidiano che gli insegnanti svolgono e che gli studenti sono chiamati a fare. Hanno una funzione limitata, ben precisa, non esaustiva. Perché allora farle? Sono prove che hanno lo scopo di offrire alcuni elementi confrontabili su tutto il territorio nazionale per più di 550.000 studenti per ciascuno dei livelli coinvolti. Sarebbe possibile avere elementi comparabili sulla padronanza della nostra lingua facendo svolgere la “stessa” interrogazione orale a “tutti” i ragazzi, “contemporaneamente”? Possiamo ammettere, almeno come ipotesi di lavoro, che avere questi dati relativamente a tutto il territorio nazionale possa avere una qualche utilità?Un ragazzo di seconda superiore che con il proprio docente di italiano ha avuto la fortuna di leggere e studiare Shakespeare – lo dicevamo ieri in una trasmissione radiofonica con Paola Mastrocola – non avrà sicuramente avuto alcun problema a svolgere la prova Invalsi. Non sono necessari addestramenti particolari. Occorre “semplicemente” abituare i ragazzi al rigore, all’attenzione ad ogni singola parola, a non trarre conclusioni senza chiedersi il perché. È quello che chiede di fare ogni giorno chi insegna, chi aiuta a capire, a conoscere in profondità, a non rimanere in superficie. Niente a che vedere con quei libretti pieni di esercizi banali e ripetitivi usciti in concomitanza delle prove Invalsi, redatti, magari, dagli stessi autori di sussidiari e libri di testo usati regolarmente dentro le scuole.È opportuno dare il giusto valore a queste prove, che non sono né la risoluzione né la causa di tutti i problemi. Per farle svolgere gli insegnanti hanno dovuto rinunciare a circa 4 ore di scuola sulle 1000 previste nell’arco di un intero anno scolastico.

Quattro ore a fronte di 18 mesi di lavoro svolto da docenti ed esperti per mettere a punto i fascicoli, del tempo che i ricercatori dell’Invalsi impiegheranno per scrivere un rapporto dettagliato sui risultati di un campione rappresentativo di scuole controllato da osservatori esterni. I dati restituiti invece alle singole scuole che non hanno avuto la supervisione esterna, nel caso in cui non sia stata fatta bene la somministrazione, saranno carta straccia, a danno esclusivo di chi male le ha svolte. La buona notizia di ieri è che solo in 3 scuole delle 2.300 individuate per il campione della seconda superiore, ci sono state difficoltà. Lo scorso anno tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado avevano partecipato di buon grado alla rilevazione, senza caricarla di significati che non ha e che non potrà mai avere. È fin troppo evidente che misurare i risultati dei nostri studenti solo con test esterni standardizzati sarebbe un crimine, perché significherebbe depauperare una tradizione culturale, educativa e didattica che non ha niente a che fare con l’addestramento: non bisogna confondere il significato di questa operazione con i suoi sottoprodotti.
Ma tra questo estremo e la rinuncia a qualunque forma di comparazione esterna dei livelli di apprendimento degli studenti c’è la strada del sano realismo. Prima delle rilevazioni Invalsi un quadro contraddittorio della scuola italiana veniva offerto da una parte dagli esiti delle grandi indagini internazionali, che denunciavano l’esistenza di un profondo divario tra nord e sud e di una iniqua varianza di risultati tra scuole; e dall’altra dai risultati di un esame di Stato alla fine del secondo ciclo in cui il Paese compariva come un grande insieme indistinto, senza alcuna significativa differenza tra scuole. In realtà, chi sa che cosa c’è “dietro” un 80, un 90, un 100 come esito finale? Se la tradizione dell’esame di maturità, con la presenza del colloquio orale alla presenza di una commissione esterna, è a mio parere insostituibile; se non può esservi dubbio sull’esistenza di Indicazioni nazionali che mettono in evidenza il valore in sé della conoscenza come risposta ad una domanda di senso, tuttavia poter disporre di dati esterni comparabili sugli apprendimenti è di cruciale importanza. A meno di accettare la situazione attuale, in cui le università preferiscono proporre loro stesse prove selettive in ingresso, non potendo dare alcun valore al punteggio conseguito nell’esame di Stato. Pensiamoci.

… e noi del Calvino cosa ne pensiamo?

Innovation & Creativity Challenge

Il 6 e 7 aprile presso la sede di ABB Italia a Sesto San Giovanni si è tenuta la terza edizione dell’Innovation & Creativity Challenge, tale evento è stato organizzato dalla Junior Achievement Italia.

In queste due giornate 90 giovani provenienti da 12 Istituti Superiori di Lombardia ed Emilia Romagna hanno lavorato per poter soddisfare le richieste del business challenge ovvero quello di integrare e sviluppare nuovi strumenti e piattaforme basate sulla tecnologia web 2.0 per promuovere una comunicazione multi-direzionale con due target specifici: i giovani neo laureati e diplomati e gli installatori di sistemi domotici.

Sul gradino più alto il progetto ABB 2.0 Future and Assistance, una piattaforma web 2.0 dedicata ai giovani e ai partner aziendali; un unico canale di business ma con sezioni specifiche per accedere all’azienda e alle selezioni di personale in modo non convenzionale, e per dare e ottenere informazioni e assistenza sui prodotti.

Premiati anche Imagine your future house, una casa domotica in progress da sperimentare e vivere in ambiente virtuale, commentando e progettando possibili nuove evoluzioni, e ABB Future, un sito dedicato ai giovani e ai professionisti di domotica per lo scambio di idee, concorsi e la promozione delle proprie attività.

I tre vincitori del Calvino (Matteo Cuttini 3aD I.T.C. Lorenza Pantusa 3aA I.T.C. e Rejdon Kopo 4aB I.T.C.), dopo un colloquio in lingua inglese saranno chiamati a rappresentare l’Italia all’European Innovation & Creativity Challenge che si terrà a Bruxelles dal 18 al 20 maggio.

Grossa è stata la soddisfazione dei 3 studenti e delle 2 docenti Paola Ventura ed Elvira Bonuso che hanno dato il loro impegno per poter far partecipare i ben 40 ragazzi della nostra scuola al contest.

Ora vorrei porgere i miei complimenti anche ai gruppi non vincitori per il loro impegno… COMPLIMENTI RAGAZZI!!!!

Matteo Cuttini

Learning week. Le foto della presentazione

Selezionare le foto è sempre difficile… e trapela una certa soddisfazione in alcune foto che è difficile censurare per una semplice ragione di qualità estetica dell’immagine.

Così avrei scelto la soluzione ALBUM ONLINE.

Qui poche immagini di testimonianza dei vari gruppi di studenti con sullo sfondo la proiezione della loro presentazione aziendale.

Calvino-Rozzano-Learning-Week

il gruppo di partecipanti al completo, docenti ed eperti ALA ONLUS inclusi.

Azienda 4Ever, Wedding Planners. L. Ruberto, S. Serangeli, D. Savarino, L. Spelta

Azienda Dal Mattarello. Cchiu pasta pe’ tutti! S. Maiorana, M. Cuttini, D. Condemi, L. Cinqunta

Azienda Even Ti Amo. Wedding Planners. E. Casanova, G. Chiarello, F. D’Agnese, R. Digori, M. Ottoboni

Azienda Game Over. Videogames. S. Brignoli, L. Maiorano, R. Mari, L. Martino

Azienda SinEasy. Abbigliamento per i giovani. I. Fioricelli, S. Battaglia, K. Volokh, V. Sinisi, E. Barko

Azienda Break Point. Distributori automatici. T. Botti, A. R. De Crescenzo, A. Areniello, L. Catasta

 

 

Learning week. Tiriamo le somme

qui mi trovo in veste di prof. simpatizzante.
Intendo dire: non ho meriti ma solo ammirazion-i per il bel lavoro portato avanti nelle terze classi dell’ITC.

Come sempre si dimostra, lavorare per progetto è entusiasmante.

Per i professori, che vedono fiorire interventi inattesi, atteggiamenti nuovi, entusiasmi a volte lungamente attesi.

Per gli studenti, che vedono ribaltato il palcoscenico. Sono loro in prima linea a determinare il successo di quello che si studia e si progetta insieme.

Tutto questo sarà possibile vederlo domani alle 11.15 in auditorium.
Non tutto, certo. Sarebbe stato necessario far parte dei vari gruppi di lavoro per capire come si sviluppano queste dinamiche educative.
Per due settimane, tutti i giorni dopo scuola, un gruppo di studenti delle varie classi si sono visti catapultare in un mondo adulto fatto di orari prolungati, sforzi comuni, confronti paritari sulla validità delle idee e sul come portarle avanti con responsabilità. L’affiancamento di alcuni docenti con esperti esterni della scuola – in questo caso della ONLUS ALA del Sud di Milano – è servita a far capire che i ragionamenti a scuola sono validi e sono proprio quelli che servono usciti da questo ‘dorato’ periodo di formazione.

Mi spiace tantissimo non poter essere tra i genitori e i docenti che domani assisteranno alla presentazione delle future aziende che i nostri ragazzi hanno ideato.
Faccio a tutti gli auguri. Nessuna bella idea ha successo senza una valida presentazione, ovviamente!

Un asino del Calvino in Africa

Ciao a tutti, volevo segnalare che la classe 4a C del Liceo ha appena partecipato ad un’iniziativa un po’ particolare: si tratta dei regali solidali proposti dal CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia). L’iniziativa prevede l’invio all’associazione di fondi che vengono utilizzati per l’acquisto di animali (mucche, asini, galline,..) destinati alle famiglie in difficoltà del Burkina Faso. Le condizioni delle famiglie sono spesso così disagiate che anche un solo animale può costituire un’importante fonte di sostentamento (latte, uova,..) o di reddito (utilizzandolo come animale da soma per la coltivazione) per l’intero nucleo familiare. Nella nostra classe l’iniziativa ha avuto un certo successo e con una colletta libera, a cui hanno contribuito anche alcuni professori, siamo riusciti a raccogliere 132 euro, sufficienti a regalare un asino ed una gallina. Se qualcun altro fosse interessato a partecipare all’iniziativa del CIAI e volesse saperne di più, vi possiamo dare tutte le informazioni necessarie; venite a chiedere in 4a C.