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Furore guerriero

Dal mio diario di un altro anno scolastico.

Tanta filosofia, tanta storia e… son diventati maestri di origami.
Son lì,compreso e compunto. Parlo di Ben Gurion.
Gran movimento di fogli e foglietti. «Quanti appunti, perbacco!» Mi vien da pensare.
Poi mi alzo. Giro tra i banchi. Nascosto dagli astucci, un vero sistema di artiglieria pesante, missili e contraerea.
Grande talento, grande furore guerriero dei miei alunni.
A questo, dunque, servono i quaderni?
A la guerre comme à la guerre. Interrogherò Baietti.

Forse che senza filosofia gli uomini non avrebbero la morale?

«Forse che senza filosofia gli uomini non avrebbero la morale? Sarebbe attribuirle troppo». Lo dice una giovane acuta. Ha ragione.
La morale è nata prima della filosofia. Esiste ovunque ci siano esseri umani.
Però… basta scoprire l’esistenza di morali diverse per porsi una domanda più alta. E questa è già filosofia.
Le risposte, poi, divergono.

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Relativisti

A ritroso. É evidente, ma qualche volta la scuola fa male. Non serve a niente, eppure mi vien da dirlo in francese: à rebours. E mi immagino à la recherche du temps perdu.
Tanta complicazione per dire che il seguito della storia l’ho già pubblicato: https://www.istitutocalvino.edu.it/blog/2010/02/la-coscienza/

«Sono intelligenti. Ah, quanto sono intelligenti!» proclama la professoressa Pvati. Non lo dice di tutte le classi. Qui riconosce i frutti migliori del suo lavoro, qui scopre i germi di nuove strepitose conquiste. Una terza superlativa.
Eppure qualche dubbio mi viene quando mi toccano alla quinta ora arruffati e confusi.
Amato scaracolla sulla sua sedia selvaggia: prima o poi riuscirà a domarla.
Crimi commenta disinvolto ogni mia parola: simpatico effetto eco, perbacco. Ma potessi spegnerlo…
Saracca si infila le penne nel naso e nelle orecchie. Gli cadono, le raccoglie, le infila, gli cadono, le raccoglie… ossessivo compulsivo.
Però in questa baraonda fanno anche osservazioni intelligenti.
«Ognuno ha una sua morale, diversa da quella degli altri» annuncia Bonetti fiero.
Ridacchiano gli altri, come se avesse scoperto l’acqua calda. Tutti individualisti e relativisti, in fondo.
L’ora è quasi finita. Faccio una domanda io: «A che cosa serve la morale, che funzione ha?»
«Serve a regolare i rapporti tra gli uomini» risponde Crimi.
«Siete d’accordo?» chiedo agli altri.
Non trovano di meglio.
«E come può essere un affare soltanto individuale ciò che serve a regolare i rapporti con gli altri?»
Suona la campanella. Ne parleremo la settimana prossima.

La coscienza

Dal mio diario

Rieccomi in terza.
«E come può essere un affare soltanto individuale ciò che serve a regolare i rapporti con gli altri?» ci chiedevamo la settimana scorsa.
«Prof, ognuno deve rispondere alla propria coscienza. Questo è l’importante. Se sei a posto con la tua coscienza, va tutto bene» insiste Crimi.
«Giusto, Crimi, bisogna seguire la coscienza, ma la coscienza ha sempre ragione?»

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E la chiamano libertà…

Leggiamo in classe una pagina di John Locke, uno dei grandi padri della tradizione liberale.
1689, Locke considera i casi in cui chi detiene il potere ne abusa e pone le premesse per una dissoluzione del governo legittimo.

Agisce pure contro il suo mandato quando adopera la forza, i mezzi e gli uffici della società per corrompere i rappresentanti e guadagnarli ai suoi disegni; o quando apertamente impegna in anticipo gli elettori prescrivendo alla loro scelta persone che, con sollecitazioni, minacce, promesse o altro, ha associato ai suoi piani; e se ne serve per far eleggere uomini che già in precedenza hanno promesso di votare e deliberare in certe maniere.
Dettar legge in tal modo a candidati ed elettori e modificare la prassi elettorale che altro è se non stroncare il governo alle radici e appestare la fonte stessa della sicurezza comune?

Morale, morali?

Fondare la morale?
I miei alunni non nascondono i dubbi. Il relativismo estremo sembra essere l’ovvietà dei giorni nostri.
Ma forse una risposta è possibile. Ci provo.
Non pretendo di essere originale: salgo sulle spalle di Aristotele. Nella Politica, dice che l’uomo è il più comunitario di tutti gli animali perché parla:

É chiaro quindi per quale ragione l’uomo è un essere comunitario molto più di ogni ape e di ogni altro animale che viva in gruppo. Infatti, come sosteniamo, la natura non fa niente a caso. Tra gli animali solo l’uomo possiede la parola. La voce serve ad indicare la gioia e il dolore e, per questo motivo, la possiedono anche gli altri animali (…); il discorso invece serve ad esprimere l’utile e il nocivo, e quindi il giusto e l’ingiusto. Ecco l’elemento che differenzia l’uomo dagli altri animali: l’avere, egli solo, la percezione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e degli altri valori. L’avere in comune questi valori crea la famiglia e la polis.

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Una terza speciale

Caotici ed effervescenti, arrivano a discutere tutti insieme ad alta voce. Fanno domande su domande e, prima che l’insegnante abbia finito di rispondere, ne fanno altre. Poi, per lo più, non son soddisfatti delle risposte. Insomma, anche se al prof costa fatica, potrebbe sembrare la classe ideale. Eppure, qualche volta, soprattutto alla quinta ora, son proprio irrequieti come se avessero la scabbia e distratti come se si sentissero già altrove.
Oggi, poi, c’è un’insolita effervescenza, un furtivo passare di mano in mano.
Che sarà mai?
Mi alzo di scatto: due mani si scambiano caramelle, manciate di caramelle.
Si bloccano un istante, sorridono: «Per far la vita meno amara, prof».
Quasi ne chiedo una anch’io.

Privatisti

Privatisti: arrivano, qualche volta, dagli istituti con presa d’atto del ministero specializzati in due cose: recupero anni e raccolta quattrini. La prima riesce poco; la seconda, mi dicono, va meglio.
Alcuni si illudono di poter comprare il successo scolastico.
Altri raccontano di quanto sia più seria la scuola privata: «I professori lavorano, non fanno come i fannulloni della pubblica: ci sono corsi anche il pomeriggio».
«Guarda che paghiamo, non vorrai farci buttare i soldi?» dice qualcun altro al figlio lazzarone.
Eppure, a volte funziona. Succede quando lo studente ci tiene davvero. É il caso di Elvio. Alla seconda bocciatura, mamma e papà gli avevano trovato un posto di lavoro. «Ma a settembre torno a scuola: recupero anni» aveva detto lui.
«Non vogliamo buttare i soldi»
«Ci metto tutti i miei risparmi e gli stipendi dell’estate. Se non bastano, pagherò la differenza quando ricomincerò a lavorare».
Elvio il diploma l’ha pagato, eppure se l’è anche meritato.
Ma come lui… ho conosciuto soltanto lui.

Cavicchio

Cavicchio è uno studente gracile e stortignaccolo. É vorace come un piranha, ma pare un cartoccetto d’ossa scomposte. Ballonzola incerto tra classe e corridoio. Come starà in equilibrio?
Non è così solo nel corpo. Anche le idee s’avviticchiano contorte o si urtano e s’ammaccano, tra i geroglifici del foglio.
Lo interroghi ed è subito perso. Ti tocca il ruolo di Arianna, ma il filo non basta e s’aggroviglia.
Quale mitologica guida dovrai diventare per trarlo in salvo?

La filosofia non serve a nulla

Dal mio diario di qualche anno fa.

«La filosofia non serve a nulla!» proclama serio il placido Polenta.
Chiedo ai suoi compagni di esprimersi. Le risposte più acute sono: «Serve a ad allenare la mente», «Serve a conoscere il pensiero degli uomini del passato».
Li scavalco: «Anche secondo me, la filosofia non serve a nulla: non ci fai meglio il formaggio, non ripari le biciclette, non costruisci i ponti.»
Mi guardano perplessi: «Ma, allora, perché la insegna?»
«Devo pur mangiare. Non vedete come sono grosso?»
Poi, perfido, chiedo: «Perché devo avere pazienza per le ultime interrogazioni, se a me vien tanto più comodo farle subito?»
«Ma non pensa a noi?»
«E perché dovrei pensarci?»
«Ma prof, non è giusto pensare soltanto a se stessi».
«E come si fa a sapere che cosa è giusto e che cosa non lo è? E perché poi poi dovrei fare quel che è giusto invece di quel che mi comoda?»
Attimo di smarrimento.
«Bene, a queste ed altre simili domande cerca di rispondere la filosofia. Forse non servono a niente, però son tanto importanti».