Archivi categoria: Vita da prof.

Inventar storie

Cari amici del Calvino, avevo quasi pensato di tornare a Rozzano, ma poi ho deciso di restare, almeno per un altr’anno, tra i monti della Val Parma.
Quest’anno sono in un plesso di scuola elementare (lo scorso anno erano due) e devo insegnare italiano, storia e geografia alla pluriclasse di quarta e quinta. Per musica ed arte e immagine aggiungo anche la terza.
Sono un po’ preoccupato: i ragazzini di quinta fanno una quantità esagerata di errori ortografici, non sanno costruire un testo in modo autonomo e, spesso, non capiscono quello che leggono. Sarà dura!
Per metterli in movimento ho ripreso in mano la Grammatica della fantasia di Gianni Rodari ed ho proposto di inventare storie tutti insieme. Ci vuole tanto tempo. Qualcuno si lamenta ma i più si divertono ed i risultati mi sembrano abbastanza buoni.
Per ora, una storia mi sembra riuscita meglio delle altre: Che cosa succederebbe se Tizzano Val Parma finisse nella preistoria?.
Perché non date un’occhiata?

prove INVALSI

Riporto quanto ho trovato “girovagando”.

SCUOLA/ 1. Le prove Invalsi? Non è un test di 4 ore a rovinare il lavoro di ogni giorno
Elena Ugolini (INVALSI)
mercoledì 11 maggio 2011

Nel corso di questa settimana circa 2.250.000 studenti sono impegnati a svolgere le prove di italiano e matematica Invalsi. Sono gli alunni che frequentano la II e V primaria, la I secondaria di primo grado e la II superiore. Penso sia giusto usare il termine “prove” per indicare ciò che è contenuto nei fascicoli su cui sono chiamati a lavorare i nostri figli: si tratta di esercizi, problemi, domande sul testo costruite a partire da quadri di riferimento concettuali ben precisi. Non sostituiscono quelle che i docenti costruiscono ogni giorno per verificare ciò che i propri studenti hanno imparato, la loro capacità di argomentare, giudicare, esprimersi, trovare strade nuove per risolvere problemi. Le prove Invalsi non potranno mai prendere il posto di questo lavoro quotidiano che gli insegnanti svolgono e che gli studenti sono chiamati a fare. Hanno una funzione limitata, ben precisa, non esaustiva. Perché allora farle? Sono prove che hanno lo scopo di offrire alcuni elementi confrontabili su tutto il territorio nazionale per più di 550.000 studenti per ciascuno dei livelli coinvolti. Sarebbe possibile avere elementi comparabili sulla padronanza della nostra lingua facendo svolgere la “stessa” interrogazione orale a “tutti” i ragazzi, “contemporaneamente”? Possiamo ammettere, almeno come ipotesi di lavoro, che avere questi dati relativamente a tutto il territorio nazionale possa avere una qualche utilità?Un ragazzo di seconda superiore che con il proprio docente di italiano ha avuto la fortuna di leggere e studiare Shakespeare – lo dicevamo ieri in una trasmissione radiofonica con Paola Mastrocola – non avrà sicuramente avuto alcun problema a svolgere la prova Invalsi. Non sono necessari addestramenti particolari. Occorre “semplicemente” abituare i ragazzi al rigore, all’attenzione ad ogni singola parola, a non trarre conclusioni senza chiedersi il perché. È quello che chiede di fare ogni giorno chi insegna, chi aiuta a capire, a conoscere in profondità, a non rimanere in superficie. Niente a che vedere con quei libretti pieni di esercizi banali e ripetitivi usciti in concomitanza delle prove Invalsi, redatti, magari, dagli stessi autori di sussidiari e libri di testo usati regolarmente dentro le scuole.È opportuno dare il giusto valore a queste prove, che non sono né la risoluzione né la causa di tutti i problemi. Per farle svolgere gli insegnanti hanno dovuto rinunciare a circa 4 ore di scuola sulle 1000 previste nell’arco di un intero anno scolastico.

Quattro ore a fronte di 18 mesi di lavoro svolto da docenti ed esperti per mettere a punto i fascicoli, del tempo che i ricercatori dell’Invalsi impiegheranno per scrivere un rapporto dettagliato sui risultati di un campione rappresentativo di scuole controllato da osservatori esterni. I dati restituiti invece alle singole scuole che non hanno avuto la supervisione esterna, nel caso in cui non sia stata fatta bene la somministrazione, saranno carta straccia, a danno esclusivo di chi male le ha svolte. La buona notizia di ieri è che solo in 3 scuole delle 2.300 individuate per il campione della seconda superiore, ci sono state difficoltà. Lo scorso anno tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado avevano partecipato di buon grado alla rilevazione, senza caricarla di significati che non ha e che non potrà mai avere. È fin troppo evidente che misurare i risultati dei nostri studenti solo con test esterni standardizzati sarebbe un crimine, perché significherebbe depauperare una tradizione culturale, educativa e didattica che non ha niente a che fare con l’addestramento: non bisogna confondere il significato di questa operazione con i suoi sottoprodotti.
Ma tra questo estremo e la rinuncia a qualunque forma di comparazione esterna dei livelli di apprendimento degli studenti c’è la strada del sano realismo. Prima delle rilevazioni Invalsi un quadro contraddittorio della scuola italiana veniva offerto da una parte dagli esiti delle grandi indagini internazionali, che denunciavano l’esistenza di un profondo divario tra nord e sud e di una iniqua varianza di risultati tra scuole; e dall’altra dai risultati di un esame di Stato alla fine del secondo ciclo in cui il Paese compariva come un grande insieme indistinto, senza alcuna significativa differenza tra scuole. In realtà, chi sa che cosa c’è “dietro” un 80, un 90, un 100 come esito finale? Se la tradizione dell’esame di maturità, con la presenza del colloquio orale alla presenza di una commissione esterna, è a mio parere insostituibile; se non può esservi dubbio sull’esistenza di Indicazioni nazionali che mettono in evidenza il valore in sé della conoscenza come risposta ad una domanda di senso, tuttavia poter disporre di dati esterni comparabili sugli apprendimenti è di cruciale importanza. A meno di accettare la situazione attuale, in cui le università preferiscono proporre loro stesse prove selettive in ingresso, non potendo dare alcun valore al punteggio conseguito nell’esame di Stato. Pensiamoci.

… e noi del Calvino cosa ne pensiamo?

La professoressa Pendoli

Dal mio diario.

Ieri.
Sbuffa come una locomotiva la prof Pendoli. Catene montuose lungo la fronte, occhio allucinato. Può un computer dare tanto stress?
Le offro un po’ d’aiuto.
Mi abbrustolisce con lo sguardo: «Sei il solito maschio. Pensi che le donne non sappiano cavarsela da sole?»

Oggi
Sibila come una pentola a pressione la prof Pendoli. Smorfia pen(s)osa, occhio sbarrato.
Programma ribelle? Non sono affari miei. Gusto placido il mio libro.
L’invettiva mi tramortisce: «Sei il solito maschio. Lasci tutta la fatica alle donne».

Sono il solito maschio? In fondo, mi sta bene. Non vorrei essere un maschio diverso.

Quando si vuole

Gli strumenti sono importanti.
Quando si vuole, però, si riesce a far molto anche con poco.

È piccola la scuola di Lagrimone. Lo spazio in cui faccio lezione altrove sarebbe un ripostiglio.
Abbiamo un solo computer malandato e la stampante non funziona.

Eppure un blog lo abbiamo creato: http://unascuolasuimonti.wordpress.com/

Cambio d’identità

Dal mio diario

Supplenza in prima. Bussano.
«Avanti».
Si affaccia la signorina Mori, sorridente e luminosa.
Strano silenzio in classe.
«Dimmi, che vuoi?»
«Mi hanno mandato a cercare Brognaro. Chi è?»
«Io, io, io» quattro o cinque maschietti si fanno avanti.
«Cara Mori – le dico – hai uno straordinario potere: provochi persino dei cambi d’identità».
Sorride sobria la fanciulla. Le indico il vero Brognaro.
Se ne va con lei il ragazzo, invidiato dai compagni. Godrà per poco: lo attende una prof dal fiero cipiglio…

Le cose semplici

Le cose importanti son quasi sempre semplici. Posson capire anche i bambini.
Così i miei nuovi piccoli alunni di quinta elementare hanno capito quanto sia importante la divisione dei poteri, hanno ragionato sul rapporto tra libertà e partecipazione hanno letto Aristotele.
Hanno espresso il loro pensiero con poche piane parole, da elementari. Ma sono contento e spero che non se ne dimentichino.

Mi piacerebbe tanto se anche gli studenti del mio liceo tornassero ad esprimersi nel blog su queste cose semplici ed importanti

La vespa in classe

Inizia la scuola anche qui: Tizzano Val Parma.
Sono in classe con un gruppo di bambini di quinta elementare. Discutiamo di che cosa siano mai la storia e la geografia e ci perdiamo in mille rivoli di saperi ed ignoranze disperse.
Parliamo anche della Costituzione: articolo 1!
Quasi due ore di conversazione impegnativa: sono stupito dalla resistenza.

Un ronzio: c’è una vespa nell’aula.
«Non ci voleva», penso. So come va in una quinta liceo quando entra una vespa. Che faranno mai in una quinta elementare?
Si agitano, infatti, e segnalano la presenza estranea.
«Non disturbatela e non vi farà nulla», dico poco fiducioso.
Eppure funziona. I bimbi si ricompongono tranquilli, la lezione continua.

Perché non è così anche al liceo?

Prof in prestito

Prof in prestito

Cari amici del Calvino, un anno scolastico sta per iniziare. Non lo passerò tra voi.
Ho chiesto l’assegnazione provvisoria in provincia di Parma e l’ho ottenuta. Non sarò, però, in un liceo: non c’erano posti. Per un anno, farò il maestro in una scuola di montagna, forse in una pluriclasse, con bambini di diverse età.

Mi trovavo male al Calvino?
No certo: un ambiente di lavoro splendido con persone meravigliose. Ci stavo come un topo nel formaggio.

Mi chiedete perché allora non sono rimasto?
“Motivi filosofici”, potrei rispondere. Potrei citare l’esempio di Wittgenstein. “I saperi essenziali avvicinano alla verità”, potrei aggiungere.

Ma non è così. Non ho motivi davvero razionali: solo istinto e molti dubbi (per un filosofo, sono il pane quotidiano).
Il tempo dirà se l’istinto aveva ragione: il ritorno resta possibile.

Intanto, se nessun collega desidera farlo, continuerò ad occuparmi del sito della scuola. Da lontano sarà un po’ più difficile ed avrò bisogno di maggior collaborazione. So che la troverò.

Un abbraccio a tutti

Angelo Paganini