Tra il 1894 e il 1908 quattro forti scosse di terremoto devastarono la Calabria e l’Aspromonte. Quella del 1908 è sicuramente uno degli eventi naturali più catastrofici, che hanno colpito l’Europa nel secolo scorso. Si trattò di una scossa di di magnitudo 7,2 che in 37 secondi devastò soprattutto le province di Messina e Reggio Calabria. Il sisma si verificò intorno alle 5:20 di mattina e si stimarono più di 90.000 vittime. La relazione del Senato del Regno (1909) affermava:«Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro,[…] né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere». La generosità e l’appoggio del popolo italiano non tardarono a manifestarsi e prontamente iniziò la ricostruzione e la distribuzione dei sussidi raccolti, ma, come forse il lettore si aspetta, non mancarono i problemi. Dopo appena due mesi si riscontrarono gravi irregolarità nella gestione del dopo-terremoto. Il governo nominò una Commissione di inchiesta, che redasse una dettagliata relazione, dalla quale emersero gli abusi delle autorità centrali e locali. Come si legge nella relazione, il denaro fornito dal governo fu utilizzato per coprire «spese che avrebbero dovuto far carico ai comuni». Furono costruiti alloggi provvisori e, anche nella gestione di questo provvedimento, i comitati dimostrarono un atteggiamento corrotto. La commissione non si limitò a criticare i funzionari, ma anche la popolazione stessa, che considerò spesso il terremoto una fonte di lucro, tanto da attribuirgli il nomignolo “u binidittu”, il benedetto. La speculazione infine non risparmiò nemmeno la ricostruzione delle case. La Commissione sottolineò anche le responsabilità del governo in merito alla gestione dei fondi, che non vennero distribuiti con la rapidità necessaria e, spesso, in modo iniquo, a causa di negligenze o mancanza di organizzazione.
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Italiani brava gente?
Quando si parla di colonialismo, le prime potenze europee che vengono in mente sono il Regno Unito e la Francia. Tuttavia anche l’Italia ebbe la sua immagine di potenza coloniale, anche se con tratti molto negativi. Nei paragrafi successivi voglio mettere in chiaro l’episodio più famoso del colonialismo italiano: la conquista della Libia, con le sue drammatiche conseguenze.
Il 3 ottobre 1911 l’Italia nel pieno dell’età giolittiana aveva avviato le operazioni militari per la conquista della Libia; appena il giorno dopo gli assaltatori potevano dichiararsi vincitori, in quanto l’occupazione di Tripoli avvenne senza problemi. La popolazione locale non si sollevò, e questo diede l’illusione agli italiani di poter assumere un atteggiamento paternalistico nei confronti dei conquistati. Tuttavia essi non tennero conto della propria ignoranza riguardo la mentalità delle popolazioni libiche e le loro tradizioni culturali.
Continua la lettura di Italiani brava gente?L’importante non è vincere ma partecipare
I giochi olimpici furono banditi durante il regno di Teodosio, poichè i cristiani ritenevano che queste attività mettessero in evidenza il corpo e non lo spirito e che quindi fossero in linea con le idee pagane. L’iniziativa per la rinascita di questa tradizione sportiva fu portata avanti dall’aristocratico francese Pierre De Coubertin, che cercava una spiegazione per la sconfitta francese nella guerra contro la Prussia. L’intenzione di De Coubertin era quella di preparare al meglio, dal punto di vista fisico, i giovani francesi; questo però non fu l’unico obiettivo da lui perseguito: la sua intenzione era anche quella di avvicinare le nazioni e permettere ai giovani di confrontarsi tra di loro. Per questo motivo presentò le sue idee in un congresso internazionale alla Sorbona, proponendo come città ospitante dei primi giochi moderni del 1896 Parigi. Il congresso accolse con entusiasmo le sue idee, ma optò per Atene come città ospitante, in quanto città simbolo per i giochi olimpici, nati proprio nell’antica Grecia.
Da allora lo sport, e di conseguenza le olimpiadi, andarono incontro ad un continuo progresso: basti pensare che nel 1896, il record mondiale nei cento metri piani lo stabilì l’americano Burke, con il fantastico tempo di 12 secondi, ben lontano dal record olimpico attuale di 9’ 63 realizzato da Usain Bolt nel 2012. L’evoluzione della società ha portato a trasformare i giochi olimpici in uno spettacolo di livello mondiale, dove la competizione fra gli atleti è andata sempre più in crescendo, tanto che la vittoria è diventata ormai un un’ossessione. Oggi i mass media, infatti, non fanno altro che aumentare la pressione e le aspettative sugli atleti partecipanti, i quali non riuscendo a sopportare un peso così gravoso di responsabilità cercano di migliorare le loro prestazioni con sostanze non autorizzate (vedi il caso Schwazer scoppiato proprio questa estate). Tutto ciò si distacca dal fine che De Coubertin aveva provato a dare quando lottò per la rinascita dei giochi olimpici: è necessario quindi riportare lo sport nel suo complesso ad antichi valori ed ideali, quali lo spirito di squadra, il fair play e l’amore per la sana competizione, che da tempo non sono più presenti in molti dei nostri atleti.
Un mondo troppo grande
Nei nostri giorni grazie all’avvento di nuove tecnologie siamo in grado di comunicare quasi istantaneamente da una parte all’altra del mondo, ma fino a due secoli fa questo non era neppure concepibile. Il mondo agli occhi dell’uomo pareva molto più grande poiché vie di comunicazione e mezzi di trasporto arretrati rendevano tutti i viaggi più lunghi e difficoltosi; inoltre non aiutavano di certo un’economia di tipo commerciale, che si sviluppava soprattutto nelle città portuali, mentre l’entroterra era relegato ad un’economia di sussistenza.
Controllare grandi nazioni per esempio era un’impresa piuttosto difficile poiché tutte le comunicazioni con il governo centrale avvenivano tramite dei messaggeri che non avevano modo di percorrere più di un centinaio di chilometri al giorno. Oggi i sistemi di comunicazione sono così efficienti da rendere possibili persino organizzazioni sovranazionali che monitorano o regolano rapporti trai vari stati del mondo.
Anche i contatti con paesi lontani era molto difficoltosi e sporadici e questo spiega anche come alcune invenzioni importanti, come la polvere da sparo, siano arrivate in Europa con molti anni di ritardo rispetto all’Oriente. Con la recente globalizzazione si stanno sempre di più assottigliando le differenze e le distanze dei popoli, basti pensare alla maniera di vivere “all’ occidentale”: si sta diffondendo come modello anche nei paesi asiatici che fino a pochi secoli fa erano molto legati alla loro cultura tradizionale.
Condizioni delle carceri e degli ospedali nell’Europa d’antico regime
Durante il periodo che dal medioevo durò fino al XVIII secolo, le carceri e gli ospedali versavano in condizioni a dir poco pietose. Per prima cosa è necessario specificare che all’epoca il carcere non era considerato una pena duratura come ai giorni nostri, ma era piuttosto un luogo di passaggio in attesa della vera e propria pena. Inoltre il carcere era uno strumento di punizione per coloro che non riuscivano a pagare i propri debiti, per i vagabondi, per gli oziosi e per coloro che venivano fatti scomparire per volere del sovrano: questo era il motivo principale per cui, nella maggior parte dei casi, le prigioni non dipendevano da un’organizzazione statale o da funzionari pubblici, ma la loro sorte era affidata ad appaltatori privati. Essi traevano il proprio guadagno dagli stessi detenuti o, nel caso dei debitori, dai loro parenti. Un ulteriore guadagno proveniva dal creditore, il quale aveva l’obbligo di versare una retta per mantenere il detenuto. Possiamo facilmente dedurre come il mestiere del gestore di carceri fosse alquanto redditizio.
Prendendo come esempio Parigi nel periodo settecentesco, si possono distinguere tre tipologie di carcerati, a seconda della loro pericolosità e dei soldi che potevano elargire.
La prima categoria, che comprendeva i soggetti più pericolosi, era rinchiusa in celle sotterranee prive di luce e di aerazione diretta, in ciascuna delle quali erano accatastati moltissimi detenuti in spazi ristrettissimi; di solito inoltre questi detenuti venivano incatenati alle pareti.
Il secondo gruppo, formato da detenuti poco più fortunati, era custodito in grandi locali comuni simili a camerate, in cui “soggiornavano” circa duecento carcerati sopra giacigli di paglia.
Continua la lettura di Condizioni delle carceri e degli ospedali nell’Europa d’antico regimeIl criminale si riconosce dalla faccia
Cesare Lombroso nacque a Verona nel 1835. Oltre ad essere stato medico e antropologo, viene considerato il padre della criminologia. In particolare i suoi studi abbracciano la teoria fisiognomica secondo cui i caratteri psicologici e morali di un individuo, possono essere dedotti dall’aspetto fisico ed in particolar modo dalle diverse espressioni del volto. Sebbene tale disciplina possa sembrare assurda al giorno d’oggi, nell’Ottocento godette di una così grande considerazione da essere addirittura materia universitaria.
Lombroso individua due tipi di delinquenti:
- Delinquente nato nel quale il comportamento criminale è insito per natura
- Delinquente d’occasione in cui sono fattori esterni a determinare l’atto criminale
I primi dunque, non agiscono in maniera cosciente ma poiché spinti da tendenze malvagie; tutto ciò si riflette sulla fisicità dell’individuo e sulla sua psiche che risultano essere diverse da quelle dell’uomo considerato normale.
Lombroso passò molti anni della sua vita a misurare i crani, la lunghezza dei piedi e le facce dei criminali. Le anomalie fisiche, che potevano essere ritenute delle costanti in tali individui, divennero dei veri e propri indici utili per smascherare i delinquenti. Così si riteneva che in genere i ladri avessero un’ottima manualità, gli occhi piccoli o le sopracciglia folte; oppure che tipico degli omicidi abituali fossero lo sguardo freddo e sanguigno, il naso aquilino e le orecchie lunghe.
Queste descrizioni trovano una corrispondenza in alcuni disegni e in alcune fotografie raccolte nel testo Atlante dell’uomo delinquente.
Tale idea secondo cui la criminalità è fortemente connessa a particolari tratti somatici è peraltro molto antica; ve ne sono prove già nell’Iliade di Omero in cui la devianza dell’anti-eroe Tersite è collegata alla sua bruttezza fisica e persino le leggi medievali sostenevano che nel caso in cui due persone fossero state sospettate di un reato, la colpa sarebbe dovuta ricadere sulla più deforme.
Se inizialmente con Lombroso si assisteva ad un una vera e propria concezione di determinismo assoluto, in cui l’uomo che agisce è privo di ogni libertà, anche a causa delle critiche ricevute, egli andò via via correggendo la sua teoria arretrando rispetto alla concezione di partenza.
Finì per sostenere che i delinquenti nati fossero solo una piccolissima parte di coloro che infrangevano le regole e che ogni atto criminale fosse determinato da diverse cause.
Inevitabilmente anche il concetto di “pena” cambiò in quest’ottica; se il crimine più che frutto di una libera scelta è la manifestazione di una tendenza insita nell’uomo, di una sorta di “malattia”, allora anche la pena deve diventare uno strumento di tutela della società e non solo una punizione (non ha senso infatti punire chi non è libero di scegliere).
Dopo la morte del padre della criminologia, anche le sue teorie finirono per essere accantonate grazie all’intervento della psichiatria che ben presto si occupò di smascherare l’infondatezza scientifica di tali concezioni perché erano fonte di enormi pregiudizi che, ahimè, ci accompagnano tutt’ora. A quanti di noi è infatti capitato di dire: “ma guarda quel ragazzo: ha proprio una faccia da…!”? Be’, probabilmente a tutti.
Serena Bendetto, Arianna Mandelli.
La donna angelo spicca il volo
Siamo nell’Ottocento, nel regno della regina Vittoria. Le parole d’ordine sono: austerità e rigore. È un periodo di regole ferree e precise; uomini e donne hanno ruoli ben definiti e distinti. Secondo voi, chi se la passa meglio? Ovviamente gli uomini!
Vige la concezione della “donna angelo”: un’autorità nelle faccende domestiche, dal corpo puro e pulito. Per questo motivo non deve assolutamente truccarsi e scoprire la pelle; inoltre non deve nemmeno affaticarsi, quindi il suo unico compito è quello di occuparsi della casa e dei figli. Non può lavorare. È considerata proprietà del marito, a cui è sottomessa anche sessualmente.
Già nel corso di questo secolo si cominciano a vedere i primi tentativi di migliorare la condizione femminile; ad esempio, nel 1869 John Stuart Mill scrive il primo vero saggio femminista, La soggezione delle donne, in cui sostiene che la parità dei sessi migliorerà anche gli uomini, abolendo l’ultima forma legale di schiavitù.
Uno dei sostenitori delle idee di Mill è il celebre avvocato Richard Pankhurst. Sua moglie Emmeline fonda nel 1903, assieme alle mogli di alcuni politici laburisti, la WSPU, la Women Social and Political Union.
Le appartenenti a questa associazione compiono gesti plateali e anche violenti; ogni volta vengono arrestate. Ma questo fa parte di una precisa strategia: farsi arrestare viste dai giornalisti e una volta in carcere, fare lo sciopero della fame. All’inizio i direttori dei penitenziari ricorrono all’alimentazione forzata; successivamente si pone fine a questa pratica e si ricoverano le scioperanti, allungando così il periodo di carcerazione.
Le donne sono pronte a tutto pur di essere ascoltate: esempio eclatante è quello di Emily Wilding Davison che, il 5 giugno 1913, all’ippodromo di Epsom tenta di fermare un cavallo in corsa per attirare l’attenzione su di sé. Purtroppo l’animale la travolge e lei, gravemente ferita, muore tre giorni dopo. Il sacrificio della Davison riaccende il dibattito sulla concessione del diritto di voto alle donne.
Ford Model T
La Ford, casa automobilistica americana fondata nel 1903 dall’imprenditore Henry Ford, fu la prima ad utilizzare il sistema della catena di montaggio, secondo la teoria di Frederick Taylor. La prima vettura assemblata tramite questo meccanismo fu il Model T. In questo modo si ottenne una riduzione nei tempi di produzione dell’automobile: si passò dalle 12 ore per modello ai soli 90 minuti. Questo fu possibile grazie alla divisione del processo di produzione in più fasi, in ognuna delle quali vi era un certo numero di operai, che svolgevano sempre la stessa mansione. Henry Ford si ispirò al Taylorismo, applicando i 3 principi di tale pensiero nella catena di montaggio:
- Analizzare le caratteristiche della mansione da svolgere
- Creare il modello ideale di lavoratore adatto a svolgere una determinata mansione
- Selezionare il lavoratore ideale, al fine di formarlo e introdurlo nell’azienda
La velocità di produzione permise di abbattere i costi e, conseguentemente, la Ford Model T divenne l’auto più economica nel mercato automobilistico americano (240 $ contro i 1000 $ delle concorrenti). Continua la lettura di Ford Model T
L’antico regime e il divario sociale
Durante il periodo dell’antico regime, che si estende tra il Trecento e il Settecento, gran parte del consumo della popolazione era destinata al nutrimento. Eppure, per le famiglie meno agiate era difficile riuscire raggiungere il tetto minimo di 1000 calorie al giorno.
Spesso, quando il grano non bastava, per fare il pane si usavano semi di bassa qualità di molti tipi, anche allucinogeni. In periodi di carestia la gente arrivava perfino al cannibalismo.
Al contrario i ricchi, volevano sfoggiare il loro lusso ed arrivavano ad assumere circa 7000-8000 calorie al giorno; così facendo molti di loro andavano incontro a morti premature causate dall’eccessivo nutrimento.
Un’altra grande differenza che si poteva facilmente notare tra le diverse classi era l’abbigliamento: infatti mentre i ricchi sfoggiavano sontuosi vestiti lunghi, i poveri, non potendo permettersi di pagare abbastanza stoffa, erano soliti indossare vesti di media lunghezza.
Secondo noi questa società vista con occhi critici potrebbe rispecchiare la nostra in modo molto più radicale; infatti anche oggi si può notare un’ampia differenza tra il ceto sociale più agiato e quello meno agiato e, inoltre, il consumismo è ancora oggi molto diffuso, ma è cambiato il prodotto d’interesse degli acquisti: il principale oggetto di desiderio non è più il cibo ma qualcosa di materiale e permanente (come apparecchi tecnologici e vestiario). Dunque il divario sociale è un fenomeno riscontrabile in ogni epoca, con la differenza che in ognuna di esse l’oggetto che rappresenta lo status sociale cambia relativamente al contesto.
Eleonora Albanese e Noemi Giangregorio della 4aB
Che cos’è il nazionalismo?
L’origine del nazionalismo è da ricercare nel principio di nazionalità che si era diffuso nella prima metà dell’Ottocento (periodo del Romanticismo e della politica espansionistica di Napoleone). Questo principio si è evoluto in relazione alla nascita della società di massa., tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Il crescente bisogno di affermazione e superiorità estremizzò il principio di nazionalità.
Il nazionalismo diventò sempre più funzionale alla crescente rivalità tra le nazioni; inoltre non fu più un’espressione della volontà dei popoli, ma esso si fondava sulla convinzione dell’esistenza di una divisione naturale del genere umano. Di conseguenza, la guerra diventò la migliore arma del nazionalismo in quanto sanciva l’affermazione del più forte sul più debole determinando una sorta di “selezione naturale” tra le nazioni.
Proprio per le conseguenze che ebbe, acquisì un’accezione negativa: infatti il termine nazionalista designa colui che ama la propria patria ma odia quella altrui.
Alcuni dei contesti in cui il nazionalismo ha avuto conseguenze rilevanti su larga scala sono quello panslavista russo e quello tedesco. Continua la lettura di Che cos’è il nazionalismo?