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Un terremoto benedetto?

Tra il 1894 e il 1908 quattro forti scosse di terremoto devastarono la Calabria e l’Aspromonte. Quella del 1908 è sicuramente uno degli eventi naturali più catastrofici, che hanno colpito l’Europa nel secolo scorso. Si trattò di una scossa di di magnitudo 7,2 che in 37 secondi devastò soprattutto le province di Messina e Reggio Calabria. Il sisma si verificò intorno alle 5:20 di mattina e si stimarono più di 90.000 vittime. La relazione del Senato del Regno (1909) affermava:«Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro,[…] né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere». Danni causati dal terremoto del 1908La generosità e l’appoggio del popolo italiano non tardarono a manifestarsi e prontamente iniziò la ricostruzione e la distribuzione dei sussidi raccolti, ma, come forse il lettore si aspetta, non mancarono i problemi. Dopo appena due mesi si riscontrarono gravi irregolarità nella gestione del dopo-terremoto. Il governo nominò una Commissione di inchiesta, che redasse una dettagliata relazione, dalla quale emersero gli abusi delle autorità centrali e locali. Come si legge nella relazione, il denaro fornito dal governo fu utilizzato per coprire «spese che avrebbero dovuto far carico ai comuni». Furono costruiti alloggi provvisori e, anche nella gestione di questo provvedimento, i comitati dimostrarono un atteggiamento corrotto. La commissione non si limitò a criticare i funzionari, ma anche la popolazione stessa, che considerò spesso il terremoto una fonte di lucro, tanto da attribuirgli il nomignolo “u binidittu”, il benedetto. La speculazione infine non risparmiò nemmeno la ricostruzione delle case. La Commissione sottolineò anche le responsabilità del governo in merito alla gestione dei fondi, che non vennero distribuiti con la rapidità necessaria e, spesso, in modo iniquo, a causa di negligenze o mancanza di organizzazione.

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L’importante non è vincere ma partecipare

Pierre De Coubertin
Pierre De Coubertin

I giochi olimpici furono banditi durante il regno di Teodosio, poichè i cristiani ritenevano che queste attività mettessero in evidenza il corpo e non lo spirito e che quindi fossero in linea con le idee pagane. L’iniziativa per la rinascita di questa tradizione sportiva fu  portata avanti dall’aristocratico francese Pierre De Coubertin, che cercava una spiegazione per la sconfitta francese nella guerra contro la Prussia. L’intenzione di De Coubertin era quella di preparare al meglio, dal punto di vista fisico, i giovani francesi; questo però non fu l’unico obiettivo da lui perseguito: la sua intenzione era anche quella di avvicinare le nazioni e permettere ai giovani di confrontarsi tra di loro. Per questo motivo presentò le sue idee in un congresso internazionale alla Sorbona, proponendo come città ospitante dei primi giochi moderni del 1896 Parigi. Il congresso accolse con entusiasmo le sue idee, ma optò per Atene come città ospitante, in quanto città simbolo per i giochi olimpici, nati proprio nell’antica Grecia.

Stadio Olimpico Olimpiadi 1896

Da allora lo sport, e di conseguenza le olimpiadi, andarono incontro ad un continuo progresso: basti pensare che nel 1896, il record mondiale nei cento metri piani lo stabilì l’americano Burke, con il fantastico tempo di 12 secondi, ben lontano dal record olimpico attuale di 9’ 63 realizzato da Usain Bolt nel 2012. L’evoluzione della società ha portato a trasformare i giochi olimpici in uno spettacolo di livello mondiale, dove la competizione fra gli atleti è andata sempre più in crescendo, tanto che la vittoria è diventata ormai un un’ossessione. Oggi i mass media, infatti, non fanno altro che aumentare la pressione e le aspettative sugli atleti partecipanti, i quali non riuscendo a sopportare un peso così gravoso di responsabilità cercano di migliorare le loro prestazioni con sostanze non autorizzate (vedi il caso Schwazer scoppiato proprio questa estate). Tutto ciò si distacca dal fine che De Coubertin aveva provato a dare quando lottò per la rinascita dei giochi olimpici: è necessario quindi riportare lo sport nel suo complesso ad antichi valori ed ideali, quali lo spirito di squadra, il fair play e l’amore per la sana competizione, che da tempo non sono più presenti in molti dei nostri atleti.

Un mondo troppo grande

Nei nostri giorni grazie all’avvento di nuove tecnologie siamo in grado di comunicare quasi istantaneamente da una parte all’altra del mondo, ma fino a due secoli fa questo non era neppure concepibile. Il mondo agli occhi dell’uomo pareva molto più grande poiché vie di comunicazione e mezzi di trasporto arretrati rendevano tutti i viaggi più lunghi e difficoltosi; inoltre non aiutavano di certo un’economia di tipo commerciale, che si sviluppava soprattutto nelle città portuali, mentre l’entroterra era relegato ad un’economia di sussistenza.

Controllare grandi nazioni per esempio era un’impresa piuttosto difficile poiché tutte le comunicazioni con il governo centrale avvenivano tramite dei messaggeri che non avevano modo di percorrere più di un centinaio di chilometri al giorno. Oggi i sistemi di comunicazione sono così efficienti da rendere possibili persino organizzazioni sovranazionali che monitorano o regolano rapporti trai vari stati del mondo.

Anche i contatti con paesi lontani era molto difficoltosi e sporadici e questo spiega anche come alcune invenzioni importanti, come la polvere da sparo, siano arrivate in Europa con molti anni di ritardo rispetto all’Oriente. Con la recente globalizzazione si stanno sempre di più assottigliando le differenze e le distanze dei popoli, basti pensare alla maniera di vivere “all’ occidentale”: si sta diffondendo come modello anche nei paesi asiatici che fino a pochi secoli fa erano molto legati alla loro cultura tradizionale.

caravelle

Condizioni delle carceri e degli ospedali nell’Europa d’antico regime

stilografia di un ospedale seicentesco

Durante il periodo che dal medioevo durò fino al XVIII secolo, le carceri e gli ospedali versavano in condizioni a dir poco pietose. Per prima cosa è necessario specificare che all’epoca il carcere non era considerato una pena duratura come ai giorni nostri, ma era piuttosto un luogo di passaggio in attesa della vera e propria pena. Inoltre il carcere era uno strumento di punizione per coloro che non riuscivano a pagare i propri debiti, per i vagabondi, per gli oziosi e per coloro che venivano fatti scomparire per volere del sovrano: questo era il motivo principale per cui, nella maggior parte dei casi, le prigioni non dipendevano da un’organizzazione statale o da funzionari pubblici, ma la loro sorte era affidata ad appaltatori privati. Essi traevano il proprio guadagno dagli stessi detenuti o, nel caso dei debitori, dai loro parenti. Un ulteriore guadagno proveniva dal creditore, il quale aveva l’obbligo di versare una retta per mantenere il detenuto. Possiamo facilmente dedurre come il mestiere del gestore di carceri fosse alquanto redditizio.

Prendendo come esempio Parigi nel periodo settecentesco, si possono distinguere tre tipologie di carcerati, a seconda della loro pericolosità e dei soldi che potevano elargire.

La prima categoria, che comprendeva i soggetti più pericolosi, era rinchiusa in celle sotterranee prive di luce e di aerazione diretta, in ciascuna delle quali erano accatastati moltissimi detenuti in spazi ristrettissimi; di solito inoltre questi detenuti venivano incatenati alle pareti.

Il secondo gruppo, formato da detenuti poco più fortunati, era custodito in grandi locali comuni simili a camerate, in cui “soggiornavano” circa duecento carcerati sopra giacigli di paglia.

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La donna angelo spicca il volo

Regina Vittoria
Regina Vittoria

Siamo nell’Ottocento, nel regno della regina Vittoria. Le parole d’ordine sono: austerità e rigore. È un periodo di regole ferree e precise; uomini e donne hanno ruoli ben definiti e distinti. Secondo voi, chi se la passa meglio? Ovviamente gli uomini!

Vige la concezione della “donna angelo”: un’autorità nelle faccende domestiche, dal corpo puro e pulito. Per questo motivo non deve assolutamente truccarsi e scoprire la pelle; inoltre non deve nemmeno affaticarsi, quindi il suo unico compito è quello di occuparsi della casa e dei figli. Non può lavorare. È considerata proprietà del marito, a cui è sottomessa anche sessualmente.

Già nel corso di questo secolo si cominciano a vedere i primi tentativi di migliorare la condizione femminile; ad esempio, nel 1869 John Stuart Mill scrive il primo vero saggio femminista, La soggezione delle donne, in cui sostiene che la parità dei sessi migliorerà anche gli uomini, abolendo l’ultima forma legale di schiavitù.

 

Uno dei sostenitori delle idee di Mill è il celebre avvocato Richard Pankhurst. Sua moglie Emmeline fonda nel 1903, assieme alle mogli di alcuni politici laburisti, la WSPU, la Women Social and Political Union.

Le appartenenti a questa associazione compiono gesti plateali e anche violenti; ogni volta vengono arrestate. Ma questo fa parte di una precisa strategia: farsi arrestare viste dai giornalisti e una volta in carcere, fare lo sciopero della fame. All’inizio i direttori dei penitenziari ricorrono all’alimentazione forzata; successivamente si pone fine a questa pratica e si ricoverano le scioperanti, allungando così il periodo di carcerazione.

Le donne sono pronte a tutto pur di essere ascoltate: esempio eclatante è quello di Emily Wilding Davison che, il 5 giugno 1913, all’ippodromo di Epsom tenta di fermare un cavallo in corsa per attirare l’attenzione su di sé. Purtroppo l’animale la travolge e lei, gravemente ferita, muore tre giorni dopo. Il sacrificio della Davison riaccende il dibattito sulla concessione del diritto di voto alle donne.

Emmeline Pankhurst viene arrestata dopo aver protestato vicino a Buckingham Palace a Londra il 22 maggio 1907 (o 1914, data incerta).
Emmeline Pankhurst viene arrestata dopo aver protestato vicino a Buckingham Palace a Londra il 22 maggio 1907 (o 1914, data incerta).

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Le razze non esistono

Secondo voi le razze esistono? Di primo impatto ci verrebbe da dire di sì: ci sono persone con pelle nera, gialla, bianca, rossa, o con occhi a mandorla o naso schiacciato.

Etnie del mondo

Eppure dividere gli uomini in “gruppi” per il colore della pelle o per altre caratteristiche è scorretto, anche dal punto di vista scientifico.

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L’antico regime e il divario sociale

Durante il periodo dell’antico regime, che si estende tra il Trecento e il Settecento, gran parte del consumo della popolazione era destinata al nutrimento. Eppure, per le famiglie meno agiate era difficile riuscire raggiungere il tetto minimo di 1000 calorie al giorno.
Spesso, quando il grano non bastava, per fare il pane  si usavano semi di bassa qualità di molti tipi, anche allucinogeni. In periodi di carestia la gente arrivava perfino al cannibalismo.
Al contrario i ricchi, volevano sfoggiare il loro lusso ed arrivavano ad assumere circa 7000-8000 calorie al giorno; così facendo molti di loro andavano incontro a morti premature causate dall’eccessivo nutrimento.

Scena di banchetto da una stampa cinquecentesca
Scena di banchetto da una stampa cinquecentesca

Un’altra grande differenza che si poteva facilmente notare tra le diverse classi era l’abbigliamento: infatti mentre i ricchi sfoggiavano sontuosi vestiti lunghi, i poveri, non potendo permettersi di pagare abbastanza stoffa, erano soliti indossare vesti di media lunghezza.
Secondo noi questa società vista con occhi critici potrebbe rispecchiare la nostra in modo molto più radicale; infatti anche oggi si può notare un’ampia differenza tra il ceto sociale più agiato e quello meno agiato e, inoltre, il consumismo è ancora oggi molto diffuso, ma è cambiato il prodotto d’interesse degli acquisti: il principale oggetto di desiderio non è più il cibo ma qualcosa di materiale e permanente (come apparecchi tecnologici e vestiario). Dunque il divario sociale è un fenomeno riscontrabile in ogni epoca, con la differenza che in ognuna di esse l’oggetto che rappresenta lo status sociale cambia relativamente al contesto.

Eleonora Albanese e Noemi Giangregorio della 4aB

è proprio per tutti la PROVA DI ITALIANO?

Sotto l’intestazione del Ministero, il titolo recita:
P000 – ESAMI DI STATO CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE
SECONDARIA SUPERIORE ed il sottotitolo prosegue:
PROVA DI ITALIANO
(per tutti gli indirizzi: di ordinamento e sperimentali)

Ora, mi dico: sarebbe anche una bellissima traccia quella della tipologia A. Chi non non conosce Primo Levi? Ma sento dire: “ma noi non l’abbiamo fatto, prof!”
E… “ci sta!” per dirla come si usa tra quelli (i miei amati studenti, ndr) che hanno la fortuna di avere molti meno anni di me.
E nello stesso tempo mi chiedo: ma anche se l’avessero letto e studiato, quale curriculum studiorum è davvero in grado in questo momento storico di giustificare una traccia di esame di maturità in cui si chiede di affrontare un incipit siffatto:

“Poiché dispongo di input ibridi, ho accettato volentieri e con curiosità la proposta di comporre anch’io un’«antologia personale», non nel senso borgesiano di autoantologia, ma in quello di una raccolta, retrospettiva e in buona fede, che metta in luce le eventuali tracce di quanto è stato letto su quanto è stato scritto. L’ho accettata come un esperimento incruento, come ci si sottopone a una batteria di test; perché placet experiri e per vedere l’effetto che fa.”

Quanti giovani diciotto/diciannovenni/ventenni hanno un’idea, almeno pallida, di cosa significhi “nel senso borgesiano di autoantologia”, “ci si sottopone a una batteria di test” o “placet experiri“?

E del resto, quanti rappresentanti politici eletti sono in grado di cimentarsi in simil tenzone?
Non è che per “borgesiano” capiscono “borghese” e ci infilano un H di troppo?
Ed infine, amaramente… chi se ne accorgerebbe?

Mi scuso in anticipo con quanti smentiranno questo mio commento.

A. Mealli
geodocente in via di sparizione. Tra quelli che resistono strenuamente e per sempre rimpiangeranno questa orrenda deriva.
Perché se la geografia è inutile… il latino è sparito dal comune patrimonio culturale da tempo e la lettura “era vizio innocente e tradizionale, un’abitudine gratificante, una ginnastica mentale, un modo obbligatorio e compulsivo di riempire i vuoti di tempo, e una sorta di fata morgana nella direzione della sapienza”.