LE LUCI DELLE AUTO accendono e spengono con effimeri riflessi intermittenti, l’asfalto lucido e la ringhiera della corsia filovie.
Lampioni gialli brillano come stelle giganti oltre i vetri appannati e gocciolanti del mio bus.
Lo sciaquìo delle ruote e il tamburellare della pioggia sul tetto ritmano il viaggio di volti mesti ed umidi.
Un poster della stazione di Porta Romana supplica “Delta:Lasciateci lavorare.”
PRIMA FERMATA
Il motore elettrico comincia a ronzare sul lungo 15 arancione fermo al capolinea di Rozzano. I passeggeri attendono impazienti nel brusìo, il conduttore assente. Una dolce brezza muove le foglie degli alberi nel caldo, assolato meriggio.
Eccolo finalmente salire e chiudere di schianto le tante porte. Un brusco sobbalzo, e parte il gigante, con l’usuale stridìo di metallo sui binari.
Pali, transenne ed alberi sfrecciano nel finestrino. Realtà nuove si susseguono. Prima fermata.
Qualcuno deve pur cominciare. Per non dar l’idea che si debba essere bravi, comincio io: la critica domestica (la più sincera) dice che i miei pochisssimi versi, scritti nei momenti di ispirazione profonda, fanno veramente schifo. Dunque…
Rime Di corvée è questo il giorno e mondar devo carote non mi sto a guardare intorno ma mi sento un don Quijote il coltello stringo in man ben fiero arrendetevi, radici, al mio impero.
Tra i fornelli non ho crucci sbuccio ben molte patate che nemmeno il gran Carducci n’ha si buone mai mangiate. Tra padelle e polpettoni, mio maestro sia il Tassoni.
E se altro ho da fare e la camera da letto devo ancora rassettare o pulire il gabinetto, lieto volo col pensiero anche nel Celeste Impero.
Sbatto bene il materasso metto nuova biancheria e del buon Torquato Tasso la mia sorte sia men ria. La mia mente vo’ innalzare e con l’arte via volare.