Leggo con molto interesse i commenti sull’esame di stato ospitati dal blog, perché mettono in luce alcune contraddizioni nell’atteggiamento degli studenti, a cui chiedo semplicemente: della scuola ve ne frega qualcosa?
Se la risposta è “sì”, allora studiate e i risultati verranno, tanto in pagella quanto nell’esame; se la risposta è “no”, allora fate pure i vostri comodi, ma senza recriminare se uscite con un 60 strapelato o poco più; e state attenti nel valutare i colloqui d’esame!
Ricordatevi che c’è molta gente che esce contenta dal colloquio perché disinvoltamente “ha parlato”: ma magari ha detto un mucchio di fesserie, mentre altri, anche se con meno “fluency” e con incespicamenti dovuti all’emozione, hanno detto cose intelligenti e hanno fatto trasparire una preparazione più solida. I “commissari” di esami ne hanno fatti tanti e – diversamente da voi studenti – hanno l’esperienza che serve per guardare un po’ più in là delle apparenze.
Va poi sottolineato che l’esame, così com’è congegnato attualmente, dà valore al curriculum scolastico in due modi: attraverso il “credito” (in misura modesta) e, all’esame, con la presenza di commissari “interni”. Questi ultimi, inevitabilmente e – dico io – anche giustamente, valutano le “performance” dell’esame proiettandole sullo sfondo di un profilo complessivo dello studente che conoscono molto bene. E questo, scusatemi, è fondamentalmente giusto perché l’esame si colloca alla fine di un percorso di cinque anni che non può e non deve essere ignorato.
Dunque a me non dispiace che chi ha vissuto la scuola superiore con scanzonata superficialità , senza impegno, affrontando l’esame sperando nelle copiature e nella fortuna, abbia sessanta o poco più: mi dispiace semmai che, a volte, prove d’esame non convincenti impediscano alla commissione di riconoscere appieno i meriti e le qualità di chi ha lavorato.
Quando si lavora in commissione, ci si chiede sempre se conta di più l’esame o la “carriera”, ma è una domanda mal posta, perché una carriera scolastica di qualità sfocia naturalmente in un esame fatto bene. Certo, possono verificarsi delle cadute impreviste (per l’emozione o per circostanze particolarmente sfortunate) e in tali casi considero corretto che la commissione le “inquadri” nel profilo dello studente che emerge da tutte e quattro le prove: e che quindi, nel valutare l’ultima e nel concedere il “bonus”, sappia fare le giuste compensazioni.
In questo contesto, è completamente fuori luogo la pretesa che tutti siano nelle stesse condizioni e che “nessuno sia minimamente avvantaggiato”: la logica che ispira l’esame di stato oggi non è questa, come ho cercato di dimostrare.
Ci si deve quindi adeguare, studiando per l’intero triennio: perché, alla fine, di fronte a una bocciatura o a un “60” anche i più allegri e disinvolti ci rimangono male e piangono lacrime di coccodrillo.
Termino con tre spunti di riflessione:
a) mettiamoci bene in testa che la valutazione è sempre fatta da altri e non corrisponde mai a quello che noi pensiamo di valere;
b) nonostante gli studenti di quinta siano adulti maggiorenni, continua ad aleggiare nei loro discorsi la falsa e infantile convinzione che gli esami siano “una lotteria” dal risultato assolutamente casuale. Mica vero: se si è preparati e si vale, gli esami si passano bene, eccome. E la preparazione che serve non è quella mnemonica (inevitabilmente labile e di corto respiro), ma quella pazientemente interiorizzata “con amore”, valorizzando le interconnessioni fra i diversi campi del sapere;
c) voti e punteggi (scusate se lo ripeto una volta ancora) sono attribuiti alla prestazione, non alla persona: perché come persone, uniche e irripetibili, valiamo tutti “cento” e forse più.
Buone vacanze e buona fortuna dal vostro preside che ha tanto trepidato e sofferto per voi!
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