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L’orda primitiva

Il padre dell’orda primitiva si era riservato, da spietato despota, il possesso di tutte le donne, uccidendo e cacciando i suoi figli, pericolosi come rivali. Un giorno i figli si riunirono, uccisero il padre, che era stato il loro nemico, ma anche il loro ideale, e ne mangiarono il cadavere. Dopo il delitto nessuno dei fratelli poté tuttavia venire in possesso della eredità paterna, poiché ciascuno lo impediva all’altro. Sotto l’influenza di tale fallimento e del pentimento, essi appresero a sopportarsi l’un l’altro, unendosi in un clan fraterno, retto dai principi del totemismo – destinati ad impedire la ripetizione del delitto – e rinunziarono tutti al possesso delle donne, causa dell’uccisione del padre. Ormai i membri del clan potevano unirsi solo alle donne estranee al clan. Si spiegherebbe pertanto l’intimo nesso che esiste tra il totemismo e la esogamia. Il banchetto totemico sarebbe la cerimonia commemorativa del mostruoso assassinio, dal quale deriverebbe l’umana coscienza della colpa (peccato originale), punto di partenza dell’organizzazione sociale da cui, a loro volta, prenderebbero origine, nello stesso tempo, la religione e le restrizioni morali.

Sigmund Freud, La mia Vita e la psicoanalisi, Mursia, Milano, 1970 pp. 109-110

Ricostruzione storica o roman noir?

Frontespizio del libro

Ataturk: dittatore o democratico?

Atatuk fu il generale turco durante il primo conflitto mondiale. La Turchia al termine della guerra fu occupata dall’Intesa, che si pose l’obiettivo di smantellare l’esercito ottomano: le condizioni imposte furono infatti durissime e prevedevano, fra le altre, la rinuncia alle province meridionali. Il sultano Maometto e i suoi ministri si sottomisero alla volontà dei vincitori; da questi si distinse Ataturk, che riuscì ad evitare la rovina del paese e ne ristabilì l’unità e l’indipendenza. Nel 1919  sconfisse i Greci, andando persino contro il proprio governo per salvaguardare il bene del proprio paese; a partire da quell’anno, c’erano sostanzialmente due poteri in Turchia: quello del sultano, che era sotto il controllo degli stranieri, e quello di Ataturk che aveva sede ad Ankara, dove si trovava il suo quartier generale. Nel 1920 con il trattato di Sèvres fu sancita la spartizione della Turchia: il conflitto fu inevitabile e portò ad una guerra civile e allo stesso tempo ad una d’indipendenza contro gli stranieri invasori.

Atatürk, mentre era Comandante dell'esercito (1918).
Atatürk, mentre era Comandante dell’esercito (1918).

Tre anni più tardi, nel 1923,  venne cancellato il Trattato di Sèvres, la Turchia proclamata repubblica, Kemal ne divenne il presidente e la capitale trasferita ad Ankara. Il neo presidente iniziò con un programma riformatore: soppresse il sultanato, abolì il califfato e riuscì a rendere la Turchia un paese civile. Secondo Ataturk uno Stato civilizzato è innanzitutto uno Stato laico: per questo intendeva liberare la Turchia dall’Islam che considerava causa del ritardo della modernizzazione del paese. Per questo motivo, nel 1937 venne inserito il principio di  laicità e si iniziò la laicizzazione della società e della cultura, si assicurò alle donne l’uguaglianza in materia ereditaria e nel 1934 esse ottennero il diritto di voto e molte entrarono in Parlamento. Il sistema educativo venne controllato dallo Stato, Ataturk sostituì i caratteri arabi con quelli latini e istituì il calendario gregoriano. Fu avviata una politica di industrializzazione per contrastare l’arretratezza economica; venne fondata quindi una Banca d’affari per sovvenzionare crediti alle imprese. Ciò però non aiutò la ripresa economica che subì un grave colpo col la crisi del 1929, imponendo quindi un cambiamento di strategia: venne adottata una politica mirata al protezionismo e al dirigismo. Grazie a questa politica messa in atto, la Turchia divenne meno dipendente dal punto di vista economico dalle altre potenze straniere.

Successivamente l’opposizione si organizzò in una rivolta che lui represse in modo brutale con una giustizia sommaria. Non si può quindi definire quale ruolo ebbe questa figura politica nella storia della Turchia: dittatore per la durezza e l’inflessibilità utilizzata nei confronti degli oppositori politici, democratico poichè non cercò di trasformare il suo paese in un regime simile a quello presente in Germania o Russia.

BUON ANNO

Buon Anno a tutto il “Mondo del Calvino” con una bella poesia di Rodari.

L’anno nuovo

Indovinami, indovino
tu che leggi nel destino:
l’anno nuovo come sarà?
Bello, brutto, o metà e metà?
“Trovo stampato nei miei libroni
che avrà di certo quattro stagioni,
dodici mesi, ciascuno al suo posto,
un carnevale e un ferragosto,
e il giorno dopo del lunedì
avrà sempre un martedì. Di più per ora scritto non trovo
nel destino dell’anno nuovo:
per il resto anche quest’anno
sarà come gli uomini lo faranno”

Gianni Rodari

Dai un “taglio” ai tuoi problemi!

“Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” ossia “Non moltiplicare gli enti se non necessario”; con questa affermazione Guglielmo di Occam, filosofo inglese del Trecento, diede vita al principio metodologico conosciuto con il nome di “Rasoio di Occam”.
Tale principio suggerisce, individuato un fenomeno che vogliamo analizzare, di scartare eventuali ipotesi aggiuntive che andrebbero solo a complicare la nostra formulazione e fermarci al primo stadio della nostra teoria, se già la riteniamo sufficiente. Ad esempio: se affermo che una pentola d’acqua messa su un fornello dopo un certo periodo di tempo bolle poiché ha raggiunto una data temperatura, potrei anche aggiungere che bolle poiché è il 6 dicembre 2012 o perché mi trovo a Milano; grazie al Rasoio di Occam siamo in grado di estrapolare un’unica teoria “purificata” da ogni assurda aggiunta; nel nostro caso sarà: l’acqua bolle poiché ha raggiunto la sua temperatura di ebollizione indipendentemente da in che giorno o dove si trovi. Di questo modo ci accorgiamo di come tutte le scienze moderne si avvalgano di tale principio per dar vita a degli enunciati, poiché, come visto in precedenza, senza di esso sarebbero infinite le ipotesi formulabili. Occam ci raccomanda quindi di stare ben lontani dalle complicazioni, poiché tra molte e diverse ipotesi la più semplice e sintetica (pur sempre ragionevole), è anche la più plausibile. Come dargli torto? La storia lo prova: le teorie più semplici hanno quasi sempre superato un maggior numero di controlli rispetto alle teorie più complesse.
Inoltre, con tale principio crollano i pilastri della metafisica e della gnoseologia tradizionale: cade il concetto di sostanza poiché delle cose noi conosciamo solo le qualità o gli accidenti che ci rivela l’esperienza. Altrettanto succede per il concetto metafisico di causa efficiente: ciò che si conosce grazie all’esperienza è la diversità tra causa ed effetto, ma non è necessario istituire un definito vincolo metafisico tra di essi. Occam non distingue perciò tra causa efficiente e causa finale poiché l’una non agisce perché desiderata dall’altra e inoltre perché non è possibile dimostrare che ogni evento abbia una causa finale. Non ha senso dire che il fuoco brucia in vista di un fine dal momento che non è necessario perché il fuoco bruci.
Il rasoio di Occam attua un processo di economizzazione della ragione che esclude dal mondo della scienza gli enti e i concetti considerati superflui, in primo luogo gli enti e i concetti metafisici.
Secondo voi quale potrebbe essere il miglior campo in cui attuare questo principio? Si pensi alla politica e alla Costituzione italiana: tanti eletti con le stesse idee e troppe leggi, a volte poco conciliabili fra loro. Perché non si getta tutto, politici e costituzione in una padella?
Come della pancetta si libera del proprio grasso per far sì che rimanga la vera sostanza carnosa, allo stesso modo noi potremmo ridurre il numero delle persone da eleggere, che portano solo confusione, e di quelle leggi con clausole cavillose, che non fanno altro che complicarci l’esistenza.
Forse è giunto il momento di applicare il rasoio di Occam alla politica, alla burocrazia, al diritto: staremmo tutti meglio.

Federico Rampini, la Cina, la crisi e i timori della Sinistra

Mi permetto di consigliare a tutti gli studenti, e non, uno dei giornlisti italiani che preferisco: Federico Rampini.
In questi giorni di vacanza che mi paiono privi di alcuna magia “natalizia” -abbiamo cose più serie di cui preoccuparci?- sto leggendo un libro che aiuta a rilassarmi, più del tabacco.
Il libro è “Il secolo cinese”, del suddetto giornalista, che mi aiuta a rimettere a posto i pezzi confusi che ho in testa, fra razzismi, paure, angosce, vizi e ansie di questi mesi. Vuole essere un documento sulla permanenza di Rampini a Pechino, come corrispondente per La Repubblica, ma -sarò particolarmente predisposto- risuona ad ogni pagina come qualcosa di più grande, un documento sulla situazione globale, che non può non interessare anche gli Occidentali che temono di non trovare più un posto nel mondo.

Oltre a questo consiglio un paio di libri letti l’anno scorso, sempre suoi visto che siamo in tema: uno è “Alla mia sinistra”. Figlio di ferrovieri, affascinati dal comunismo come speranza per la crescita e per la ridistribuzione del reddito, questo libro è un must per chi si ritrova ‘di sinistra’ dalla nascita, e per inerzia aggiungerei. Rampini butta un po’ di carne sul fuoco: dove la sinistra ha sbagliato secondo lui e dove anche sbagliando va rivalutata.

“Non ci possiamo più permettere uno stato sociale -falso”, praticamente edito quest’anno credo: un medicinale contro la nausea della discussione anti-tedesca sul welfare.

E infine, non l’ho ancora letto completamente però, “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”, libro dichiaratamente dedicato a una generazione diversa dalla mia -quella dei miei genitori- che trovo contenga anche degli spunti interessanti per vent’enni o giu di li.

Auguri di buone feste.

~Giuseppe

I puntini di sospensione

I puntini di sospensione sono un segno di punteggiatura costituito da un gruppo di tre punti, non uno in più non uno in meno, disposti in modo consecutivo e scritti orizzontalmente. Essi hanno varie funzioni,  tra queste la principale e più frequente è la pausa, quindi nella lettura essi si possono paragonare ad un intervallo fonetico come la virgola. I puntini di sospensione furono inventati nel 1496 da Richardus Rufus Neglia, feudatario dell’epoca. Al giorno d’oggi molte persone fanno uso di questo segno, però non sempre nel modo corretto; infatti i puntini di sospensione sono molto utili poiché esprimono incertezza, reticenza, imbarazzo e vaghezza… Il guaio qual è? Qualcuno esagera. E usa i puntini per mascherare atteggiamenti inconfessabili. Probabilmente è proprio questo il motivo per il quale il segno è diventato tanto popolare negli ultimi tempi. Gli individui che utilizzano i puntini di sospensione per scopi non affini alla reale funzione grammaticale che essi svolgono, ma per altri motivi, quali la mancanza di costanza o il coraggio di finire un ragionamento, vengono definiti “Puntinisti”. Raramente questo gruppo di puntini esprime un pensiero compiuto, accompagna invece la maggior parte delle volte mezze ammissioni, spunti, accenni e piccole vigliaccherie (non ho il coraggio di dire qualcosa, e alludo).

A questo punto la domanda che viene da porre è: da dove viene e a cosa è dovuta questa moderna mania puntinista?

Secondo Beppe Severgnini essa ha una doppia origine: biografica (per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta) e tecnologica (per chi è venuto dopo).

Negli anni Sessanta c’era una generazione corrotta dalla corrispondenza intimista, dove era molto frequente l’uso di fitte lettere scritte a mano, per diluire in quattro pagine ciò che non si aveva il coraggio di dire con poche frasi. In queste lettere era presente un numero spropositato di puntini di sospensione, come se non bastasse disposti anche casualmente. Essi erano la rappresentazione grafica di una generazione sospesa (politicamente, culturalmente e sessualmente).

I giovani d’oggi, invece, sono stati traviati dalla tastiera del computer e dai messaggi sul telefonino. Basta tener premuto il tasto del punto e i puntini partono come una raffica di mitragliatrice. Sono tanti, facili,rapidi e pericolosi: bisogna schivarli, se vogliamo evitare che in una frase ci siano più puntini che parole!

frontespizio del libro di Severgnini L'Italiano. Lezioni semiserie

Viulenza !

“Viulenza!” era il motto di Diego Abatantuono nel film Eccezzziunale… veramente dove, in una delle scene più famose, in veste del capo degli ultras del Milan, si prepara al derby della domenica armando i suoi compagni “commilitoni” con mazze di ogni tipo, fionde e catene. Ovviamente questa è una scena di un film ed aveva lo scopo di far divertire lo spettatore amplificando il comportamento di alcuni tifosi di una squadra di calcio che si preparavano ad andare allo stadio per scontrarsi con i proprio acerrimi nemici. Diversamente accadeva invece durante il periodo dell’antico regime: passatempo preferito dei nobili non era infatti andare allo stadio bensì terrorizzare intere contee. Si pensi che i nobili erano autorizzati a portare fucili e spade di ogni tipo e a girare scortati da banditi e servitori armati. Erano diversi e piuttosto fantasiosi i modi con cui si divertivano: si recavano a delle aste e ammazzavano di botte il poveretto che osava rialzare la loro offerta; si travestivano da mendicanti e si appostavano in diversi luoghi chiedendo la carità ai passanti e, qualora questi non gliela avessero concessa, si smascheravano e ,con l’aiuto dei loro banditi, li assalivano; altri si divertivano invece a girare per i paesi e a sparare alle povere persone che gli capitavano sotto tiro.
Non solo i nobili ma anche le classi più basse si rendevano partecipi di atti delittuosi: erano centinaia le bande di contrabbandieri o banditi di strada e borseggiatori che giravano liberi per campagne e città razziando e uccidendo a piacimento qualunque cosa o persona gli capitasse sulla strada.
Data l’incontrollabile violenza, le punizioni erano esemplari per far sì che il popolo assistendovi fosse spinto a non commettere le stesse colpe dei condannati; ma il sistema non funzionò. Spesso le esecuzioni capitali perdevano la funzione di monito e diventavano uno spettacolo cui assistere allegramente. A volte poi era proprio il popolo il carnefice: in diverse occasioni, ad esempio, la folla lapidò o picchiò a morte persone messe alla gogna per aver commesso reati particolarmente aborriti, come la sodomia.

Una carica prestigiosa: il doge di Venezia

palazzo ducale (Venezia), antica residenza dei dogi di Venezia
palazzo ducale (Venezia), antica residenza dei dogi di Venezia

Con il titolo di doge (voce veneta equivalente a “duca”, dal latino dux, capo, comandante) veniva indicato, a partire dal VIII secolo, il magistrato incaricato di governare Venezia.

Verso il X secolo il doge si trasformò in una specie di monarca elettivo, eletto appunto dagli esponenti dell’oligarchia patrizia secondo una procedura molto lunga e complessa che aveva lo scopo di evitare scorrettezze da parte di qualunque persona. Col passare degli anni i dogi videro diminuire i loro poteri; questo però non precluse loro la magnificenza esteriore, sia nei cerimoniali sia nelle dimore e nelle vesti sontuose.

La carica di doge era molto ambita soprattutto per il suo valore simbolico e per il l’importanza che donava alle famiglie aristocratiche; l’immensità, la bellezza, lo sfarzo e tutto quello che circondava le varie cerimonie dogali spingevano tutti quei nobili che erano decisi a lasciare un segno, ad essere qualcosa di più che di un “semplice nobile”, ad aspirare alla carica di doge. Ma nonostante tutta questa importanza quella del doge era una carica molto costosa perché il doge stesso era chiamato e obbligato ad auto-mantenersi in modo pesante e questo precludeva alla maggior parte dei cittadini di Venezia la possibilità di aspirare a questa carica, limitandola solo ai membri dell’aristocrazia ricca.

A seconda dei tempi e delle situazioni il doge agiva da condottiero o da supremo notaio. Per cui si può solo dire che sempre all’interno dell’ordinamento politico vi erano una serie di disposizioni che limitavano pesantemente le prerogative del doge e perfino la sua stessa vita quotidiana: la funzione del doge era principalmente quella di rappresentante ufficiale di Venezia nelle cerimonie pubbliche e nelle relazioni diplomatiche con gli altri stati e di mostrarne la regalità pur senza regnare. L’unico potere effettivo che non fu mai sottratto al doge fu quello di comandare la flotta e guidare l’armata in tempo di guerra. Per il resto egli si limitava a sedere a capo della Serenissima Signoria, che era il supremo organo di rappresentanza dei sovrani di Venezia, e presiedere con essa a tutti i consigli della Repubblica, nei quali però il suo voto non aveva più valore di quello di qualunque altro membro.

Il doge aveva anche acquisito sin dalle origini connotazioni religiose, molto astratte fino all’arrivo delle spoglie dell’evangelista Marco a Venezia, nel 828. All’arrivo delle spoglie corrispose anche la costruzione della basilica di San Marco, cappella palatina e chiesa di Stato. Da questo momento in poi il doge divenne a tutti gli effetti Capo della Chiesa di San Marco. Nonostante questo titolo ci furono molte discussioni sul ruolo del doge all’interno della Chiesa stessa poiché al Concilio di Trento venne stabilito che non era un vescovo e nemmeno un principe. Infine, però, furono modificati i decreti conciliari per consentire al doge di partecipare alle cerimonie con gli stessi onori di vescovi e principi.

Gengis Khan

Gengis Khan, monumento a Hulunbuir, Mongolia Interna, Cina
Gengis Khan, monumento a Hulunbuir, Mongolia Interna, Cina

Gengis Khan, fondatore dell’impero mongolo, nacque a Yesunge in una tenda piantata nei pressi del fiume Onon, la zona che odiernamente corrisponde alla Mongolia settentrionale, fra il 1155 ed il 1167.Suo padre era Yesughei Khan, capo incontrastato d’alcune tribù minori riunite sotto il nome di Manghol (i mongoli). Questo diede a suo figlio il nome Temujin, che come tradizione di quella popolazione, faceva riferimento ad una gloriosa impresa appena compiuta dal genitore: infatti il padre aveva appena sconfitto due capi tartari, uno dei quali si chiamava proprio Temujin.

Gengis Khan passò la sua giovinezza a combattere battaglie con un piccolo esercito contro l’Impero Cinese per esser degno di guadagnare il tanto ambito posto del padre una volta che sarebbe morto (Khan=sovrano).

Dopo che suo padre fu avvelenato dai tartari , a soli 9 anni dovette occuparsi della sua famiglia e soprattutto di tutta la sua tribù poiché ne era diventato il sovrano. Targhutai, capo dei Taciuti, voleva impossessarsi del territorio ereditato dal ragazzino e percui radunò sotto il proprio potere gran parte dei clan un tempo fedeli a Yesughei ed attaccò il campo. Gengis Khan data l’evidente inferiorità, lasciò tutto e si rifugiò sulle montagne, anche se poi venne sgominato e quindi catturato. Per un certo periodo venne trasportato da tenda in tenda come un trofeo, ma poi una notte riuscì a scappare sul monte Burkan Kaldun e radunando tutti i suoi famigliari preparò la sua rivincita.

Gengis Khan richiamò così a sé molti giovani figli di vecchi compagni del padre e con loro organizzò razzie sempre più grandi ai Taciuti, lasciando in vita chi si fosse unito al suo gruppo.

Negli anni successivi, si recò presso l’accampamento di Dai Sescen dove celebrò le nozze con la sua promessa sposa Borte, e grazie a questo il suo esercito aumentò, poiché la donna gli spedì un grande numero di servi che sarebbero stati mandati a vivere nella sua città. Perciò, avendo riunito con la forza ormai tutte le tribù della Mongolia, venne nominato dai capi dei vari clan il “capo supremo delle genti mongole” e nel 1211 iniziò il suo piano per la conquista dell’Asia centrale.

Il nuovo condottiero si rese conto però che le organizzazioni militari delle tribù mongole numericamente contenute limitavano le potenzialità di conquista. Creò così il Touman, un esercito unico costituito da ben 10000 unità,  che però richiedeva anche un’organizzazione del comando e una grande disciplina sconosciute in passato. L’organizzazione creata da Gengis Khan dell’esercito mongolo rendeva visibile ogni soldato e le sue qualità da combattente sino dalla giovane età. I migliori potevano così entrare nella legione personale del Khan, la guardia imperiale, diventando così una vera e propria scuola per ufficiali. Il sistema basato rigidamente sul merito infondeva nei militari mongoli la gran voglia di mettersi in evidenza e sperare in una possibile promozione, e questa fu l’arma segreta del Khan che lo portò a grandi conquiste belliche, infatti riuscì a trasformare un’orda di nomadi pastori e cacciatori in un’armata invincibile.

Negli anni successivi riuscì in grandissime imprese e condusse il proprio esercito alla conquista della Cina, della Russia, della Persia, del Medio Oriente e della parte dell’Europa orientale, mettendo in atto la sua filosofia “con noi o contro di noi”. Riuscì a creare l’impero più grande della storia.

Fu un condottiero molto abile e impavido, anche se certe volte un po’ crudele (la sua filosofia era “con noi o contro di noi”), ma il suo animo virtuoso era bilanciata da alcune semplici paure, come quella per i cani e credenze negli spiriti e nelle tradizioni sciamane.

Gengis Khan morì il 18 agosto 1227 a causa di una caduta da cavallo, quando il suo impero si estendeva dal Mar Caspio al Mar Cinese, dalla Persia alla Siberia meridionale. Tuttavia questo grande Impero sopravvisse integro per pochi decenni, fino alla morte di suo nipote Kubilai Khan nel 1294.

La società di Platone

Scultura raffigurante la testa di Platone
Testa ritraente Platone, rinvenuta nel 1925 nell’area sacra del Largo Argentina a Roma e conservata ai Musei Capitolini. Copia antica di opera creata da Silanion.
L’originale, commissionato da Mitridate subito dopo la morte di Platone, fu dedicato alle Muse e collocato nell’Accademia platonica di Atene.

Platone, fra le tante opere scritte, ne ha prodotta una per me molto significativa: La Repubblica. Vi presenta il concetto di giustizia ed un modello di organizzazione dello Stato.

Secondo Platone l’anima dell’uomo è costituita da tre diverse parti: razionale, animosa e concupiscibile (desideri corporei). Per rendere al meglio all’interno della società, ogni individuo viene indirizzato verso un’occupazione specifica, secondo il tipo di anima che in lui prevale. Secondo il filosofo, ad esempio, i governanti devono avere un’anima in cui prevale la parte razionale, saper distinguere il bene dal male e possedere il senso della giustizia. Quindi Platone intende che il governo debba essere gestito da filosofi. Sostiene, cioè, un governo di tipo oligarchico, mentre si dimostra critico nei confronti della democrazia, ritenuta una forma di governo inefficiente.

Platone introdurrebbe nel suo stato un sistema che oggi verrebbe definito comunismo appunto “platonico”, in cui suggerisce l’abolizione della proprietà privata nelle classi superiori e l’introduzione della comunione dei beni al fine che tutti siano tenuti a vivere condividendo i propri possedimenti nell’interesse della comunità. Questa iniziativa è pensata anche affinché non si formino caste all’interno della società poiché Platone pensa che non ci debbano essere al suo interno differenze eccessive di ricchezza e povertà in quanto anche nocive e possibili fonti d’ingiustizia.

Il filosofo propone inoltre che lo stato non debba essere troppo esteso, affinché i confini siano ben protetti.

Secondo Platone le donne dovrebbero avere gli stessi diritti degli uomini e ricevere lo stesso tipo di educazione. Non dovrebbero esistere coppie fisse perché la stessa sessualità dovrebbe essere esercitata come servizio alla comunità ed i periodici accoppiamenti decisi dai governanti allo scopo di ottenere la miglior prole possibile.

Secondo il comunismo platonico, i bambini dovrebbero essere tolti alle famiglie in tenera età e allevati in comune a cura dello Stato, ignorando i loro genitori naturali, e considerando ogni adulto come un padre e ciascun ragazzo come un fratello.

I ragazzi fin da giovani in base alla loro predisposizione, dovrebbero essere indirizzati verso le attività più opportune per il loro tipo di anima:

  • prevalenza dell’anima razionale: educazione ginnico-musicale, studio di matematica, astronomia e filosofia per diventare, infine, governanti
  • prevalenza della parte animosa: educazione ginnico-musicale per diventare guerrieri
  • prevalenza della parte concupiscibile: avviamento al lavoro manuale.

Questo tipo d’organizzazione politica e sociale è sicuramente di tipo utopistico, Platone ne era consapevole. Nonostante questo, il filosofo ha scritto questa composizione per mandare dei messaggi chiari alla comunità:

  • chi governa deve avere come punto di riferimento sempre e soltanto il bene comune
  • la ricchezza spesso corrompe.