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Sono solo parole?

“La parola è una gran dominatrice che, anche col più piccolo e invisibile corpo, cose profondamente divine sa compiere.”
Così scrive Gorgia, aggiungendo “si può dire che la parola sta all’anima come la medicina al corpo. Infatti, come alcuni farmachi eliminano dal corpo queste o altre indisposizioni, e certi guariscono, altri uccidono, così le parole.”
E’ davvero così? Ha realmente tutto questo potere la parola, tanto da poter essere considerata una “medicina” per l’anima?
Di certo, la parola è molto più forte e importante dell’azione, in quanto, appunto, colpisce l’anima e non il corpo. E, si sa, è molto più semplice ferire l’anima di qualcuno.
La parola è in grado di far riflettere, pensare, ragionare. Un buon discorso può cambiare radicalmente le cose.
Ne abbiamo esempio ogni giorno, dai discorsi dei politici alle semplici parole di un amico.
La magia delle parole avvolge, strega, incanta la gente; ogni parola racchiude in se’ una forza che può essere sprigionata in qualsiasi momento. E’ proprio questa forza che influisce sull’anima e che condiziona noi e il nostro essere.
Una canzone ripete “sono solo parole”, come se volesse convincerci che realmente le parole sono ciò che conta di meno, e qualsiasi cosa, anche la più semplice, è più importante.
Il problema sta nel fatto che le parole rimangono in noi per tempi lunghissimi, a volte per sempre, e raramente cicatrizzano. Restano vive, pronte a ferire o rallegrare in momenti meno opportuni.
Ma cosa saremmo noi senza la parola? Senza la possibilità di comunicare, se non a gesti?
Gorgia ha espresso in poche righe l’unica verità della parola: è una medicina. E le medicine non sempre guariscono.

La creazione dell’uomo

C’erano in principio la terra, l’acqua, il sole e la luna. Ognuno di essi svolgeva un ruolo molto importante per il pianeta: La terra nutriva le piante e gli animali, l’acqua li dissetava, il sole li scaldava e la luna li illuminava anche durante la notte. C’era, dunque, un legame molto forte tra gli esseri viventi  e queste entità. Un giorno però un terremoto uccise quasi tutte le specie viventi sul pianeta. Allora le quattro entità rimaste praticamente sole decisero di creare una nuova specie in attesa che gli animali ritornassero alla vita. Così il sole donò uno dei suoi raggi, la luna un po’ della sua polvere, la terra promise che lo avrebbe nutrito e l’acqua che lo avrebbe dissetato. Così’ nacque l’uomo dall’unione dell’amore di queste entità e, dal momento della sua nascita,  le piante cominciarono a ricrescere e gli animali si svillupparono molto piu’ in fretta. Fu così che sole, luna acqua e terra compresero che grazie alla nascita  dell’uomo si era creato anche  il ciclo naturale e grazie a ciò tutte le forme di vita vivranno per  sempre in armonia tra di loro.

“Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”, di Italo Calvino

Breve racconto – qui riportato con qualche “taglio” – del “nostro” Calvino. Profezia? Lungimiranza? Realtà che supera la fantasia? Vale la pena di leggerlo. Pino Gargiulo

“Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti” di Italo Calvino
[Tratto da Romanzi e racconti – volume 3°, Racconti e apologhi sparsi, i Meridiani, Arnoldo
Mondadori editore. Uscito su la Repubblica, 15 marzo 1980, col titolo “Apologo sull’onestà nel
paese dei corrotti”].
“C’era un paese che si reggeva sull’illecito Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.
[……]
Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili.
In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere.
Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri.
[…..]
Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.

Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.

Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una contro società di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una contro società che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la contro società degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è. “

Mitologia giapponese

La mitologia giapponese è molto diversa da quella nostrana poichè si basa su credenze shintoiste invece che greche o cristiane e, perciò, vanta un pantheon di oltre 8000 Kami (divinità o spiriti) di cui alcuni sono stati creati grazie all’influenza della Cina.
In generale la mitologia parla della creazione degli dei o del Giappone con le sue isole, successivamente si trasforma e inizia a trattare le origini della famiglia reale, ritenuta “divina”, infatti l’ideogramma giapponese (天皇), significa appunto “imperatore divino” (天 significa celeste).
Anche i giapponesi hanno diversi miti simili a quelli greci come, ad esempio, il mito della creazione o della terra dei morti alla quale si accede dopo la morte. In particolare quest’ultima si differenzia da quella greca poiché è uguale alla terra ma c’è l’oscurità eterna.

Ecco il mito della creazione del Giappone:

Le divinità diedero alla luce due esseri, Izanagi (essenza maschile) ed Izanami (essenza femminile), incaricandoli di creare la prima terra.Per aiutarli in tale compito venne donata loro anche un’alabarda chiamata Amanonuhoko (Albarda Celeste della Palude).
Dunque, Izanagi ed Izanami si recarono al ponte che collegava cielo e terra (l’Amenoukihashi, Ponte Fluttuante del Cielo) e mescolarono il mare sottostante con l’alabarda ingioiellata. Alcune gocce d’acqua precipitarono e si trasformarono nell’isola di Onogoro, dove i due scesero ad abitare.
Eressero un pilastro (Amenomihashira) e attorno ad esso costruirono un palazzo (Yahirodono) quando decisero di avere dei figli. Dunque iniziarono a girare attorno al pilastro in direzioni opposte finché non s’incontrarono: la divinità femminile salutò per prima, “offendendo” un po’ Izanagi, che decise di giacere comunque con lei. Ebbero quindi due bambini, Hiruko (bambino debole) e Awashima (isola pallida), malformati e non considerati divinità.
Misero dunque i bambini in una barca e li abbandonarono in mare aperto, pregando gli dei sommi per capire per quale motivo fossero nati figli simili, se fossero una punizione per aver fatto qualcosa di sbagliato: venne detto loro che avrebbe dovuto salutare prima la divinità maschile; i due tornarono al pilastro, si ripetè il rito, Izanagi salutò per primo e nacquero figli di stirpe divina: le Ōyashima, ovvero le otto grandi isole del Giappone, e in seguito numerose altre isole e molte divinità.
Izanami morì dando alla luce Kagututi (incarnazione del fuoco) e venne sepolta sul monte Hiba; Izanagi uccise Kagututi per la disperazione, generando con la sua morte dozzine di altre divinità.
[Fonte: http://shoujodaikazoku.forumfree.it/?t=57266237]

Izanagi e Izanami
Dipinto di Kobayashi Eitaku, 1880-90 (MFA, Boston). Sulla destra Izanagi con la lancia Ame-no-nuhoko e sulla sinistra Izanami.

Le olimpiadi nel passato

Chiunque sa cosa siano le Olimpiadi, ma le antiche origini sono in pratica sconosciute a molti di noi; cerchiamo di far emergere qualche dettaglio interessante.

La prima Olimpiade antica venne organizzata nel 776 a.C. ad Olimpia, in onore dei defunti e delle divinità. Questi eventi erano considerati manifestazioni sia atletiche sia religiose, in onore di Zeus, re degli dei, e ovviamente erano visti come spettacolo di massa. Gli atleti gareggiavano nudi, vestiti della propria virtù.

Col passare del tempo cominciò a dilagare la corruzione e il Cristianesimo vedeva questi giochi una sorta di festa pagana, inaccettabile, poiché veniva messo in evidenza il corpo e non l’anima; fu quindi con l’imperatore romano Teodosio che nel 393 d.C. le Olimpiadi vennero sospese.
In molti tentarono di riesumare i valori olimpici e grazie al barone francese Pierre de Coubertin nel 1896 d.C. fu ufficialmente aperta la prima edizione delle Olimpiadi Moderne, che si svolse ad Atene. Alle donne era vietato gareggiare, tanto per cambiare.
Venne introdotto il simbolo dei cinque anelli, usando i colori che compaiono sulle bandiere di tutto il mondo. A ogni colore corrisponde un continente: blu per l’Europa, nero per l’Africa, rosso per le Americhe, verde per l’Oceania e giallo per l’Asia. Con questo simbolo il barone francese Pierre de Coubertin voleva sottolineare lo spirito di fratellanza e di unione dei continenti.

Anche Hitler è riuscito a lasciare un segno, poichè fu proprio con lui che venne introdotta la fiaccola olimpica; inoltre, durante le olimpiadi di Berlino, venne reinserito il calcio e fu introdotta la pallacanestro.

cinque anelli olimpici
cinque anelli olimpici

Con le Olimpiadi moderne sono cambiate molte cose. Gli alteti gareggiano vestiti, l’evento non è più considerato religioso, sono stati introdotti vari sport e alle donne è permesso gareggiare. Un breve accenno va anche fatto alle Paraolimpiadi, ossia le Olimpiadi dei disabili. Purtroppo non credo che molte persone seguano questo evento, tuttavia sono interessanti. Ad esempio esiste il calcio per ciechi!

Nonostante tutti questi cambiamenti, il cuore di questo evento mondiale è rimasto lo stesso: trovare un momento di ritrovo e unione in cui confrontarsi a livello atletico, e il premio non sono soldi, ma onore e medaglie. Come disse il vescovo anglicano Ethelbert Talbot (e non Pierre de Coubertin, come affermano vari libri) “l’importante non è vincere, ma partecipare”; ma ad essere sinceri un atleta olimpico può arrivare a essere pagato fino a 50 milioni di dollari (per esempio Lebron James o Kobe Bryant, mica male!).

Gabriele Bertoli e Andrea Vaghi

Il doppio volto di Giolitti

L’azione di governo di Giolitti fu caratterizzata da una profonda contraddizione. Il suo modo di far politica venne definito del “doppio volto”:
• aperto e democratico nell’affrontare i problemi del Nord
• conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del Sud

Il doppio volto di Giolitti
Il doppio volto di Giolitti

Per quanto riguarda il Nord, non represse gli scioperi e favorì l’organizzazione di associazioni di lavoratori. Alle critiche dei conservatori che lo definivano troppo tollerante, rispose affermando che in Italia non esisteva un reale pericolo rivoluzionario. Giolitti promosse numerose riforme in campo sociale: venne riconosciuta la validità degli scioperi per motivi economici, venne regolamentato il lavoro femminile e minorile, fu resa obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e ricostruì la Cassa nazionale per l’invalidità dei lavoratori, diminuì le ore lavorative, istituì l’ispettorato del lavoro e nel 1912 introdusse il suffragio universale maschile. Il progresso era ovunque: la rete ferroviaria, i trafori alpini, lo sviluppo dell’idroelettricità, le grandi opere di bonifica e d’irrigazione consentirono un notevole incremento della produzione in tutti i settori. La produzione del grano e dei vini raddoppiò. Ebbe inizio l’esportazione del cotone.
Tutto ciò portò all’aumento dei salari dei lavoratori e, di conseguenza, nel Nord si andò diffondendo un benessere economico.

Il Mezzogiorno, invece, era depresso ed impoverito, abbandonato ai latifondisti; in particolare, era diffuso il clientelismo e la corruzione. Qui Giolitti, al contrario del Nord, controllò le elezioni politiche facendo ricorso ai prefetti, impedì agli avversari di tenere i comizi elettorali, falsificò i risultati elettorali e usò la malavita per intimidire gli avversari. Di fronte agli scioperi, non fu neutrale: fece intervenire le forze dell’ordine e ciò causò numerose vittime. Per questo modo di operare gli fu rivolto l’appellativo di ministro della malavita. I salari dei lavoratori scesero portando povertà e disoccupazione. Molti contadini furono costretti a emigrare verso l’America.

Giulia D’Antuono e Giulia Naretti

Quando il criminale lo si vede dalla faccia

Cesare Lombroso
Cesare Lombroso

Nonostante il fatto che molte delle sue teorie più famose siano oggi abbondantemente sorpassate, di Cesare Lombroso si parla ancora.

Nella sua opera più celebre, L’uomo delinquente, il criminologo sosteneva che ci fosse un rapporto diretto tra i tratti somatici di una persona e la sua indole; dunque studiando attentamente il volto se ne poteva dedurre la pericolosità.
L’antropologia criminale fondata da Lombroso riscosse grande successo fin da subito e fu al centro di numerosi dibattiti. Medici e psichiatri furono attratti dal problema e il mito lombrosiano sorse. Almeno per un ventennio fu il più significativo “prodotto scientifico d’esportazione” italiano. Egli divenne una figura centrale, posta in relazione di volta in volta con Galileo e Beccaria, con Pasteur e Darwin.
Partendo dagli studi delle personalità di numerosi detenuti dell’ospedale del carcere di Torino, diede un personale apporto alla criminologia che fino ad allora aveva preso in considerazione esclusivamente l’aspetto sociologico del malato; ne nacque una “scienza” che univa le diverse discipline.

Ma in cosa consiste esattamente l’antropologia criminale? È una teoria che si proponeva di individuare i delinquenti da alcune caratteristiche somatiche non per punire, ma soprattutto per prevenire i crimini. Fino ad allora la criminologia poteva essere letta come il tentativo di comprendere e giustificare la miseria e le diversità che il capitalismo aveva prodotto dietro ad affermazioni di principio, libertà ed uguaglianza per tutti. Dunque il criminale non è altri che un emarginato che non per colpa sua si trova costretto a commettere il reato; naturalmente questa è una spiegazione semplicistica, ma non si discosta molto dall’analisi che Lombroso faceva dello status quo della disciplina ai tempi della pubblicazione della sua opera.
Egli interpretò le diversità del criminale come fondate sulla natura. Sosteneva che esistessero comportamenti, come l’infanticidio, l’antropofagia o l’uccisione dei vecchi, che non sono altro che la risposta a bisogni primari ed elementari dell’uomo e che il loro ripresentarsi non è altro che la presenza di aspetti primitivi nella società moderna; molti di questi comportamenti verranno considerati delitti dalla società, ma il delinquente in realtà non fa altro che manifestare ciò che è insito nella natura dell’uomo e che la maggior parte delle persone riesce a comprimere, ma alcuni hanno il bisogno di esternare. Fin qui l’antropologia criminale non presenta nulla di rivoluzionario, il problema nasce quando il suo autore cerca di legare questo ragionamento psichiatrico all’aspetto più propriamente fisico. Lombroso individua il principale tratto somatico del criminale nell’atavismo, cioè nell’avere delle caratteristiche fisiche che ricordino l’uomo primitivo, scimmiesche in un certo senso. Dunque la fronte sfuggente, segno anche di poca intelligenza, i seni frontali, la forma parabolica dell’arcata dentaria, il naso trilobato, le anomalie di pelle, di colori, di peluria, l’occhio ferino e la fisionomia selvaggia. Questi caratteri, secondo gli studi lombrosiani, erano più frequentemente riscontrabili tra i criminali rispetto al resto delle persone.

Esempio di criminale secondo Lombroso
Esempio di criminale secondo Lombroso


Il delitto non va dunque considerato come un semplice fatto: occorre studiarne la genesi e soprattutto l’autore da un punto di vista scientifico, antropologico, psicologico, medico; è di per sé un dato naturale e sociale. Naturale perché il soggetto che delinque lo commette sotto la spinta di elementi che appartengono al proprio patrimonio biologico; sociale non soltanto in quanto si sviluppa in un ambiente favorevole, ma anche perché la società ha il diritto di difendersi. E dunque il criminale non sarà punito in rapporto esclusivamente al fatto specifico: dovrà piuttosto essere considerato un disgraziato o un malato dalla cui pericolosità occorre premunirsi.

Per queste sue teore, Lombroso fu prima di tutto un medico psichiatra e nella sua professione fu un luminare. Bisogna però sottolineare che non fu considerato né in Italia né all’estero un antropologo già dai suoi contemporanei: egli era troppo superficiale nei metodi e troppo estraneo ad una disciplina che tentava di giungere a nuove sicurezze ed a generalizzazioni limitate ma certe. Certo è che “L’uomo delinquente” fu pubblicato nel 1876 e, sebbene già negli anni Venti di questo secolo l’autore era considerato un ciarlatano, nel periodo della sua piena attività gli giungevano omaggi, scritti ed oggetti che ne fecero il punto di riferimento incontrastato dello studio di ciò che si pone al di fuori della norma.

Coco Chanel durante gli anni della Belle Epoque

abito della belle epoque

Il periodo storico conosciuto come Belle Epoque, ovvero gli anni di passaggio tra ‘800 e ‘900, fu caratterizzato da invenzioni e progressi in campo tecnico e scientifico senza paragoni con le epoche passate. Con la Belle Epoque molte nuove comodità entrarono a far parte della vita quotidiana di ogni uomo, migliorando le condizioni di vita e contribuendo alla nascita di un ottimismo sempre più esteso. Questa espressione voleva esprimere la contrapposizione tra l’epoca precedente e l’epoca successiva alla guerra; esprimeva l’idea che il nuovo secolo sarebbe stato un’epoca di pace e benessere.

In questo contesto di cambiamenti ed evoluzione l’influsso della rivoluzione industriale era evidente, soprattutto in campo tessile. Le fabbriche inglesi determinarono un cambiamento nel vestire poiché avevano le condizioni per fornire buoni tessuti a prezzi sempre meno elevati. L’importazione di una maggior gamma di tessuti dall’Oriente e dal mondo coloniale permise la creazione di abiti adatti alle diverse occasioni: da vestiti estivi creati con tessuti freschi e comodi ad abiti da sera in seta pregiata.
Grazie all’incremento di produzione e vendita di capi d’abbigliamento nacquero i grandi magazzini, che permettevano l’acquisto a prezzi più agevoli e accessibili a quasi tutte le classi sociali. Le barriere di ceto svanirono grazie alla crescita dei redditi, che permise alle famiglie di dedicare una parte sempre maggiore all’acquisto di abbigliamento.

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Rapporto tra Natura e uomo: il mito del rinnovo

Vi siete mai chiesti quale sia l’origine dei frutti che la terra ci dona, degli alberi, dei prati e dei campi coltivati?
Sappiate che il mondo non è sempre stato così e che la Terra non ha sempre prodotto i suoi frutti, di cui noi tutti oggi viviamo.
Sappiate che, quando ancora non c’era tempo, per volere degli dèi la Terra era una solida, sterile, insipida roccia e  tutti gli uomini del tempo vivevano in un mondo tutto grigio, un immenso deserto arido.
E sappiate ancora che in quel tempo lontano in cui si svolsero i fatti di cui parleremo, gli uomini erano governati dal principe Magro, un omuncolo avido e prepotente, un prevaricatore affermato, che tutti dovevano rispettare e venerare. Continua la lettura di Rapporto tra Natura e uomo: il mito del rinnovo