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Socrate: il tafano di Atene

Busto di Socrate conservato nei Musei Vaticani
Busto di Socrate conservato nei Musei Vaticani

Una delle metafore più celebri che hanno per oggetto Socrate è quella, scritta nell’Apologia di Socrate e pronunciata dal filosofo stesso, del tafano: infatti Socrate era “il tafano che punzecchia la vecchia cavalla”, dove l’insetto era ovviamente il filosofo, mentre la vecchia cavalla era l’antica città di Atene.
Perchè paragonare un grande filosofo come Socrate ad un fastidioso insetto come il tafano?
Come ben sappiamo dalle principali fonti socratiche, Platone e Senofonte, Socrate pensava che la verità potesse essere scoperta solo attraverso il dialogo e la maieutica, aiutando le persone che interrogava a tirar fuori la verità.
Non a caso Socrate soleva paragonarsi a sua madre Fenarete, che per anni fu una brava e vigorosa levatrice: come Fenarete aiutava le gestanti a partorire i bambini, così Socrate aiutava le anime “gravide” a partorire la verità.
Inoltre Socrate affermava che così come le donne rimangono incinte dopo essersi accoppiate con un uomo, anche le anime per essere “gravide” devono prima accoppiarsi con un’altra anima, ossia mediante il discorso e il confronto orale.
Quindi Socrate camminava per le strade di Atene (rigorosamente a piedi scalzi), andando a interrogare gli uomini più importanti e le persone più erudite della città, chiedendo loro di spiegargli un concetto generale, che gli interrogati pensavano di conoscere a fondo, come coraggio, bellezza o virtù.
Arrivati alla fine del discorso Socrate riusciva sempre a dimostrare al suo interlocutore che questo non conosceva veramente il concetto a fondo, imbarazzando anche pubblicamente la persona.
Il filosofo divenne perciò un uomo scomodo, da evitare, a tratti fastidioso, ma non per antipatia, bensì per paura: le persone erudite avevano il terrore che Socrate sbriciolasse le loro certezze dimostrando la loro ignoranza su un argomento riguardo al quale si sentivano esperti.
Per questo motivo si soprannomina “il tafano”; ma non come un insetto visse e morì, bensì come un vero uomo: pensante, razionale e rispettoso delle leggi.
Rispetto per le quali portò un grande uomo ad una morte onorevole ma ingiusta.

In cosa sbagliava Zenone? La risposta a Platone

Scultura raffigurante la testa di Platone
Testa ritraente Platone, rinvenuta nel 1925 nell’area sacra del Largo Argentina a Roma e conservata ai Musei Capitolini. Copia antica di opera creata da Silanion. L’originale, commissionato da Mitridate subito dopo la morte di Platone, fu dedicato alle Muse e collocato nell’Accademia platonica di Atene.

Uno degli interrogativi rimasti aperti nella nostra classe è: “in cosa sbagliava Zenone?”. A questa domanda, rimasta irrisolta per un paio di lezioni e poi finita nel dimenticatoio, mi sembrava davvero difficile dare una risposta. Che ci fosse qualcosa che non andava nell’argomentazione dei suoi paradossi era chiaro, trovare “cosa” un po’ meno. Solo ora, compreso il pensiero Platonico, credo di aver capito in cosa sbagliasse il filosofo di Elea.
Allievo di Parmenide, Zenone cercava attraverso la dimostrazione per assurdo di appoggiare le posizioni del suo maestro, e gli argomenti che portava a sostegno della sua tesi vengono comunemente chiamati “paradossi”. Due sono i tipi di paradossi che questi formulò: i paradossi contro il movimento e quelli contro la molteplicità dell’essere. Per quanto riguarda la prima tesi,“l’essere è immobile”, Zenone sostiene che nessun uomo è in grado di raggiungere il proprio traguardo, in quanto prima sarà costretto a compiere la metà del suo percorso, poi la metà della metà e così fino all’infinito perché esisterà sempre una metà più piccola della precedente. Pertanto il movimento non può esistere. Uno dei più famosi tra questi paradossi è quello di “Achille e la tartaruga”, secondo cui, se Achille lascia alla tartaruga un margine di vantaggio, non riuscirà poi a raggiungerla perché questa sarà sempre, anche se in maniera infinitesima, più avanti di lui. Dal punto di vista matematico il discorso non fa una piega, ma cosa ne penserebbe Platone? Non credo che sarebbe molto d’accordo. Platone infatti cerca, attraverso la filosofia, di trovare, all’interno di un mondo in continuo movimento, delle verità solide e universali da potersi ritenere sempre vere e valide. Questo lo porta a formulare la cosiddetta “teoria delle idee”. Le idee, sostiene Platone, non sono altro che i caratteri universali, immateriali e sempre identici a se stessi, che si possono cogliere solo attraverso l’intelletto. E’ su queste idee che si basa la realtà sensibile, ma questa può soltanto imitarle, non potrà mai essere identica ad esse. Le idee stanno nel mondo dell’intelligibile, in quello che Platone chiama “iperuranio” e non trovano una rappresentazione perfetta nella realtà. Pertanto se diciamo che un qualcosa è bello non stiamo affermando che esso è in sé l’idea di bellezza, ma soltanto che esso vi partecipa e ne condivide una data caratteristica. Le idee sono solo dei “modelli”.
Ecco perché ciò smentisce in parte ciò che affermava Zenone: l’idea di punto senza dimensioni, di retta formata da infiniti punti non è applicabile in natura, dove lo spazio è finito e anche la più piccola parte di materia ha una dimensione. Si arriverà ad un certo punto ad una metà talmente piccola da risultare indivisibile e quindi la meta sarà raggiunta e anche Achille riuscirà prima o poi a raggiungere la tartaruga e addirittura a superarla. Non è vero quindi che non esiste il movimento.
Per quanto riguarda invece i paradossi contro la molteplicità dell’essere mi ha colpito in particolar modo quello in cui afferma che “se i molti fossero, dovrebbero essere tali e quali è l’uno, ingenerati, eterni e immutabili, ma siccome ciò non è vero, allora i molti non sono”. Per cercare di confutare questa argomentazione, è necessario appellarsi a un’altra delle “invenzioni” platoniche, la dialettica per unificazione e divisione. Nel Fedro infatti Platone afferma che la dialettica è l’arte di ricondurre il molteplice all’uno e l’arte di dividere l’uno nel molteplice. Trovare quindi ciò che unifica più idee ad un’idea più generale, ma anche fare il processo opposto, cioè dividere ogni idea in idee più specifiche, per scoprire quali idee comunicano fra di loro e quali no. A questo punto mi viene da pensare: “E se i molti facessero parte dell’idea di essere, ma non ne avessero tutte le caratteristiche?”. L’essere potrebbe essere l’idea generale che raccoglie tutto ciò che “esiste”, ma potrebbe poi dividersi in più idee specifiche come quella di ingenerato o infinito di cui non fa parte la nostra realtà. Del resto lo stesso Parmenide affermava che noi “siamo” “doxa”, opinioni, per poi concludere dicendo che non esistiamo in realtà perché l’essere è unico. Non è forse un po’ contraddittoria come affermazione? Se l’essere potesse avere più “sfumature”? Con questo Platone non vuole smentire Parmenide sul fatto che l’essere sia uno, sebbene il suo intento fosse quello, ma sicuramente la confutazione è un buon metodo per avvicinarsi alla verità, anche se a volte non basta.

Gorgia parlava e sapeva parlare…

I maggiori esponenti del movimento sofista sono due: Protagora e Gorgia.
I due filosofi scrissero molto di un tema, l’oratoria, e in maniera diversa.
Gorgia, in particolare, crede molto all’uso di quest’arte perciò pensa che anche la tesi più sbagliata possa essere trasmessa a un gruppo di ascoltatori se si amministra nel modo giusto l’arte del parlare, l’oratoria appunto.
Diciamo quindi che Gorgia pensava di poter spingere i suoi ascoltatori a credere e accettare il suo punto di vista grazie al suo modo di parlare.
Si potrebbe vederlo, in un certo senso, come un abile ingannatore, la cui unica arma era la comunicazione.
Una sola frase può riassumere la sua idea: “la parola sta all’anima come la medicina sta al corpo”.
Una proporzione particolare e non proprio matematica ma messa in questo modo potrebbe far sembrare l’oratore come dottore dell’anima di chi ascolta.
È quello in cui crede Gorgia ma è un concetto decisamente impensabile per molti. Proprio in questo sta la filosofia di Gorgia: portare l’ascoltatore a pensare che argomenti su cui una persona non ha mai ragionato sono facili e facilmente condivisibili.
Ed ecco perché la parola è medicina dell’anima. Un discorso può eliminare dubbi o pensieri contrastanti in una persona, sostanzialmente può fare del bene se “assunta” nel modo corretto. E “leggere attentamente il foglio illustrativo” potrebbe essere un’avvertenza da fare a coloro che si lasciano abbindolare troppo facilmente.
Infatti se un ascoltatore conosce l’intenzione di un oratore come Gorgia (o i politici di oggi) deve avere prima di tutto la consapevolezza di possedere delle chiare idee in testa, altrimenti sarebbe come un adulto che rimane stupito e crede ancora che un mago possa tirare fuori effettivamente un coniglio dal magico cilindro.
Gorgia parlava a tutti ma sapeva veramente parlare solo ad un pubblico di facili ascoltatori, non per questo la sua figura perde di importanza.

La potenza della parola.

Un grande esponente del movimento sofistico è Gorgia.

Come Protagora, anche Gorgia scrisse molto e i suoi scritti erano per lo più orientati verso l’oratoria.

Egli nutriva un grande interesse per l’uso retorico, ovvero persuasivo, della parola. Non usava la parola per comunicare come stanno le cose: lo riteneva impossibile. Se ne serviva, invece, per manipolare i suoi interlocutori e spingerli ad accettare il suo punto di vista. Agiva sulle passioni, sulle paure, sui sentimenti…

Gorgia esaltava la potenza ingannatrice della parola.

Qualche interprete sostiene che non si tratta di un inganno nel senso morale del termine. Gorgia si riferirebbe alla finzione letteraria, propria dei poeti, e capace di coinvolgere i lettori: sarebbe un ascoltatore davvero sciocco colui che ascoltando una poesia non si lascia influenzare dalle parole di essa o non desta un brivido.

Questa interpretazione sembra ben poco conciliabile con altre sue parole:

Dalla magia e dalla potenza ingannatrice della parola si sono ricavate due arti, quella di traviare la mente e l’altra di ingannare l’opinione pubblica.

Gorgia equipara la potenza della parola alla potenza dei farmaci: come infatti certi farmaci eliminano dal corpo tumori, altri troncano la malattia e altri ancora la vita; così anche nei discorsi, le parole producono dolore, altre paura e altre ancora, addirittura, incutono terrore, altre infine, con qualche persuasione perversa, stregano e avvelenano l’anima. Esse restano vive anche nel corso degli anni e, nei momenti meno opportuni, ti colpiscono.

Gorgia nega che le parole possano esprimere la realtà e ne sottolinea, invece, la potenza persuasiva. Ma le parole, per fare tanto effetto sulle persone, devono avere un significato. La loro forza non sta solo nel suono o nel modo di pronunciarle, ma soprattutto nel loro significato, cioè, in quel riferimento alla realtà che Gorgia vorrebbe negare.

Gorgia dunque fa un uso improprio della parola, perché tiene conto solo di una sua funzione secondaria, ovvero quella sentimentale-emotiva, ed esclude, invece, la sua funzione principale, quella razionale.

Tuttora le parole vengono usate in modo improprio, come ad esempio nelle pubblicità dove esse colpiscono il desiderio delle persone e non l’intelletto.

Impariamo a difenderci.

La giustizia di Socrate

Socrate
Testa di Socrate, scultura di epoca romana conservata al Museo del Louvre

Socrate, grande filosofo del V secolo a.C., afferma nel Critone che: “È meglio patire ingiustizia che commetterla”.

Egli fa questa affermazione mentre cerca di persuadere l’amico Critone che è andato a trovarlo in carcere, a non corrompere i giudici che lo hanno condannato a morte, rimanendo fedele alla sua etica eudemonistica, ovvero l’uomo può ottenere la felicità solo agendo in modo buono e giusto.

Ha ragione lui oppure no?

Molti, davanti a questa affermazione, sarebbero inclini a criticarla poiché portati a pensare prima al proprio tornaconto personale, poi a quello della comunità, e quindi disposti a commettere un’ingiustizia verso gli altri, se a proprio vantaggio.

Però, così facendo si innescherebbe un sistema di atti empi a catena per vendicare quelli subiti e non si finirebbe più; perciò credo che Socrate abbia ragione dicendo che non si devono commettere ingiustizie ed è meglio subirle piuttosto che farle. Anche se non si può fare a meno di pensare per se stessi, certe volte bisogna pensare anche al bene del prossimo come se fosse il tuo e sopportare gli atti ingiusti di altri.

C’è da dire inoltre, sempre secondo Socrate, che anche coloro che commettono il male non lo fanno in modo consapevole, ma lo fanno pensando che sia il bene per la propria anima. Questo perché?

Perché l’uomo non sa quale sia il vero bene e, nel cercare di capirlo, spesso commette peccati e quindi provoca sofferenze ad altri. Non possiamo sapere con precisione quale sia il bene comune, ma di certo sappiamo bene qual è il nostro bene personale e, nel tentare di realizzarlo, si può fare del male ad altri.

Se non si conosce il bene, si pecca. Questa convinzione di Socrate è dovuta al fatto che egli considera l’anima umana solo come razionale, mentre, se si considera l’anima così come fece Platone cioè composta da tre parti, una razionale, una animosa e un’altra concupiscente, si può capire più facilmente perché un uomo pecca: perché in quel momento la parte di anima “dominante” nell’essere non era quella razionale, ma una delle altre due parti.

Il torto di Socrate fu quello di non considerare tutti gli aspetti dell’animo umano.

Inoltre secondo Socrate, sembra che le leggi siano assolutamente da non trasgredire e quindi egli accetterà il suo destino in base a ciò che esse dettano (finirà per bersi la cicuta).

Trovo giusto il fatto di dover rispettare una legge, ma non credo che la si debba prendere per “oro colato” perché, essendo stata fatta da altri uomini, non sempre si può definire giusta. Bisogna rispettare tutte le leggi che si reputano giuste e cercare di fare qualcosa per cambiare quelle che si reputano ingiuste. Quindi è giusto l’insegnamento di Socrate per cui bisogna rispettare le leggi, ma con il buon senso di saper contestare quelle sbagliate.

Limiti alla libertà di parola? Inaccettabili!… O forse no…

Oggi studiavo storia per la famigerata simulazione di terza prova. Argomento: primo dopoguerra e fascismo.

Leggendo di quest’ultimo ho iniziato a pensare a che periodo dovesse essere e a come sia stata possibile l’instaurazione di un simile regime.

Facile, mi direte voi: gli oppositori vengono eliminati, si controllano i mezzi di comunicazione e la cultura, si promuovono eventi e organizzazioni che facciano scomparire il singolo a favore di un sentimento collettivo di unione e nazionalità. In sostanza viene a mancare la libertà di parola e quindi non si hanno più diversi punti di vista, l’informazione viene controllata e sottoposta a pesante censura.

Libertà di parola: penso sia questo il concetto-chiave. Al riguardo Voltaire diceva:

Non sono d’accordo con le tue opinioni, ma difenderò sempre il tuo diritto ad esprimerle.”

Credo che siamo tutti d’accordo con lui, no? Le libertà di parola e di pensiero sono dei diritti fondamentali di ogni individuo.

Eppure…

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La base del pensiero moderno

Ritratto di Socrate. Marmo, opera d’arte romana (I secolo), forse copia di una statua bronzea perduta realizzata da Lisippo

Nel mondo d’oggi ci sono molti dissensi etici tra le diverse culture ed interni a ciascuna cultura. Questo spinge i filosofi a cercare delle risposte sul perché ci siano tante differenze. Esaminiamo la situazione: che importanza ha l’etica oggi? Essa è una parte estremamente importante della filosofia contemporanea, così come lo era anche in antichità. Particolare era il confronto fra i molteplici dissensi tra le varie culture e tra quelle interne della Grecia: nel V secolo a.C., per esempio, da una parte si trovavano i sofisti, dall’altra Socrate, filosofo di grande importanza, che cercavano di trovare delle risposte. In particolare Socrate si interrogava e cercava risposte su domande etiche fondamentali.
Ma quale metodo d’indagine usava Socrate per cercare tali risposte?
Prima di tutto, dobbiamo dire che il metodo socratico si divide in tre fasi: ironia, confutazione e maieutica.
Con la prima Socrate interroga l’interlocutore (per lo più “falsi sapienti”) su quello che l’interlocutore stesso si vanta di sapere fino a fare affermare a quest’ultimo qualcosa che è in contraddizione con la sua risposta iniziale.
Si passa, quindi, alla seconda fase: la confutazione.
Infine c’è la maieutica, l’arte con cui Socrate aiutava l’interlocutore a “partorire la verità”. Come la levatrice (tra cui anche sua madre) portava alla luce il bambino, così Socrate portava alla luce la verità dal suo interlocutore. La maieutica è un metodo dialettico d’indagine filosofica basato sul dialogo. Socrate è convinto che solo attraverso il dialogo sia possibile far scaturire valori e verità comuni, cioè universali; nello stesso tempo egli non ha la presunzione di possedere queste verità e questi valori. Sa soltanto, in questo senso, di non sapere e perciò ricerca e discute.

Attraverso questo metodo l’uomo dovrebbe essere eccellente (cioè virtuoso) e felice, ma non è così. Anche Socrate commette degli errori: non tenendo conto delle componenti passionali e dei desideri che molte volte prevalgono sulla parte razionale dell’anima, cade nell’intellettualismo etico, secondo il quale si presuppone che un uomo, a conoscenza del vero bene, non può che agire benevolmente.
Infatti, secondo Socrate, l’uomo non può scegliere il male pur conoscendo la verità del bene. Quest’idea presuppone che la verità del bene e della giustizia (la stessa virtù che per Socrate è l’anima), siano raggiungibili per via razionale prima che per via sentimentale. Socrate pensa inoltre che la verità sia un bene così superiore rispetto ad ogni altra cosa, che chi “sceglie” il male, deve farlo senza dubbio perché del tutto inconsapevole del vero bene. Perciò, detto in poche parole, il virtuoso è il sapiente mentre il vizioso è l’ignorante.

Concludendo, esprimo la mia opinione.
Il metodo socratico ha lasciato all’uomo, pieno di eccessi, un grande e utile insegnamento: l’uomo “giusto” è quello che sa raggiungere un equilibrio spirituale, attraverso azioni buone e virtuose che lo porterebbero alla felicità.
L’uomo moderno è troppo attaccato ai beni materiali e avrebbe bisogno di un “Socrate moderno” che lo aiuti a trovare la giusta misura delle cose.

La potenza della parola

Secondo Gorgia la parola è una gran dominatrice: compie cose profondamente divine.
Il filosofo dimostra come la potenza della parola si dispiega, egli, infatti, considera e definisce la poesia come parola con metro,

“che si tratti di vicende felici o meno, l’anima per mezzo della parola prova un’esperienza propria e ne viene completamente trasformata”.
“Dalla potenza ingannatrice della parola si sono ricavate due arti: quella di traviare la mente e quella di ingannare l’opinione pubblica, ci sono e ci sono state molte persone che hanno saputo ingannare innumerevoli persone su vari argomenti stregandole con i loro discorsi”

Gorgia fa poi una riflessione approfondita secondo la quale non esiste una via per poter recuperare tutto il passato o per conoscere il futuro, di conseguenza per risolvere i problemi della vita si ha per consigliera solo la propria opinione, ma un’opinione, per forza di cose, insicura e priva di fondamento.

“Quindi la potenza del discorso che convince, costringe la mente, tanto a lasciarsi invaghire da ciò che viene detto, quanto ad approvare ciò che viene fatto”.

Tutto questo Gorgia l’ha anche dimostrato; avendo un fratello medico, provò e riuscì, a vendere più medicinali del fratello col solo potere della parola.
Si deduce, che saper usare bene le parole e quindi saper persuadere la gente, a volte vale più delle conoscenze: Il filosofo vuole far capire che con la sola arte del parlare bene si può ribaltare una teoria basata su conoscenze appurate. Il suo insegnamento ha un aspetto positivo: tutti dovremmo essere consapevoli della forza delle parole.
Anche poche parole hanno il potere di racchiudere grandi storie, un esempio lampante è Soldati, la poesia di Ungaretti

“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.

È piena di significati anche se è composta da sole 9 parole.
Gorgia pensava però che le parole non potessero comunicare nulla della realtà. Non è così. Le parole sono tanto forti perché sono cariche di significato.
Un chiaro esempio quotidiano, sono le televendite, il venditore deve anche mentire al possibile acquirente, ma in modo da far sembrare la bugia una verità. Anche i politici, spesso in campagna elettorale ingannano la gente con promesse che non manterranno mai, loro fanno appello più ai sentimenti che alla ragione con discorsi tanto preparati tanto falsi.
Noi esseri umani siamo dotati di un grande potere: possiamo comunicare il nostro pensiero con la parola in un modo che solo a noi è concesso. La comunicazione umana è quindi qualcosa di unico.
La parola è per noi così importante che senza di essa non potremmo nemmeno capire noi stessi.
Oggi poi, saper organizzare bene un discorso e affermare le proprie idee diventa imprescindibile per non rimanere schiacciati dal sistema.
L’unicità della parola, rende la parola stessa così importante, una volta pronunciata, infatti non la si può più richiamare indietro: meglio non parlare a vanvera.
Ci sono, nel pensiero di Gorgia, anche altri aspetti negativi: il filosofo si serve della parola più come strumento di dominazione che come strumento di comunicazione.
Capita ancora oggi. Un chiaro esempio quotidiano, sono le televendite: il venditore arriva a mentire al possibile acquirente, ma in modo da far sembrare la bugia una verità. Anche i politici, spesso in campagna elettorale ingannano la gente con promesse che non manterranno mai. Con discorsi tanto preparati quanto falsi, fanno appello ai sentimenti, alle emozioni ed alle paure più che alla ragione: un vero tradimento della funzione primaria della parola.
Anche gli animali comunicano sentimenti, emozioni e paure. Per farlo bastano la voce ed i movimenti del corpo. La parola ha una marcia in più: serve a comunicare il pensiero. Rispettiamola.

L’importanza e il ruolo della parola secondo Gorgia

“La parola sta all’anima come la medicina al corpo”
Così Gorgia spiega l’importanza della parola.
Secondo lui infatti, essa ha una grande potenza ed è una “gran dominatrice”.
Ha il potere di corrompere la mente e di ingannare l’opinione pubblica, difatti, come sostiene Gorgia, sono molte le persone che sono state ingannate su alcuni argomenti con innumerevoli discorsi.
Inoltre aggiunge che anche Elena, che aveva deciso di tradire il marito Menelao e seguire Paride, è stata persuasa dalla forza della parola, quindi il suo gesto è giustificato…
Le parole possono addolorare, incutere timore, divertire, altre avvelenano, incantano e fanno piangere…
Gorgia intende affermare che essa è uno strumento multiforme che può essere usato non solo per fini buoni, per esempio quando Gorgia difende Elena, ma anche per quelli cattivi, come nella vicenda di quest’ultima.
La retorica è quindi una tecnica e ciascun uomo è responsabile dell’uso che ne fa.

Secondo Gorgia quindi la parola ha un grandissimo potere.
Credo però che chi fa un uso cattivo dell’arte oratoria, per quanto possa saper parlare bene, se lo sta facendo con una persona abbastanza sveglia che non si lascia ‘ipnotizzare’ dalle sue parole, non potrà mai ingannarlo. Ma quando l’oratore parla con persone ingenue, la maggior parte delle volte riesce a portare a termine il suo scopo.
Secondo me questo non significa che la parola abbia un grande potere, ma è l’ingenuità di colui che ascolta che lo fa sembrare.
Infatti nella storia sono molti quelli che con i loro discorsi sono riusciti a convincere le persone a fare gesti orrendi, per esempio Hitler, che con i suoi discorsi ha ingannato un sacco di persone, facendogli credere che stava facendo del bene.
L’arte oratoria che è usata per scopi buoni, ad esempio per convincere le persone a fare del bene, come hanno fatto grandi persone come Ghandi e Madre Teresa di Calcutta, non sfrutta l’ingenuità della persona ma la sua capacità di ragionamento.

Socrate: il male è generato dall’ignoranza

Socrate ne era fermamente convinto: il male è generato dall’ignoranza.

Vissuto nel V secolo, il suo modo di fare filosofia considerato troppo invasivo e diretto non piacque alla maggior parte dei suoi concittadini.

La morte di Socrate - dipinto di Jacques-Louis David
La morte di Socrate – dipinto di Jacques-Louis David

Per Socrate la filosofia era un vero e proprio modo vivere.
“Nessuno compie il male volontariamente” e “la virtù è conoscenza” sono due dei pilastri fondamentali del pensiero socratico.
Socrate aveva cieca fiducia nella ragione. Secondo lui l’uomo, naturalmente incline alla felicità, l’avrebbe potuta raggiungere solo attraverso il bene, e il bene, poteva essere fatto solo attraverso la conoscenza e la ragione. Il male, di conseguenza, era fatto involontariamente e per ignoranza.
Come detto prima quindi, il male è generato dall’ignoranza. Se un uomo è ignorante, è chiaro che è portato a compiere il male e quindi non potrà mai essere felice.

C’è qualcosa nella convinzione di Socrate che a parer mio non quadra.
Chi è a conoscenza del bene, cioè colui che potrebbe prendere la strada “giusta” può decidere di non seguirla scegliendo l’opposto: la strada del male. Questo non sempre accade per ignoranza ma anche per volontà. È la volontà che spinge l’uomo a optare il bene o il male.
Socrate non ne aveva tenuto conto.
L’uomo è libero di scegliere, niente gli impedisce di prendere la strada sbagliata, quella che avrà conseguenze negative.

Se così non fosse, come si spiegherebbero tutti i massacri e i “buchi neri” della storia? Si potrebbe credere che le stragi compiute da questo o quell’altro fossero state fatte per ignoranza; io credo più per volontà. Hanno scelto di farlo, consapevoli delle proprie azioni e delle conseguenze. Secondo il ragionamento socratico dovremmo definire ignoranti, privi di cultura e conoscenza tutti i Re, dittatori, uomini di politica che nella storia hanno compiuto cattive azioni, ucciso, massacrato, sperperato odio e terrore fra gli uomini; o semplicemente tradito la loro patria o la fiducia del popolo. Non l’hanno fatto per ignoranza, magari qualcuno sì, forse anche per pazzia; però la maggior parte l’ha fatto per scelta.
Penso sia palese che tutti gli uomini abbiano come obbiettivo comune la felicità. Ma ognuno di noi può raggiungerla attraverso strade differenti, secondo la propria volontà.
Se un uomo sceglie la strada sbagliata non è detto che lui la consideri tale. Così come se un uomo sceglie la strada giusta, qualcuno potrebbe non considerarla tale.
In questo caso entrano in gioco anche i diversi punti di vista delle persone e le diverse percezioni di bene e male.

Il pensiero di Socrate quindi, oggi può apparire paradossale e riscontrare divergenze in diversi punti.
Molto probabilmente sono cambiati i modi di pensare degli uomini, le concezioni di significato e le abitudini. In questo modo il messaggio che Socrate voleva inviare agli uomini arriva a noi falsato dalle nostre percezioni.

Egli sbagliava nell’essere convinto di saper distinguere in maniera precisa il bene e il male. Il bene e il male sono concezioni soggettive nella maggior parte dei casi. Socrate ragionava in modo oggettivo, come se un “qualcosa” doveva per forza essere bene o male, giusto o sbagliato, bianco o nero.
Non teneva in considerazione dei diversi costumi e mentalità dei popoli, dei diversi pensieri degli uomini del suo tempo. Sbagliava in questo. Ciò che per lui era giusto, doveva esserlo per tutti.
Per esempio: un genitore può ritenere giusto (quindi bene) accontentare il figlio nel comprargli un nuovo giocattolo, in questo modo lo vedrà felice; un altro genitore può ritenere ciò sbagliato (quindi male) in quanto il figlio sarà viziato.
E’ un banale esempio per dimostrare come la percezione di bene e male può cambiare da persona a persona e di come Socrate sbagliava nella sua concezione obbiettiva.