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Parola: causa e motivo delle nostre decisioni

Oggigiorno la parola è diventata causa e motivo delle nostre decisioni.
Anche senza rendersene conto l’uomo è sopraffatto dalle parole.
Le nostre scelte sono condizionate dalle parole. La ragione ha un ruolo importante e fondamentale nelle decisioni di tutti noi ma bisogna tener conto che le parole spesso e volentieri sono causa di scelte sbagliate.

Basti pensare alle innumerevoli pubblicità che la società ci propina. Le promesse che esse garantiscono influenzano l’uomo, futuro compratore. Tutto ciò è solo merito delle parole.

La parola non è utilizzata solo dalle pubblicità per stregare l’essere umano. Pensiamo alla politica; non sono forse le parole illusorie, a volte ingannevoli che ci spingono a votare questo o quell’altro? Quante volte i politici o uomini rilevanti della società promettono, promettono e poi non concludono? I loro discorsi, carichi di promesse, molte volte sono colmi di parole illusorie. L’uomo in genere non se ne rende conto, salvo poi realizzare di aver sbagliato a dare fiducia a una persona abile solo nel parlare.

I politici, abili oratori, sanno come utilizzare le parole a loro favore. Per mezzo di esse, fanno appello alle emozioni di noi cittadini, scavano e si soffermano sui nostri punti deboli, sui nostri sentimenti. Sanno che le nostre emozioni hanno un ruolo fondamentale e puntano proprio su di esse. Riescono a conquistarci promettendo la risoluzione di tutti i problemi che ci affliggono anche se alla fin fine sappiamo benissimo che dalle parole ai fatti ce ne vuole. Ma non si sa come in alcuni casi le nostre emozioni e i nostri sentimenti riescono a prevalere sulla ragione.
E’ ciò che succedeva nell’antica Grecia: gli oratori, abili nel parlare e nel convincere il popolo delle proprie idee, puntavano sulle emozioni. Come sosteneva Gorgia, filosofo sofista vissuto a cavallo fra il V e VI secolo: “La parola è una gran dominatrice”. Egli aveva capito che la parola è impiegata dall’uomo per suscitare emozioni. Ne faceva infatti ampio uso. La usava però in modo sbagliato, egli preferiva utilizzarla per persuadere la gente. Non gli interessava il significato primario, quello razionale delle parole, a lui importava più l’effetto che esse facevano sull’animo umano.

Possiamo infatti dire che questa “tecnica oratoria” usata dai greci è presente ancora oggi.

Anche nella vita quotidiana..
L’amico che ti fa false promesse? T’illude con le parole.
Tu stesso che menti ai tuoi cari solo per evitare guai? Li illudi con le parole.

Le parole hanno uno strano potere di riuscire a suscitare nell’uomo innumerevoli emozioni: oltre a creare inganno, illusioni e influenze positive o negative che siano, i discorsi riescono a provocare gioia, ilarità, commozione, tristezza…
Esse sono un potente mezzo indispensabile nella vita di tutti noi. Bisognerebbe solo riuscire a cogliere il significato primario e soprattutto decifrare il vero messaggio attraverso la ragione, senza farsi trascinare dalle emozioni che suscitano in noi. Il significato vero, quello primario è quello razionale.

Opinioni e verità assolute

L’uomo è misura di tutte le cose, per quello che sono così come sono e per quello che non sono così come non sono.

Così affermava Protagora, filosofo del V secolo a.C. Secondo lui, dunque, tutto è relativo: intendendo con uomo ogni singolo individuo, non vi sono opinioni giuste ed opinioni sbagliate, non esistono certezze. L’uomo è in grado di giudicare ogni cosa per come essa gli appare, poiché non possiede la capacità di definire il concetto di “verità assoluta”. Siamo tutti diversi, vediamo ogni cosa in modo diverso, e questo porta ad opinioni spesso completamente diverse, soggettive, ma in ogni caso corrette. Emozioni, gusti, sentimenti: sono tutte qualità soggettive, che possono variare da un individuo all’altro, ma che non possono essere giudicate “vere” o “false”, poiché dipendono da un personale punto di vista.

Se quest’affermazione risultasse vera, allora, come dovremmo porci di fronte alla scienza? Semplicemente, potremmo pensare alla celebre frase “la matematica non è un’ opinione”. Questa materia, che studiamo fin dalla prima elementare, consiste in una lunga lista di teoremi, dimostrazioni, postulati, regole verificate in migliaia di anni da moltissimi studiosi, e in ogni parte del mondo essa viene insegnata allo stesso modo in tutte le scuole. Questo perché i professori di matematica non potranno mai avere un’opinione personale su ciò che insegnano: due più due fa quattro, e non farà mai cinque.

Non solo in campo scientifico è possibile riscontrare verità inconfutabili. Anche nella vita di tutti giorni, magari senza accorgercene, ci troviamo davanti a situazioni  in cui i nostri pensieri e le nostre idee non vengono coinvolti; determinati contesti in cui non potranno sorgerci dubbi: il cielo è azzurro, e lo è per tutti. La pasta è un alimento, ed io non potrò mai contraddire quest’affermazione.
Vi sono cose, quindi, su cui gli uomini non potranno mai trovarsi in disaccordo, non avranno visioni differenti su determinati argomenti, non potranno dimostrare di avere ragione. Tali cose sono definite “oggettive”, e su di esse il pensiero umano non può esercitare la sua influenza. Se tutto fosse relativo, molti concetti universali perderebbero la loro veridicità. Se su determinati temi gli uomini potessero esprimere il loro dissenso o dare un personale parere, diventerebbe inutile studiare e continuare ad imparare; ogni cosa potrebbe essere messa in discussione, da chiunque e in qualunque momento.

Infine, però, bisognerebbe fare una precisazione per quanto riguarda i campi in cui il relativismo agisce. Esistono cose che dipendono dalle nostre preferenze ed influiscono esclusivamente sull’individuo stesso, come, per esempio, i nostri gusti. In questi casi, io possiedo la piena libertà di esprimere le mie opinioni e i miei pareri senza preoccuparmi di coinvolgere altre persone, di ferirle o di recarle danno. In altre situazioni, però, la nostra libertà di opinione deve essere in qualche modo frenata, poiché vi sono circostanze in cui le nostre preferenze incidono sulla vita e sull’animo altrui, come il bene e il male. Un esempio scontato potrebbe essere l’Olocausto, in cui una sola persona ha messo in atto ciò che egli riteneva più adeguato, ma che ha procurato conseguenze atroci a milioni di persone. Non è corretto lasciare ad una preferenza individuale ciò che riguarda anche altri esseri, perché la nostra libertà non ha il diritto di limitare quella altrui.

Il “vero” e il “falso” esistono in particolari circostanze. Il relativismo, dunque, può essere applicato solo in determinati campi, quando un fattore viene percepito in maniera differente da ogni individuo; quando non è possibile parlare di “verità assoluta”; quando vengono coinvolte le nostre sensazioni e, inoltre, quando nessuno viene toccato dalle nostre scelte.

Protagora e il relativismo.

Protagora fu uno degli esponenti più alti del movimento sofista ed anche un innovatore:contribuì a  spostare l’attenzione  della filosofia dall’ambito naturalistico a quello umano. In fondo aprì la via persino a Socrate.

Protagora era un relativista. Affermava cioè che non esiste la possibilità di stabilire verità o valori assoluti, perché ogni affermazione è relativa al contesto in cui viene detta.

Io una volta appresa questa cosa ci ho riflettuto cercando di trovare qualche verità o postulato indiscutibili e confutare il relativismo. Mi è venuto in mente quasi subito l’esempio della matematica, con tanto di postulati geometrici. La matematica è senza dubbio indiscutibile e bisogna considerarla così com’è. Tuttavia oltre all’esempio della matematica sono riuscito a trovarne un altro: la capacità di pensiero. Io,uomo, sono capace di pensare e di riflettere e non si può smentire una tale affermazione! E’ probabilmente la verità più assoluta di tutte e,forse, quella più basilare.

Chi, come Protagora, afferma che non esiste né vero né falso, dal mio punto di vista, sbaglia: è vero o falso che io essere umano sono in grado di pensare? È vero o falso che la matematica non è un’opinione bensì una verità inconfutabile?

Posso quindi concludere che il relativismo di Protagora non è inconfutabile come può sembrare all’inizio, sono d’accordo sul fatto che molte verità che oggi sono considerate assolute, non è detto che lo siano realmente, tuttavia non condivido l’affermazione che tutte le verità assolute non esistano. Per me la differenza tra vero e falso c’è e non è discutibile. Al contrario si può mettere facilmente in dubbio il concetto di pretendere di poter confutare qualsiasi verità. Ciò che voglio dire è che non tutto è giudicabile e che anche i più sapienti uomini non sempre hanno ragione.

Platone e la dialettica

Platone
Platone

La dialettica è per Platone la tecnica propria della filosofia, tant’è vero che egli è generalmente considerato il padre della dialettica. Il termine identifica un metodo discorsivo, cioè fondato sull’uso di concetti, parole e  proposizioni in cui le idee vengono spiegate mettendole in relazione le une con le altre. Quando descriviamo una cosa con le parole, infatti, non facciamo altro che mettere in relazione questa cosa con le altre, individuando che cosa di essa può essere detto e che cosa no. Per capire meglio questo concetto si può far riferimento ad un semplice esempio: vogliamo sapere che cos è la giustizia; il metodo da seguire per arrivare a rispondere a questo quesito, seguendo la definizione del termine “dialettica”, consisterà nel mettere in relazione l’idea di giustizia “in negativo” con le cose che non è, poi in “positivo” con le cose che è. Nel primo caso troveremo, ad esempio, che la giustizia non è empia, nel senso che una definizione di giustizia compatibile con il fatto che un uomo giusto sia anche empio non è possibile. Mentre nel secondo caso troveremo che la giustizia è “coraggiosa”, nel senso che una definizione di giustizia compatibile con il fatto che un uomo giusto non sia coraggioso non può essere corretta. In sintesi la dialettica è, nella sua essenza, l’arte di riunire (quindi l’analisi) e dividere (la sintesi), di collegare organicamente, in base a precisi rapporti ciò che è relativamente unitario a ciò che è relativamente molteplice, ciò che è relativamente universale a ciò che è relativamente particolare. Detto questo possiamo giungere alla conclusione che la dialettica di Platone è suddivisa in due tipi: la dialettica come confutazione e la dialettica come unificazione e divisione. Per quanto riguarda la prima, sappiamo che Platone parla della dialettica per la prima volta nel Menone, dove contrappone il modo di discutere e di confutare praticato dai sofisti, che mira al successo con tutti i mezzi, persino con l’imbroglio, al modo di discutere praticato tra amici, dove ciascuno difende ugualmente la propria tesi, ma solo con mezzi leciti; quindi dando risposte sincere alle domande dell’interlocutore usando solamente le premesse che questi ha concesso. Quest’ultima è la vera dialettica, l’arte di confutare sulla base delle premesse concesse dal proprio interlocutore. Sempre nello stesso testo, Platone precisa che la dialettica si serve di ipotesi, di cui ignora la verità e ne deduce le conseguenze, per giudicare in base a queste se l’ipotesi sia vera o falsa. Come si possa accertare la verità, viene detto nella Repubblica, dove Platone afferma che per arrivare al principio anipotetico, bisogna “distruggere le ipotesi” ovvero confutarle. Ciò significa che bisogna prima formulare tutte le ipotesi possibili riguardo ad un argomento, poi cercare di distruggerle tutte mediante delle confutazioni, l’ipotesi che riuscirà a resistere alle confutazione, una volta distrutte tutte le altre, sarà quella vera, cioè un principio non ipotetico. Per quanto riguarda il secondo tipo di dialettica Platone precisa ulteriormente il significato del termine, definendolo un metodo, un percorso del sapere per ricondurre ciascuna specie di cose molteplici all’unica idea a cui tutte partecipano, questa idea insieme con le altre idee del medesimo tipo all’idea superiore e più generale. Nel Fedro, infatti Platone afferma che la dialettica è l’arte di ricondurre il molteplice all’uno, o “unificazione”, e l’arte di dividere l’uno nel molteplice, o “divisione”. Nel Sofista, Platone riprende la stessa definizione, precisando che la dialettica consiste nel saper dividere per generi, scoprendo quali idee comunicano tra loro e quali non comunicano. In tal modo la dialettica si configura come una classificazione generale di tutte le idee, ovvero una scienza universale.

Idòla baconiani, realtà ancora presenti?

Gli idòla baconiani risalgono a quattrocento anni fa, ma magari, dedicandogli più attenzione, possiamo accorgerci che potrebbero anche applicarsi alla realtà odierna. Quante volte, negli ultimi tempi, sentiamo parlare di pregiudizi? Pregiudizi che si possono verificare per questioni di razzismo, pregiudizi che si possono verificare a scuola da parte di un professore nei confronti di un alunno, pregiudizi, addirittura, tra uomo e donna. Insomma, i pregiudizi sono diventati parte integrante della nostra vita, nel bene e nel male. Bacone, nel Seicento, affermava che esistevano degli errori e dei pregiudizi, chiamati appunto idòla, che celano all’uomo il vero sapere e non gli consentono una reale concezione della natura. Divide inoltre questi enti in quattro categorie:

  • Idòla tribus: pregiudizi che sono nati dalla natura stessa e che affliggono tutti gli uomini (ovvero tutta la “tribus”). Bacone afferma che tutti gli uomini indistintamente tendono a semplificare la complessità della realtà, a cercare una finalità nella natura e a concepirla solo in funzione dell’uomo, ad affidarsi all’esperienza sensibile.
  • Idòla specuspregiudizi che derivano e dipendono dalla sua educazione, dal suo stato sociale ed economico e dalle sue abitudini. Sono quindi personali, propri di ciascun individuo.
  • Idòla fori: pregiudizi derivanti dai rapporti fra gli individui e dal linguaggio con cui si comunica. Le parole alle volte significano più cose di quante se ne vorrebbe dire, altre volte sono troppo poco significanti, e pertanto comportano possibili errori d’interpretazione.
  • Idòla theatripregiudizi causati dalle teorie filosofiche precedenti a quella baconiana che hanno diffuso falsi sistemi.

Per Bacone sono queste le cause della lontananza dell’uomo dalla verità, dalla vera conoscenza della realtà e della natura. Per Bacone sono queste le cause degli errori dell’uomo nel percepire la realtà. E noi? Noi quando sbagliamo? Quando commettiamo errori rispetto alla realtà che ci circonda o rispetto alle persone che incontriamo? Spesso, direi. Molte volte sbagliamo nel giudicare o nel valutare una persona come spesso ci sbagliamo quando parliamo. Ora, il mio obiettivo in questo articolo era dimostrare che gli idòla possono essere ancora riconosciuti in una società che noi denominiamo “moderna”. La categoria di idòla che mi sembra più direttamente riconducibile alla nostra realtà è quella degli idòla specus. Essi, infatti, come abbiamo detto, derivano dal nostro modo di essere e dalla nostra educazione. L’esempio più banale ma anche il più diretto che si può individuare sono i nostri pregiudizi riguardo una cultura diversa. Il nostro spontaneo distacco provocato dalla paura della diversità è proprio dovuto alle nostre origini culturali e perciò alla nostra educazione. Un altro esempio che si può ricollegare a questo tipo di idòla è il modo in cui noi, trovandoci davanti una persona diversa da noi, anche solo caratterialmente, cerchiamo di proiettare su di essa il modo in cui noi siamo fatti, il nostro modo di pensare, senza essere nemmeno minimamente obiettivi o aperti nei confronti della persona con cui ci rapportiamo.
Anche molti dei nostri amati proverbi non fanno altro che danneggiarci; ad esempio: “chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia, non sa quel che trova”, proposizione che esorta a non progredire, che ci tiene fermi dove siamo giunti e non ci esorta a cercare, a documentarci, a interessarci. Appare molto evidente come questo proverbio contenga conclusioni sbagliate eppure noi ci ostiniamo a ripeterli diligentemente ad alta voce. Non dovremmo forse renderci conto che Bacone, già quattrocento anni fa, aveva previsto e commentato quello che sarebbe stato il nostro modo di fare? Non siamo forse un pò troppo prevedibili? Sì, non siamo abbastanza abili da cambiare un modo di essere che già caratterizzava l’uomo del Seicento.

Beatrice Bonelli

Francis Bacon
Francis Bacon

Sapere di non sapere

“Io so di non sapere”.

Questa frase è del famoso filosofo Socrate, processato e condannato a morte, con l’accusa di corrompere i giovani e di introdurre nuove divinità in luogo di quelle tradizionali.

Socrate viene definito il più sapiente dall’oracolo di Delfi ed egli, incredulo, inizia ad indagare. Pone domande a tutti coloro che venivano reputati sapienti. Si rende conto che nessuno veramente sa e quindi, sapendo di essere ignorante come loro, ma ammettendo di non sapere, può essere considerato più sapiente degli altri, che invece credevano di sapere.

Il sapere è qualcosa di infinito. Per questo, chi sa di non sapere tutto e riconosce i propri limiti, ammette di essere umano.

Sono d’accordo con Socrate sul fatto che parte della verità va ricercata all’interno di noi stessi, senza presunzione di conoscere. Ci sono molte domande a cui nessuno è riuscito a rispondere e ci sono verità ovvie, come quelle di fatto, che tutti sono in grado di riconoscere.
Le domande più difficili, quelle a cui non troviamo risposte condivise, riguardano il bene ed il male, il giusto e l’ingiusto.

Socrate cerca queste risposte attraverso il dialogo, con molta pazienza, senza aver la pretesa di sapere tutto subito.

Socrate, Platone e Protagora: tanto diversi e tanto uguali

Per i sofisti la verità è qualcosa di relativo, particolarmente per Protagora consiste nell’utile, per quanto non nell’utilitaristico e tanto meno nel vantaggio particolaristico; per Socrate la verità è la ricerca della verità; per Platone è un possesso dell’anima.
Si può dunque affermare che il precetto socratico «conosci te stesso» sia una conseguenza della formula di Protagora che riassume la teoria sofistica nell’uomo «misura di tutte le cose»: «il giudizio umano possiede un diritto di legislazione universale; il suo compito è quello di rimettere in questione tutto ciò che sembrava non porre problemi, di rifiutare l’evidenza che è soltanto apparenza». La verità non si basa su dogmatismi, ma si trova nella sua ricerca stessa.
C’è nei sofisti «l’aspirazione a un umanesimo totale perché niente di umano è loro estraneo» e «il relativismo che si è rimproverato loro non è che il rovescio o la contropartita del loro universalismo: la realtà umana, somma di tutti i suoi aspetti, può essere conosciuta solo attraverso lo studio del presente e del passato, del qui e dell’altrove».
Con Platone, invece, «la trascendenza riprende tutti i suoi diritti» e «sarà il punto di riferimento di tutti i misticismi» registrabili dopo il III sec. a. C. e soprattutto nell’era cristiana; cioè delle forze irrazionali contrapposte e intrecciate al razionalismo greco. Per la ragione greca (il logos solo schematicamente opposto al mythos, ma in realtà legato ad esso) la terra dipende dalle leggi del cielo, ma esso «è la patria delle rappresentazioni mitiche»: sede di una «surrealtà trascendente». Infatti, «fino a Newton compreso, la teoria fisica non è esente da presupposti ontologici» e «la scienza più perfettamente razionale si vuole in comunione con l’autorità trascendente»

Se nel complesso «ricerca della verità» si accentua l’aspetto di ricerca mai conclusa e mai concludibile, affermo che la verità (oggetto della ricerca) non è raggiungibile in assoluto per l’uomo. Si sta, allora, dando particolare rilievo all’umano, si sta cioè dicendo che carattere proprio dell’umano è la ricerca.
Se, invece, si accentua il secondo termine, la verità, si cristallizza la ricerca nel suo obiettivo, l’umano nell’anima, il mondo umano nell’Iperuranio, e si trasforma l’arte maieutica in possesso di conoscenze metafisiche da parte dell’anima che le richiama a sé nella memoria.

Questa è una mia piccola riflessione su due famosissimi filosofi e un altrettanto famoso sofista. Per i dubbi e le domande su questo post siete invitati a commentare. Grazie e al prossimo post.

Lucio Battisti : Hegel

29 settembre 1994, Lucio Battisti pubblica l’album Hegel.

Ecco il testo della canzone che dà il titolo all’intero album:

Ricordo il suo bel nome: Hegel Tubinga
ed io avrei masticato
la sua tuta da ginnastica.
Il nome se lo prese in prestito dai libri
e fu come copiare di nascosto,
fu come soffiare sul fuoco.
Cataste scolastiche: perché?
Quando tutto è perduto non resta che la cenere e l’amore;
e lei nel suo bel nome era una Jena.
Chi di noi il governato e chi il governatore
son fatti che attengono alla storia.
Chi fosse la provincia e chi l’impero
non è il punto:
il punto era l’incendio.
Erano gli esercizi obbligatori estetici,
le occhiate di traverso, e tu guardavi indietro;
c’eravamo capiti, capiti all’inverso.
Ci diventammo leciti per questo.
D’altronde, d’altro canto.
A volte essere nemici facilita.
Piacersi è così inutile.
Un bacio dai bei modi grossolani
sfuggì come uno schiaffo senza mani.
Talmente presi ci si rese conto
d’essere un’allegoria soltanto quando
ci capitò di dire, indicando il soffitto col naso,
di dire “Noi due” e ci marmorizzammo.
La corda tesa, amò l’arco
e la tempesta la schiuma,
il cuore amò se stesso,
ma noi non divagammo.
L’animo umano è nulla se non è
una pietra da scalfire ricavando
i capelli e il suo bel piede.
Era la collisione, il primo scontro epico,
perché non scritto ma cavalcato a pelo,
ed ognuno esigeva
la terra dell’altro,
le mani, la terra, la carne, il terreno.

Ecco il video:

E qualche nota di spiegazione.

Astruserie?

Galileo Galilei: La matematica basta per capire la natura?

Frontespizio dell'edizione originale de Il Saggiatore


Galileo Galilei, nato a Pisa il 15 febbraio 1564 e morto l’8 gennaio del 1642, visse durante il pieno Rinascimento italiano e fu uno tra i più importanti astronomi e matematici di tutti i tempi.
Infatti è proprio grazie a lui che oggi possediamo opere di immenso valore scientifico, e strumenti (come ad esempio il cannocchiale) che ancora oggi vengono usati per contemplare il mondo terrestre ed extraterrestre.

Tra le sue opere più significative ritroviamo certamente Il Saggiatore, pubblicato nel 1623. Quest’opera nacque grazie alla volontà di Galileo di confutare la tesi del matematico gesuita Orazio Grassi, secondo la quale le comete sono veri e proprio corpi celesti, affermando invece che esse, avendo la stessa natura dei raggi solari, sono puri effetti ottici. Tuttavia non è significativa per lo scopo per la quale venne scritta, ma lo è perché riporta due delle maggiori convinzioni filosofiche di Galileo:

  1. Il concetto di qualità primarie e secondarie e del corpuscolarismo
  2. Il concetto dell’ordine geometrico della natura

La prima è volta a distinguere le qualità primarie da quelle secondarie. Secondo Galileo il concetto di materia, implica quelli di figura, di relazione con altri corpi, di staticità (o movimento) e di esistenza, ma non implica affatto quelli di colore, suono, sapore e odore, dovuti, infatti, solo alla presenza dei sensi; suoni, sapori, odori e colori vengono pertanto considerati soltanto dei nomi e non delle qualità dovute alla pura esistenza del corpo, ma dovute ad altro, quindi le definisce qualità secondarie. Invece definisce qualità primarie solamente quelle che si ritrovano nei corpi indipendentemente dai sensi.
Galileo esemplifica questa sua teoria facendo l’esempio di una mano che si muove su un corpo di marmo o su un corpo umano: il movimento (qualità primaria) non cambia se la “destinazione” cambia, invece le sensazioni (qualità secondarie), che si provano se la mano passa su determinate parti del corpo o su altre, cambia tanto che se tocca zone maggiormente sensibili si avverte, oltre alla sensazione di essere toccati, anche una nuova sensazione, che noi denominiamo solletico, di conseguenza il risultato muta a seconda della “destinazione” che gli viene data. Inoltre afferma che la causa di queste sensazioni è la presenza di un grandissimo numero di corpuscoli piccolissimi, che possiedono a loro volta une figura e una velocità determinate. Con ciò vuole quindi affermare che il mondo reale è soltanto un insieme di minuscoli corpuscoli misurabili. È proprio il sapere scientifico, secondo Galileo, l’unico elemento capace di distinguere le qualità primarie da quelle secondarie.

Il secondo concetto afferma invece che la natura ha intrinsecamente un ordine ed una struttura armonica di tipo geometrico. Galileo è infatti convinto che bisogna conoscere l’arte matematica per poter comprendere a fondo la natura.

Dal fatto che il Saggiatore, pur essendo una delle opere maggiormente filosofiche di Galileo, è comunque caratterizzata da una tendenza per le scienze, si può facilmente capire la sua indole filo-matematica, grazie alla quale riuscì a mettere il terreno per le successive scoperte astronomiche di Keplero.

Concordo pienamente con le tesi di Galileo. Infatti la natura è evidentemente dominata dalle leggi matematiche, tanto che molti corpi naturali (come ad esempio le foglie sui rami di un albero, il corpo umano stesso, o anche i petali dei girasoli) sono stati “creati” in sezione aurea. Questo non è sicuramente un caso, perché dubito fortemente che accidentalmente solo parte della natura sia dominata da leggi matematiche infatti, se sappiamo che gran parte della natura è certamente dominata da esse allora, anche il resto lo è; è quindi solo grazie alle leggi matematiche che possiamo decifrare e conoscere a fondo tutta la natura. Infatti come è impossibile decifrare un libro in latino senza conoscere la lingua, così è impossibile capire a fondo la natura senza conoscere la matematica, che è la “lingua” usata per “scrivere” il “libro” della natura. Per capire a fondo però il significato del libro bisogna anche conoscere la storia dell’ “autore”, ma essendo nel caso della natura un autore appartenente ad essa, per capire questo autore si ritorna alle leggi matematiche usate per capire la natura stessa. Da ciò si può facilmente capire che la matematica è sufficiente a spiegare le leggi naturali.

L’arte di “fare uno e molti”

La dialettica, dice Platone, è il metodo supremo per fare filosofia: ci consente di raggiungere la verità o l’idea. Per avvicinarci alla verità possiamo prima di tutto escludere tutte le ipotesi false: questo procedimento prende il nome di confutazione. Se in Socrate la dialettica come confutazione si fermava proprio alla confutazione di coloro che si credevano sapienti ma non lo erano, in Platone essa diventa strumento di conoscenza. E come può la semplice confutazione arrivare ad un vero e proprio sapere? Per Platone basta confutare tutte le ipotesi possibili: quella che rimarrà, che avrà resistito ad ogni confutazione, è quella vera e dimostrata. Ma a me non sembra così semplice: magari noi non siamo riusciti a confutarla, ma in seguito ci riuscirà qualcun’altro. Nello stesso modo il punto critico ed il passo falso del ragionamento di Platone stanno nel fatto che la soluzione potrebbe trovarsi in un’ipotesi a cui non ho pensato.

Come faccio invece a confutare tutte le ipotesi, per raggiungere quella anipotetica? Semplice: dimostrando che le conseguenze che ne derivano sono in contraddizione tra loro. Il “principio di non contraddizione” su cui Platone si basava arrivava infatti alla conclusione che se un’ipotesi dà origine a conseguenze contraddittorie (rispetto a quelle tangibili della realtà sensibile), l’ipotesi sarà falsa. Oppure, se ho due ipotesi contraddittorie fra loro: o è vera l’una o è vera l’altra! Prendiamo un esempio: “Soltanto qualche mio amico gioca a calcio” e “Tutti i miei amici giocano a calcio”; direte voi, o tutti i miei amici giocano a calcio o solo qualcuno: non possono essere vere entrambe! Ma Platone non era stato il primo a comprendere che dimostrando l’assurdità di una tesi si arrivava implicitamente alla veridicità della tesi opposta. Anche Zenone, seguace di Parmenide, c’era arrivato: ma questo “padre della dialettica” pretendeva di difendere con il metodo della confutazione il suo maestro, che di non essere proprio non voleva sentir parlare!

Ma la dialettica diventa anche essenziale strumento della filosofia per un altro motivo: come la filosofia è una “scienza universale”, che cerca quindi di occuparsi di tutta la realtà nel suo complesso, così anche la dialettica è l’arte dell’unire e del dividere. È quella “scienza” che unisce le “cose molteplici” sotto un’unica idea e nello stesso tempo quella che divide queste “cose molteplici” da quelle che non partecipano all’idea. Per esempio: l’idea della bellezza riunisce in sé tutte le “cose belle”, che sono a loro volta separate, divise, dalle cose “non belle” che non partecipano all’idea di bellezza.

In breve: la dialettica è quello strumento che ci consente di arrivare alla verità, pura e assoluta, che non si serve di presupposti, ma arriva a dimostrarli. E fa questo attraverso la confutazione, perché prima di arrivare alla verità devi attraversare le lunghe strade delle menzogne (Rachid Ouala).