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Grandine

In un piccolo paesino a Sud di Atene viveva Chalaza, una bellissima ragazza. Ella passava le giornate a guardarsi allo specchio e a pettinarsi i capelli con la spazzola.
Chalaza aveva una coperta speciale. Era un regalo dei suoi genitori; era azzurra, e quando sua mamma gli e la regalò, le disse: «Tieni Chalaza, il mantello azzurro del sole, custodiscilo con cautela, è un regalo speciale» . A Chalaza quella coperta stava troppo a cuore, e quando aveva freddo, se la buttava sulle spalle e stava al calduccio, certe volte, per non fare brutta figura, si metteva sopra un altro mantello, oppure, quando aveva caldo, lo appallottolava e se lo metteva nella tasca, senza farsi vedere.
Ma Chalaza aveva un difetto, era presuntuosa e credeva di essere la piu bella tra tutte le fanciulle. Un giorno, giunse in paese Clarissa, una splendida ragazza dell’Est. Tutti cadevano ai suoi piedi: era davvero la piu bella tra tutte le fanciulle.
Chalaza vedendo tutti i ragazzi più belli che appena la vedevano se ne innamoravano, venne colta dalla gelosia e, quando si fece sera, entrò nella sua stanza e le puntò un pugnale  dritto nel cuore. Poi scappò e non si fece più vedere. Zeus, vedendo tutto dall’alto, pensò di punire Chalaza, la portò con se sull’ Olimpo e le tolse la sua amata coperta.

Senza la coperta Chalaza si sente al freddo e, nei giorni gelati, quando la temperatura cala di tanti gradi, Chalaza è cosi gelata che piange pezzettini di ghiaccio che paiomo cristalli, belli e maestosi come lei.

Simone Caronni-Davide Storelli-Grillo Federico

grandine

Il Mito

La parola “Mito” significa “racconto”: un racconto fantastico che ha lo scopo di spiegare com’è iniziato il mondo e come si è evoluto con il passare del tempo.
Narra in genere di Dei che attraverso diverse azioni hanno formato gli astri, il cielo, la terra, gli oceani, le montagne o di eroi che hanno formato le società civili.

Nasce dal bisogno dell’uomo di rispondere a domandeprofonde (“chi sono?, cosa ci faccio qui? qual’è lo scopo della mia esistenza?”), ma anche per soddisfare bisogni religiosi ed esigenze morali. L’uomo, non conoscendo le leggi della natura che lo circonda, per evitare di perdersi e cadere vittima della paura della sua esistenza e dei misteri della vita, crea i miti con i quali si costruisce un senso della realtà, dà un significato a ciò che lo circonda e trova qualcosa in cui credere che possa dargli sicurezza nell’affrontare i dilemmi della vita.

Prima della filosofia c’erano i miti. I miti non venivano discussi come si fa con la filosofia, ma venivano ascoltati e tramandati. Con questi si tentava di dare una spiegazione agli eventi naturali e a superare la paura della morte.
La filosofia ha il compito di sostituire i miti creati dalla fantasia per creare teorie più credibili e ragionevoli. Il mito fa sì che l’uomo creda in un essere soprannaturale che protegge gli uomini e promette loro un’esistenza dopo la morte (questo perché così l’uomo si sente più sicuro e non ha più paura del mondo). Invece la filosofia, come la scienza, cerca di spiegare la natura usando la ragione.

Alcuni miti potrebbero essere spiegazioni fantastiche di eventi realmente accaduti. In ogni antica cultura, dall’America all’estremo oriente sono stati scoperti miti molto simili. Un esempio è il mito del diluvio universale, ritrovato in 64 culture differenti, e anche tra popoli che non hanno mai avuto un contatto tra loro come i sumeri e i maya o gli arabi e i nativi delle Hawaii.
Attraverso i miti, inoltre, si può capire come era impostata la mentalità di diversi popoli, ovvero vedere e capire con quale spirito affrontavano il mondo e la natura circostante.

Il diluvio - miniatura

La parola come arma

Gorgia

La parola, arma più pericolosa? Come affermazione pare esagerata, eppure proprio di questo era convinto il filosofo Gorgia. Attraverso un discorso ben costruito da una persona capace, si può convincere che è giusto ciò che sembra sbagliato e che è sbagliato ciò che sembra giusto. Non ha valore il contenuto in sè, ma solo l’abilità che ciascuno di noi ha di persuadere la gente. E i più bravi in questo, sempre secondo l’opinione di Gorgia, sono i sofisti.

Però, la mia mente (come penso quella di chiunque altro) ad un’affermazione del genere si ribella. Possibile che non abbia valore ciò che diciamo, ma solo come lo diciamo? Un sofista, o chiunque sappia essere carismatico, con il suo discorso ci ha quindi in pugno, ci domina. Non nego l’importanza del saper parlare: le stesse argomentazioni presentate attraverso parole diverse possono essere più o meno convincenti e suscitare emozioni differenti in chi le ascolta. Ma da questo al dire che la sola e unica cosa che conta è il come ci si esprime, di strada ce ne vuole. Se davanti a noi c’è una persona priva di qualsiasi spirito critico, pronta a farsi soggiogare dalla magia delle parole, allora si può dire che Gorgia ha ragione. Ma la realtà è un po’ diversa. Ogni uomo ha le sue opinioni, che non possono essere annullate dall'”incantesimo” di cui secondo Gorgia potremmo essere vittime. Un uomo carismatico rende le sue argomentazioni più persuasive di un uomo che fatica ad esprimersi, può farle sembrare inconfutabili, ma se ciò che dice il primo uomo va contro la nostra morale o le nostre convinzioni non è pensabile che muteremo la nostra idea senza rifletterci. Un esempio che potrebbe appoggiare il principio e la posizione di Gorgia è quello di Hilter, che non si è imposto sulla scena politica solo con la forza: è stato eletto dal popolo tedesco. Il popolo non ha saputo vedere ciò che si nascondeva dietro le parole di Hitler e, senza porsi troppe domande, ha seguito il suo percorso; si è affidato alla magia che le sue parole sapevano provocare.
C’è una cosa però su cui mi trovo d’accordo con Gorgia: ciò che fa la differenza è la conoscenza. Se non si conosce si è più disposti a credere all’opinione altrui, che può essere ingannevole e illusoria. Invece, il “sapere” consente di farsi un’idea su una questione e di trovare delle argomentazioni per confutare il discorso persuasivo che tenta di ingannarci o per sostenere la nostra opinione.

E poi, se Gorgia fosse stato davvero così in gamba come diceva nel persuadere la gente attraverso le parole, ora io non sarei contraria a ciò che lui dice, no?

La relatività del relativismo

Protagora (al centro) insieme a Democrito (seduto a sinistra)
Salvator Rosa – Protagora (al centro) insieme a Democrito (seduto a sinistra)

Celebre la massima di Protagora: “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono”. Ogni uomo ha la sua concezione della verità, conforme alla società in cui vive e alle sue condizioni intellettuali e fisiche. Dunque, tutto è relativo.
Protagora ha fatto sorgere in me molti dubbi. Così ho cercato di riflettere. Se tutto è relativo, infatti, non esiste il vero, ma se non esiste il vero, su cosa fondiamo le nostre scelte?
Protagora sostiene che esse possono esser basate sul criterio dell’utile per cui scelgo ciò che mi fa stare meglio, ma, anche in questo caso sorgono spontanee altre molteplici domande: come faccio a sapere che cos’è meglio? E soprattutto, siamo sicuri che ciò che è meglio per me lo sia anche per gli altri? E in che misura conta ciò che è meglio per me e in quale ciò che è meglio per gli altri? Posso sempre fare ciò che è più comodo a me e trascurare ciò che è comodo agli altri? E infine, anche volendo scegliere ciò che è meglio per la maggioranza, cosa mi dice che non sia la maggioranza a sbagliare, o meglio, cosa mi dice che la maggioranza non sia stata in realtà influenzata e portata a fare una determinata scelta perché manipolata? Quindi scegliere “cosa è meglio” è più difficile del previsto. L’uomo infatti, di fronte a una scelta, deve cercare di capire quale delle due opzioni gli permetterebbe di vivere in maniera migliore, ma ciò potrebbe andare contro il “vivere bene” degli altri. Si potrebbe pensare che in fondo questo non sia molto importante e che, se ognuno punta al proprio bene il problema è risolto. Ma dato che noi essere umani viviamo continuamente in relazione con gli altri e ci differenziamo come tali proprio grazie al fatto che comunichiamo tra di noi, allora forse riuscire a vivere bene non è molto diverso da far vivere bene gli altri. Il criterio dell’utile quindi spesso non è sufficiente al fine di fare una scelta e qualche volta può essere necessario ricercare qualcosa di più attendibile e condivisibile da tutti, insomma, in alcuni casi è indispensabile, almeno a mio parere, andare a cercare qualcosa che vada oltre l’opinione e si avvicini a una verità che Protagora sostiene non esista. Per capirci: come può essere affare individuale, qualcosa che incide sulla relazione con gli altri?
E ancora, Protagora sostiene che tutto è vero. Ma nel momento in cui tutto è vero, il vero perde il suo significato, in quanto esso esiste solo in contrapposizione al falso ed è quindi più corretto dire che per Protagora non esiste né un vero né un falso, ma solo punti di vista. Io non credo che ciò sia vero.
Prima di tutto, infatti, se diciamo che “tutto è relativo” automaticamente stiamo assumendo la relatività come verità, pertanto bisogna partire dal presupposto che anche la relatività sia un concetto relativo e possa essere messa quindi in discussione.
La vita è sicuramente piena di incertezze, l’uomo, non è in grado di conoscere e sapere tutto. Ci sono cose infatti che vanno oltre la sua capacità di ragionamento e non possono essere comprese, come la sua stessa funzione di uomo, il suo destino e la sua origine. Ma affermare che esistono concetti alla cui verità nessun uomo può aspirare, per cui esistono solo opinioni “relative” non solo è diverso dal “negare” una verità, ma è diverso anche dal sostenere che non esista “nessuna” verità oggettiva. Penso inoltre che se una verità è irraggiungibile dall’uomo, allora forse non è poi così importante discutere sulla sua relatività. Per esprimere meglio il concetto, a mio parere è ovvio che, dal momento che la conoscenza dell’uomo è limitata, esistano situazioni in cui ci sono solo opinioni e su cui ogni uomo ha il suo modo di vedere e interpretare ciò che vede, ma, nel momento in cui questo è assodato è inutile continuare a discutere in merito a ciò e conviene cercare di andare oltre queste “verità irraggiungibili”.
È bene quindi distinguere due concetti di verità: il primo è quello di una verità incomprensibile all’essere umano, a cui egli non può avvicinarsi, mentre il secondo è quello di una verità fondata sulle certezze dell’uomo, per la quale credo sia possibile contraddire il concetto di relatività. Esistono infatti delle certezze come le scienze che non possono essere messe in discussione e alcune norme morali e comportamentali che si sono tramandate per secoli e che possono essere ormai considerate “vere” in ogni contesto. Anche se è vero quindi che in alcuni casi la relatività è indispensabile, non è possibile scegliere sempre sulla base di cosa è meglio in quanto anche cosa è meglio è relativo. Ci sono situazioni che, nonostante siano considerate normali e radicate in una determinata cultura sono “oggettivamente” immorali e quindi sbagliate. L’uomo non deve quindi andare alla continua ricerca delle verità che non può raggiungere ma, nel momento in cui deve prendere una decisione è importante che si chieda non solo cosa sia “meglio” ma anche cosa sia “giusto”.

Mito e realtà

Il mito è un racconto in cui vengono narrate le gesta di dei ed eroi leggendari. Questo serve a rispondere in modo simbolico a diverse domande che l’uomo si pone, come ad esempio le origini del mondo, dell’umanità, di un popolo, ma è anche un modo per descrivere la realtà, ad esempio i fenomeni atmosferici. Infatti, per l’uomo primitivo, la natura, la vita, la morte e tutto ciò che lo circondava, apparivano come una serie di eventi senza senso e il mito era quindi un modo per aiutare a conoscere la realtà.

Sono molti i miti che si sono formati prima dell’invenzione della scrittura, e che sono simili tra loro, pur appartenendo a diversi popoli geograficamente collocati in luoghi differenti. Ad esempio, in alcuni miti dell’America si raccontano storie simili a quelle di altri miti dell’Asia, dell’Africa o dell’Europa; cambiano diversi fattori, cambiano alcuni particolari ma l’intreccio e il significato delle storie restano gli stessi.
Uno dei miti che è stato riscontrato in molte civiltà è quello del diluvio universale. Però il mito non va confuso con altre narrazioni quali la leggenda morale, la favola sentimentale, l’episodio storico romanzato o favole su terre felici, in quanto essi divennero “istituzioni” religiose fondamentali: il loro contenuto era perciò condiviso e ritenuto importante da tutti, soprattutto durante la civiltà greca e quella romana, sotto cui si riscontra un congruo numero di miti, alcuni molto simili tra loro, in quanto, oltre a ciò che viene detto prima, la religione greca era stata “inglobata” da quella romana.

Penso che il mito sia una forma di spiegazione che gli uomini dei tempi antichi usavano per capire alcuni fenomeni che allora erano inspiegabili, di cui una parte sono oggi stati “spiegati” grazie al progresso scientifico, come ad esempio fenomeni naturali; infatti è un mezzo per arrivare a una conoscenza superiore di sé e della realtà.

Cosa è il mito?

Il mito è un racconto, spesso dominato dal pensiero magico, inventato soprattutto nell’antichità, per chiarire dei fatti a cui non si riusciva a dare una spiegazione.
I protagonisti di questi racconti sono persone con poteri soprannaturali per esempio degli dei, che la maggior parte delle volte hanno sembianze umane.
I miti possono riguardare parecchie cose, come la creazione del mondo, la nascita degli dei, l’origine di una realtà naturale (come la vita e la morte), inoltre ci sono i cosiddetti miti storici che hanno il ruolo di definire le origini di una civiltà o di una famiglia (come per esempio il mito di Enea).
Esistono anche miti di carattere filosofico come il mito di Er (Platone), ma, in generale, il mito è diverso dal pensiero filosofico. La filosofia procede con argomenti razionali, mentre il mito accoglie spunti fantastici.
Bisogna fare attenzione a non confondere la parola mito con favola, infatti i due termini sono molto diversi, il primo ha un’impronta sacrale, esso deve essere considerato come verità, il secondo invece è presentato come un racconto di pura fantasia.

Enea vince Turno in un dipinto di Luca Giordano
Enea vince Turno in un dipinto di Luca Giordano

Il mito…

Per comprendere che cos’è un mito abbiamo preso spunto da una frase citata da Mircea Eliade, scrittore rumeno autore di diversi libri:

Il mito è un testo sacro; si riferisce ad un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle origini. È dunque sempre il racconto di una “creazione”: si narra come qualcosa è stato prodotto, come ha cominciato a essere.

Ritratto di Mircea Eliade (1907-1986) su un francobollo moldavo
Ritratto di Mircea Eliade (1907-1986) su un francobollo moldavo

Un esempio di mito che riguarda la creazione è quello in cui si narra che Dio, in sette giorni, creò il nostro pianeta: dal cielo alla terra, dagli animali agli uomini, dal buio alla luce. Tutto in sei giorni ed infine al settimo giorno si riposò. Continua la lettura di Il mito…

La storia del Silenzio

Forse nessuno sa la vera origine del silenzio.
La storia risale ad un tempo remoto. È ambientata in una terra quieta e desolata, in un punto che su qualsiasi carta d’oggi non si trova.
In questa terra si trovava un piccolo villaggio dove la vita trascorreva tranquillamente sotto l’attenta guida di un vigoroso capo di nome Silente.
Il capovillaggio aveva una figlia di nome Janira. La fanciulla frequentava segretamente un contadino. I due erano innamorati e avrebbero voluto sposarsi. Purtroppo i due innamorati non sapevano che il matrimonio della ragazza era stato concordato già dal tempo della sua nascita con il figlio di un ricco mercante del villaggio.
Quando Janira scoprì di essere stata data in sposa senza che il padre le avesse mai detto niente, in segno di protesta, decise di smettere di rivolgere la parola a chiunque se non al suo amato contadino. Tuttavia il suo amato disapprovava la scelta della ragazza: l’amava davvero e, proprio per questo, pensava che il matrimonio con un ricco fosse il meglio per lei. Così chiuse ogni rapporto con lei.
Il comportamento del contadino spezzò il cuore di Janira che decise come gesto estremo di togliersi la vita impiccandosi. Il padre Silente vedendo a cosa era arrivata la figlia a causa sua decise di imporre al suo villaggio un silenzio eterno, dove ogni rumore, voce o suono erano proibiti. Poi, per punirsi, il capovillaggio si fece tagliare la lingua e l’urlo del suo dolore fu l’ultimo rumore che si udì in quel villaggio.

Emanuele Paolini Luca Carluccio