Elenco qui sotto alcune citazioni del filosofo Gorgia, che mi hanno particolarmente colpito:
“La parola ha la virtù di stroncare la paura, di rimuovere la sofferenza, di infondere gioia, d’intensificare la commozione”
“L’anima viene tutta presa nell’irresistibile magia del discorso”
” …della parola si sono ricavate due arti, quella di traviare la mente e l’altra di ingannare l’opinione pubblica”
“La parola, che appunto convince, costringe la mente che ha convinta, tanto a lasciarsi sedurre da ciò che viene detto, quanto ad approvare ciò che viene fatto”
“… le parole: alcune affliggono, altre dilettano, altre incutono terrore, altre infiammano chi ascolta, altre infine stregano e avvelenano l’anima, con i poteri della persuasione maligna”
Tutte queste affermazioni sono incentrate sul grande potere che ha il discorso, la parola.
Affascinante: il primo approccio della filosofia è molto istruttivo in quanto ci fa riflettere sul vero senso della parola.
Per il filosofo dunque la parola è lo strumento con cui si trasmettono le emozioni e con cui si può fare del bene e del male; è il mezzo con cui si può ingannare la gente, con cui si può modificare la verità a proprio vantaggio e con cui si può influenzare la mente altrui. Ciò mi ha obbligato a fermarmi un attimo a pensare, a dare una risposta affermativa alle seguenti domande:
quante volte dopo aver ascoltato un discorso o anche semplicemente una notizia abbiamo cambiato stato d’animo?
quante volte siamo stati affascinati dalle belle parole di qualcuno e siamo stati convinti che quello che stava dicendo fosse vero, anche se magari non lo era?
quante volte capita che noi crediamo in qualcosa e grazie a un discorso veniamo influenzati e cambiamo opinione?
Posso perciò dire che la filosofia ci permette di mettere a fuoco cose che sappiamo, ma sulle quali non ci siamo mai fermati a riflettere veramente. Addirittura possiamo trarne anche degli insegnamenti, delle massime di vita: in questo caso mi sono convinta che la parola fa parte di ciò che abbiamo veramente di nostro. Con la parola concretizziamo idee, creiamo discorsi, definiamo caratteri di persone, insomma pensiamo e comunichiamo. Per Gorgia la parola non esprime la realtà, ma conta solo per l’effetto che fa. Io non sono d’accordo perché la parola è efficacie se richiama qualcosa di reale. La forza della parola non sta solo nei suoni, sta soprattutto nei significati. Dobbiamo però farne buon uso, perché molte volte con essa possiamo fare errori, come ad esempio dire cose che forse non pensiamo realmente, ferendo così anime di persone che non ci hanno fatto nulla. Dobbiamo riuscire a controllare le nostre emozioni e non trasformarle subito in parole! Credo quindi che la parola sia molto importante e utile, però quando siamo consapevoli del significato che le attribuiamo.
E allora, lo ripeto, non sono d’accordo con Gorgia. Per lui la parola serve ad avere la meglio sugli altri, ma può essere usata per questo soltanto grazie al significato che le dà forza. Ecco, questo è importante: la parola comunica, trasmette significati. Solo grazie ai significati può far leva su sentimenti ed emozioni, ma i significati sono prima di tutto al servizio della ragione e la ragione libera, non rende schiavi.
Ciao a tutti, era tantissimo che non passavo di qui, e da più di due anni non scrivo. E pensare che anche l’ultimo giorno dell’ultimo anno di scuola mi ero preso la briga di fare un post semi-polemico sulla chiusura anticipata delle scuole in Luini. Molte cose sono cambiate, e la stragrande maggioranza delle persone che legge e scrive su questo blog probabilmente neanche sa, o si ricorda di me (il Preside credo proprio di sì…). Volevo fare un appello ai ragazzi, prima ancora che ai Professori: fate vivere questo blog, intavolate discussioni, su qualunque argomento, coinvolgete chi non lo usa. È vero, oramai facebook ha preso il sopravvento, ma non c’è (o non ho visto) una pagina istituzionale della scuola, ed è solo qui che si può fare un po’ di “casino” (nel senso buono del termine).
Per mettervi un po di voglia vi metto due link, uno trovato a caso e uno su di una mia discussione (il Preside, che saluto con affetto, sarà molto contento…):
Qua ho preso a caso una pagina del blog di quando lo frequentavo io, in cui potete vedere che le discussioni erano abbastanza vive.
Qua un po’ di polemica da me creata perché il Preside non fece chiudere le scuole. Non so oggi quante scuole siano aperte, il Calvino mi risulta di sì (la mia Università ha fatto ponte…).
Detto questo colgo l’occasione per salutare tutti, dai ragazzi e i Prof della ragioneria che conosco, ai nuovi e ai liceali (si usa ancora “LICEALE TORNA A STUDIARE”??). Magari un giorno farò un articolo di riflessioni su quel che è stato il Calvino per me (mi uscirà, forse, la lacrimuccia, ma non credo 🙂 )
Finalmente dopo 5 lunghi mesi di “astinenza” oggi ricomincia il laboratorio teatrale della scuola. Questo è per me il terzo anno, la maggior parte del vecchio gruppo ormai non c’è più. I ragazzi di quarta e quinta hanno terminato gli studi e alcuni ragazzi di prima hanno invece deciso di cominciare questa attività. Ma una cosa è importante: l’insegnante non è cambiato e quindi in fondo il laboratorio è rimasto lo stesso. Ricordo ancora quando in prima liceo, rapita dalla bellezza dello spettacolo decisi di iscrivermi, nonostante avessi timore anche di alzare la mano in classe per chiedere di andare in bagno. Nel primo spettacolo ho detto 7 battute, nel secondo 20, ma non è questo l’importante, avrei potuto anche stare zitta, l’importante è essere parte del gruppo. L’importante è sapere che dalle 14,30 alle 16,30, non importa cosa sia successo la mattina, se sia andata male un’interrogazione, una verifica o una litigata con i genitori, per quelle due ore, con i cellulari rigorosamente spenti (e guai a dimenticartelo acceso!), non si deve pensare ad altro che allo spettacolo e al gruppo, a trasmettere qualcosa a quelle persone che per 45 minuti circa stanno sedute di fronte a noi e ci danno la possibilità di dire qualcosa, di essere ascoltati. Perché pensandoci, quando mai ci capita la possibilità di essere ascoltati veramente?
Seduta sulla sedia dell’auditorium aspetto pazientemente le 14,30 e intanto penso a cosa faremo oggi. Sono sicura, oggi Marco, l’insegnante (anche se lui non vuole che lo si chiami così), trascorrerà due ore facendoci il solito discorso interminabile sul teatro, dicendo sempre le stesse cose che ormai, dopo aver ascoltato per due anni, conosco abbastanza bene. Eppure non vedo l’ora e dentro me spero che dica esattamente le stesse cose, perché quando Marco parla c’è qualcosa di speciale nel suo modo esprimersi. È come se le sue parole ti rapissero e se tu non potessi fare a meno di ascoltarlo. Anche le cose più banali sono talmente scontate da risultare tremendamente vere. A volte mi chiedo se faccio teatro per ascoltare lui o perché mi piace recitare. Finisco sempre con il convincermi che in fondo una motivazione non deve necessariamente escludere l’altra.
Alle 14,30 ci sono tutti, ragazzi nuovi compresi, cominciamo a conoscerci e a salutare i vecchi amici. Poi dopo un quarto d’ora arriva Marco che esordisce con la sua solita frase: “trasferite le vostre inutili molecole sul palco”. Così tutti ci spostiamo immediatamente sul palcoscenico e lui si presenta ai nuovi arrivati, che rimangono subito colpiti dal suo aspetto fisico: magro, alto e dalla lunga barba e capelli bianchi assomiglia più ad un profeta biblico che a un regista. Marco tuttavia ignora placidamente le arie confuse dei ragazzi e comincia a elencare in modo rigido e preciso le regole principali del laboratorio: niente cellulari accesi, niente braccialetti, collane,orecchini o orologi e solo 2 assenze all’anno. Tutti lo guardano con aria un po’ terrorizzata, mi sa che non hanno capito che tipo è. Poi comincia, una domanda semplice, che però ci lascia perplessi: “immaginate che io sia un marziano, su Marte non c’è il teatro, voi dovete spiegarmelo, cosa mi direste?”. Siamo così confusi che ci vengono in mente solo risposte idiote come: “beh, il teatro vuol dire fare uno spettacolo” oppure “fare teatro vuol dire recitare” o ancora meglio “vuol dire che ci sono delle persone che fingono di essere ciò che non sono”. Sono tutte risposte banali, quelle frasi sgrammaticate e senza senso che ci vengono in mente quando siamo in difficoltà, eppure per Marco non esistono domande o risposte stupide e in particolare l’ultima sembra catturare particolarmente la sua attenzione. “Interessante…” esclama “quindi delle persone fingono di essere ciò che non sono, beh, anche su Marte c’è un posto che si chiama manicomio dove delle persone credono di essere qualcun altro, gli attori sono quindi dei pazzi? dove sta la differenza?” La discussione continua per un po’, quando finalmente arriviamo a una conclusione: “la differenza sta nel fatto che i pazzi non sono coscienti di fingere di essere qualcun altro, loro percepiscono la realtà in modo diverso proprio come un daltonico percepisce il rosso al posto del verde. Un attore invece recita in modo consapevole per trasmettere un messaggio ben preciso e dire qualcosa ad un pubblico con il quale instaura una relazione emotiva”. Mi sento esaltata, mi sembra di aver capito tutto, quando Marco fa crollare il mio castello con un’altra domanda che a stento comprendiamo completamente: “Il problema del teatro non è quello di farsi capire ma di arrivare là dove le parole da sole non arrivano, e quindi, dove deve arrivare l’attore? Qual è questo messaggio a cui le parole da sole non arrivano?” Ci guardiamo con aria interrogativa, non sappiamo proprio cosa dire, come quando ad una interrogazione un professore ti fa una domanda difficilissima. Eppure qui non c’è una risposta giusta o una sbagliata e nessuno ti etichetta con un numero sul registro, ma ho paura di dire una stupidaggine, sento che qualunque cosa dicessi non sarebbe mai all’altezza di un suo intervento, così aspetto che parli lui. Lui lo avverte e comincia: “Un certo Fontana, pittore d’arte moderna, un giorno prese una tela e la incise provocando uno squarcio enorme e la portò poi in un museo. Quello che una persona istintivamente fa trovandosi di fronte a una tela squarciata in un museo è guardare dall’altra parte per vedere cosa ci sia dietro. Peccato che dietro non ci fosse niente. Vedete, il teatro, così come l’arte è l’epifania dell’invisibile.” e poi continua “L’arte è la vita senza tempi morti. Nel tempo dello spettacolo puoi fingere di fare qualsiasi cosa, essere un’astronauta o scaccolarti e fingerti un bambino, la gente ti crederà, a patto che tu lo faccia fino in fondo e non lasci trasparire la quotidianità.” e finisce dicendo “Ciò che conta nell’arte moderna è l’idea. Se qualcun altro dopo Fontana avesse fatto la stessa cosa non avrebbe avuto nessun significato, egli è stato grande non per quello che ha fatto ma per il solo fatto di aver deciso di farlo. Noi possiamo raccontare qualsiasi storia, l’importante è che abbiamo qualcosa da dire, poi troveremo il modo di dirlo”.
Mi guardo attorno, abbiamo tutti quanti un’espressione stupita, ma tutti lo abbiamo ascoltato, senza rendercene conto sono passate due ore durante le quali abbiamo discusso di tutto, eppure non siamo stanchi o annoiati, ci ha spiegato un sacco di concetti, ma senza la “presunzione” di un’insegnante, si è fatto ascoltare, ma non ha voluto che lo facessimo in modo passivo. Ha fatto una sorta di lezione, ma grazie alle sue battute e ai suoi interventi di spirito non ce ne siamo nemmeno accorti. Abbiamo parlato del filosofo Averroè e del fatto che non conoscesse il teatro, ma anche del fatto che il lupo è l’unico personaggio con una finalità pedagogica all’interno della storia di “Cappuccetto Rosso”. Ci siamo divertiti come dei matti, e abbiamo capito che matti non siamo affatto. Abbiamo trascorso due ore dedicandoci solo a noi stessi, ma abbiamo parlato di come comunicare ciò che sentiamo agli altri. Insomma, come al solito mi ha lasciato con molti dubbi e mille domande, ma su una cosa sono sicura: non importa saper recitare o no, essere timidi o estroversi e impulsivi, per come è ora il laboratorio teatrale del nostro istituto è assolutamente un’esperienza unica!
Buongiorno a tutti, volevo rendere partecipe chi legge il blog dei miei disegni realizzati con bombolette di vernice spray e della tecnica usata.
Ho imparato tutto ciò che so di questa tecnica da un’artista di strada.
Ogni disegno è formato da cinque strati sovrapposti:
spazio e stelle
pianeti
montagne, mare o comunque terreno
eventuali sagome in primo piano
nuvole
Ognuno degli strati va fatto in successione e dopo che lo strato precedente si sia asciugato.
Per prima cosa si realizza lo sfondo in nero (lucido), lasciato asciugare si usa uno stencil con un cerchio tagliato per coprire la zona intorno al futuro pianeta e si spruzza il bianco all’ interno del cerchio, prima che asciughi bisogna usare un giornale precedentemente accartocciato e poi disteso per tamponare delicatamente il pianeta, in questo modo si ottiene l’effetto “crosta terrestre”.
Come realizzare le stelle? Bisogna intingere un pennello nella tempera bianca diluita e sfiorare le setole con un dito per schizzare piccole gocce sul foglio, questo per le stelle piccole “a puntini” per le stelle grandi invece bisogna tenere un cartoncino in verticale sul foglio in modo che uno spigolo coincida con la superficie e spruzzare sul cartoncino (non sul foglio) in questo modo piccole particelle di vernice cadranno e formeranno una linea che se ripetuta a formare una specie di asterisco che sembrerà una stella.
Per realizzare le montagne basta usare un semplice pennello e dipingerle solo da un lato a seconda di dove volete che arrivi la luce, in primo piano potete disegnare qualunque soggetto che vi piaccia, velieri, telescopi, città, cascate etc.
Sopra alle figure in primo e in secondo piano potete ricreare l’ effetto nuvola strappando un giornale e usando quest’ ultima “strappatura” come stencil: bisogna spruzzare leggermente lungo la linea di strappo in modo da ottenere nuvole che hanno un lato netto e uno sfumato.
Se volete provare e non vi sembra troppo complicato avete buone probabilità di ottenere un bel disegno anche perchè non è difficile.
Sabrina Deliso, studentessa della Quarta C Istituto Tecnico Commerciale, è stata insignita del titolo di “Ambasciatore dei Diritti Umani”. Il riconoscimento è stato conferito dalla Lega Internazionale per i Diritti dell’Uomo -Lidu Milano- per il Concorso rivolto agli allievi delle Scuole Superiori di Milano. Il premio consiste in un viaggio all’Aja per assistere ad una seduta dell’ONU e in un corso di formazione che si svolgerà ad Assisi sul tema “Insegniamo i diritti umani” riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione. I più vivi complimenti alla nostra studentessa!
SCUOLA/ 1. Le prove Invalsi? Non è un test di 4 ore a rovinare il lavoro di ogni giorno Elena Ugolini (INVALSI) mercoledì 11 maggio 2011
Nel corso di questa settimana circa 2.250.000 studenti sono impegnati a svolgere le prove di italiano e matematica Invalsi. Sono gli alunni che frequentano la II e V primaria, la I secondaria di primo grado e la II superiore. Penso sia giusto usare il termine “prove” per indicare ciò che è contenuto nei fascicoli su cui sono chiamati a lavorare i nostri figli: si tratta di esercizi, problemi, domande sul testo costruite a partire da quadri di riferimento concettuali ben precisi. Non sostituiscono quelle che i docenti costruiscono ogni giorno per verificare ciò che i propri studenti hanno imparato, la loro capacità di argomentare, giudicare, esprimersi, trovare strade nuove per risolvere problemi. Le prove Invalsi non potranno mai prendere il posto di questo lavoro quotidiano che gli insegnanti svolgono e che gli studenti sono chiamati a fare. Hanno una funzione limitata, ben precisa, non esaustiva. Perché allora farle? Sono prove che hanno lo scopo di offrire alcuni elementi confrontabili su tutto il territorio nazionale per più di 550.000 studenti per ciascuno dei livelli coinvolti. Sarebbe possibile avere elementi comparabili sulla padronanza della nostra lingua facendo svolgere la “stessa” interrogazione orale a “tutti” i ragazzi, “contemporaneamente”? Possiamo ammettere, almeno come ipotesi di lavoro, che avere questi dati relativamente a tutto il territorio nazionale possa avere una qualche utilità?Un ragazzo di seconda superiore che con il proprio docente di italiano ha avuto la fortuna di leggere e studiare Shakespeare – lo dicevamo ieri in una trasmissione radiofonica con Paola Mastrocola – non avrà sicuramente avuto alcun problema a svolgere la prova Invalsi. Non sono necessari addestramenti particolari. Occorre “semplicemente” abituare i ragazzi al rigore, all’attenzione ad ogni singola parola, a non trarre conclusioni senza chiedersi il perché. È quello che chiede di fare ogni giorno chi insegna, chi aiuta a capire, a conoscere in profondità, a non rimanere in superficie. Niente a che vedere con quei libretti pieni di esercizi banali e ripetitivi usciti in concomitanza delle prove Invalsi, redatti, magari, dagli stessi autori di sussidiari e libri di testo usati regolarmente dentro le scuole.È opportuno dare il giusto valore a queste prove, che non sono né la risoluzione né la causa di tutti i problemi. Per farle svolgere gli insegnanti hanno dovuto rinunciare a circa 4 ore di scuola sulle 1000 previste nell’arco di un intero anno scolastico.
Quattro ore a fronte di 18 mesi di lavoro svolto da docenti ed esperti per mettere a punto i fascicoli, del tempo che i ricercatori dell’Invalsi impiegheranno per scrivere un rapporto dettagliato sui risultati di un campione rappresentativo di scuole controllato da osservatori esterni. I dati restituiti invece alle singole scuole che non hanno avuto la supervisione esterna, nel caso in cui non sia stata fatta bene la somministrazione, saranno carta straccia, a danno esclusivo di chi male le ha svolte. La buona notizia di ieri è che solo in 3 scuole delle 2.300 individuate per il campione della seconda superiore, ci sono state difficoltà. Lo scorso anno tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado avevano partecipato di buon grado alla rilevazione, senza caricarla di significati che non ha e che non potrà mai avere. È fin troppo evidente che misurare i risultati dei nostri studenti solo con test esterni standardizzati sarebbe un crimine, perché significherebbe depauperare una tradizione culturale, educativa e didattica che non ha niente a che fare con l’addestramento: non bisogna confondere il significato di questa operazione con i suoi sottoprodotti. Ma tra questo estremo e la rinuncia a qualunque forma di comparazione esterna dei livelli di apprendimento degli studenti c’è la strada del sano realismo. Prima delle rilevazioni Invalsi un quadro contraddittorio della scuola italiana veniva offerto da una parte dagli esiti delle grandi indagini internazionali, che denunciavano l’esistenza di un profondo divario tra nord e sud e di una iniqua varianza di risultati tra scuole; e dall’altra dai risultati di un esame di Stato alla fine del secondo ciclo in cui il Paese compariva come un grande insieme indistinto, senza alcuna significativa differenza tra scuole. In realtà, chi sa che cosa c’è “dietro” un 80, un 90, un 100 come esito finale? Se la tradizione dell’esame di maturità, con la presenza del colloquio orale alla presenza di una commissione esterna, è a mio parere insostituibile; se non può esservi dubbio sull’esistenza di Indicazioni nazionali che mettono in evidenza il valore in sé della conoscenza come risposta ad una domanda di senso, tuttavia poter disporre di dati esterni comparabili sugli apprendimenti è di cruciale importanza. A meno di accettare la situazione attuale, in cui le università preferiscono proporre loro stesse prove selettive in ingresso, non potendo dare alcun valore al punteggio conseguito nell’esame di Stato. Pensiamoci.
Il 6 e 7 aprile presso la sede di ABB Italia a Sesto San Giovanni si è tenuta la terza edizione dell’Innovation & Creativity Challenge, tale evento è stato organizzato dalla Junior Achievement Italia.
In queste due giornate 90 giovani provenienti da 12 Istituti Superiori di Lombardia ed Emilia Romagna hanno lavorato per poter soddisfare le richieste del business challenge ovvero quello di integrare e sviluppare nuovi strumenti e piattaforme basate sulla tecnologia web 2.0 per promuovere una comunicazione multi-direzionale con due target specifici: i giovani neo laureati e diplomati e gli installatori di sistemi domotici.
Sul gradino più alto il progetto ABB 2.0 Future and Assistance, una piattaforma web 2.0 dedicata ai giovani e ai partner aziendali; un unico canale di business ma con sezioni specifiche per accedere all’azienda e alle selezioni di personale in modo non convenzionale, e per dare e ottenere informazioni e assistenza sui prodotti.
Premiati anche Imagine your future house, una casa domotica in progress da sperimentare e vivere in ambiente virtuale, commentando e progettando possibili nuove evoluzioni, e ABB Future, un sito dedicato ai giovani e ai professionisti di domotica per lo scambio di idee, concorsi e la promozione delle proprie attività.
I tre vincitori del Calvino (Matteo Cuttini 3aD I.T.C. Lorenza Pantusa 3aA I.T.C. e Rejdon Kopo 4aB I.T.C.), dopo un colloquio in lingua inglese saranno chiamati a rappresentare l’Italia all’European Innovation & Creativity Challenge che si terrà a Bruxelles dal 18 al 20 maggio.
Grossa è stata la soddisfazione dei 3 studenti e delle 2 docenti Paola Ventura ed Elvira Bonuso che hanno dato il loro impegno per poter far partecipare i ben 40 ragazzi della nostra scuola al contest.
Ora vorrei porgere i miei complimenti anche ai gruppi non vincitori per il loro impegno… COMPLIMENTI RAGAZZI!!!!
Selezionare le foto è sempre difficile… e trapela una certa soddisfazione in alcune foto che è difficile censurare per una semplice ragione di qualità estetica dell’immagine.
qui mi trovo in veste di prof. simpatizzante.
Intendo dire: non ho meriti ma solo ammirazion-i per il bel lavoro portato avanti nelle terze classi dell’ITC.
Come sempre si dimostra, lavorare per progetto è entusiasmante.
Per i professori, che vedono fiorire interventi inattesi, atteggiamenti nuovi, entusiasmi a volte lungamente attesi.
Per gli studenti, che vedono ribaltato il palcoscenico. Sono loro in prima linea a determinare il successo di quello che si studia e si progetta insieme.
Tutto questo sarà possibile vederlo domani alle 11.15 in auditorium.
Non tutto, certo. Sarebbe stato necessario far parte dei vari gruppi di lavoro per capire come si sviluppano queste dinamiche educative.
Per due settimane, tutti i giorni dopo scuola, un gruppo di studenti delle varie classi si sono visti catapultare in un mondo adulto fatto di orari prolungati, sforzi comuni, confronti paritari sulla validità delle idee e sul come portarle avanti con responsabilità. L’affiancamento di alcuni docenti con esperti esterni della scuola – in questo caso della ONLUS ALA del Sud di Milano – è servita a far capire che i ragionamenti a scuola sono validi e sono proprio quelli che servono usciti da questo ‘dorato’ periodo di formazione.
Mi spiace tantissimo non poter essere tra i genitori e i docenti che domani assisteranno alla presentazione delle future aziende che i nostri ragazzi hanno ideato.
Faccio a tutti gli auguri. Nessuna bella idea ha successo senza una valida presentazione, ovviamente!
Salve a tutti sono ex studente ormai, e come molti appena ex studenti voglio scrivere qualcosa nel blog.
Mentre scrivo queste righe mi viene in mente un vecchio post “sassolini”, il mio vuol’ essere esattamente l’ opposto.
Io volevo ringraziare tutti, i miei compagni, il corpo insegnati, il preside, i collaboratori scolastici, insomma voglio ringraziare tutti quelli che hanno reso questi 5/6 anni della mia vita unici e istruttivi.
Quindi ecco iniziamo:
Ai miei compagni, grazie siete stati fantastici in questi anni, con voi ho vissuto tante cose belle e brutte, ho avuto da ridire con qualcuno, ma ho avuto moltissimo da sorridere con tutti voi siete stati il cuore pulsante della classe, grazie a voi e a le nostre cagate abbiamo saputo rendere simpatica la lezione più noiosa, grazie davvero.
Volevo ringraziare particolarmente i membri del “direttorio” che tra conquiste di banchi e assegnazione di premi ha saputo rendere divertenti le giornate tra quelle quattro mura.
Al corpo insegnati, non so se i miei insegnanti saranno d’accordo con quello che sto per dire ora però spero di si perche queste quattro parole se le meritano tantissimo. Continua la lettura di Ringraziamenti→