Né la razza, né la religione, né il sesso permetteranno di deviare da un gran obiettivo
Ibtihaj Muhammad ne è la prova e vive per dimostrare sulla propria pelle tale frase: vive per realizzare il suo sogno di diventare la miglior schermista, nonostante gli stereotipi sulla sua comunità musulmana.
“La scherma mi ha insegnato tanto di me stessa e quello che sono capace di fare. Voglio essere un esempio per minoranze e giovani musulmani, insegnando che tutto è possibile con la perseveranza. Voglio che sappiano che nulla deve mai impedirgli di raggiungere i loro obiettivi: né la razza, né la religione, né il sesso”
Sebbene fosse amante degli sport, non trovava nessuna attività adatta a sé, poiché voleva conciliare la sua religione.
Così conobbe la scherma, disciplina sportiva sia conforme alle norme della religione musulmana, in quanto le permetteva di indossare il velo sotto la maschera bianca, sia libera da disagi, poiché non si sentiva più fuori posto tra i suoi compagni di squadra.
Lo sport scelto le permise di diventare un tassello per il miglioramento della condizione della sua comunità islamica.
Combatté e superò situazioni di incomodità, imbarazzo e inferiorità, assiduamente vigenti nel corso sua vita e non solo. Fu sospettata di terrorismo, vittima di stalker, destinataria di denunce irrazionali e pregiudiziali in quanto musulmana. Non era l’unica.
Gli stereotipi sono un ostacolo da superare. L’America, avendo come presidente Trump, è condizionata dai suoi pensieri che hanno il proposito di “proteggere” il paese, separandolo anche dagli islamici. Ibtihaj vuole invece dimostrare che la sua comunità non è affatto un pericolo o degrado per la società statunitense, bensì le può apportare benefici, persino in campo sportivo.
Muhammad Ibtihaj riuscì ad affermarsi di fatto nel 2016 come la prima donna musulmana a rappresentare gli Stati Uniti nelle Olimpiadi, indossando l’hijab, velo tradizionale delle donne di fede musulmana, ma anche come la prima donna islamica che vinse la medaglia di bronzo nella gara a squadre di sciabola femminile ai “Summer Games” di Rio.
Grazie alla sua presenza alle Olimpiadi, ebbe l’opportunità di parlare a nome di chi non ha voce a un vasto pubblico, diffondendo il suo punto di vista.
La sua determinazione nella lotta contro gli stereotipi, ci permette di inserirla nel gruppo delle “cattive ragazze”, poiché, come afferma con pertinacia in prima persona, “io voglio rompere le norme culturali. Un sacco di gente crede che le donne musulmane non abbiano voce o che non possano partecipare agli sport. E non si tratta solo di sfidare pregiudizi al di fuori della comunità musulmana ma soprattutto all’interno di essa”. Aggiunse inoltre: “Devo contestare questa idea che in qualche modo noi (musulmani) non apparteniamo agli Stati Uniti a causa della nostra razza o della nostra religione. Voglio che la gente sappia che faccio parte della comunità”.
Pertanto è ritenuta “cattiva ragazza” in quanto rappresenta un’ icona alla lotta contro razzismo e discriminazione, sottolineando che non vi è alcun motivo per non essere considerati americani e musulmani al contempo.
Stacy Villa
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