Nell’arco dell’intera storia della filosofia, il frate domenicano Tommaso d’Aquino è stato di sicuro una delle personalità più influenti e, ancor oggi, conta un numero straordinario di “seguaci” della sua dottrina. Con tale pensatore la fiducia nella possibilità di conciliare fede e ragione, in nome di una concezione rigorosamente unitaria del sapere, raggiunge l’apice. Pochi anni dopo la sua morte le “nozze” fra filosofia e teologia entreranno in crisi.
Come mai questo pensatore ha avuto un così grande rilievo nella storia?
In primo luogo bisogna rilevare che la sua filosofia è importantissima per dottrina cattolica, ed avendo la religione cattolica quasi un miliardo e duecento milioni di credenti, appare quasi naturale che questo filosofo sia ancor adesso tra i più letti e commentati nel mondo.
Possiamo riassumere la sua grande novità rispetto al pensiero precedente in tre punti essenziali:
- Cambiamento importante nel pensiero religioso, in particolare per quanto riguarda la natura umana e ciò che l’uomo può dire della natura divina: fino ad allora i pensatori cristiani (compreso Agostino)
- privilegiavano la “teologia negativa”: l’uomo non può affermare nulla intorno a Dio, perché, essendo l’essere stesso, è sostanzialmente qualcosa di indefinibile
- svalutano il corpo che, legato alla terra, svia l’uomo dai suoi obiettivi ultraterreni
- ritengono non vi sia alcuna somiglianza tra noi e Dio: egli è l’essere divino irraggiungibile e noi inutili creature terrene.
Per Tommaso, al contrario,
- ciò che noi possiamo dire di Dio non è del tutto sbagliato: di certo non potrà mai arrivare a determinare la sua grandezza, ma serve comunque ad esaltarla
- il corpo deve essere rivaluto perché anch’esso è opera di Dio e ha un ruolo positivo nella vita umana
- vi è una similitudine tra l’essere umano e Dio: infatti tutti gli esseri da lui creati traggono dal divino la loro essenza e l’uomo è tra quelli che ne trae di più perché è l’unico essere che ha in sé sia l’elemento spirituale (l’anima) sia l’elemento terreno (il corpo).
- Il rapporto tra fede e ragione, che è uno dei temi più importanti sviluppati nella sua filosofia: egli riprende il concetto agostiniano (“credo ut intelligam, intelligo ut credam”) e lo conferma, affermando anch’egli che fede e ragione devono trovare un accordo e collaborare, che filosofia e teologia sono scienze che vanno usate entrambe per raggiungere la verità. Per dare credito alla sua idea che fede e ragione possono collaborare, Tommaso compie una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, rivelando così che il “credo quia absurdum” di Tertulliano è sbagliato come del resto tutte le correnti fideiste (di cui fa parte anche Guglielmo di Occam), le quali affermavano che nessuno degli attributi divini poteva essere oggetto di dimostrazione, altrimenti Dio non avrebbe compiuto il gesto inutile di rivelare all’uomo ciò che poteva scoprire con le sue sole forze.
- La sua teoria della conoscenza: Tommaso a riguardo espone una teoria realista, ossia l’uomo è in grado di conoscere la realtà che lo circonda; tale posizione è contrastata da filosofi come Guglielmo di Occam (il quale era un frate francescano; in quel periodo domenicani e francescani erano ordini religiosi avversi tra loro e, anche in ambito filosofico, avevano sempre posizioni contrastanti): questi filosofi sposavano una posizione nominalista, cioè l’uomo non ha alcuna possibilità di comprendere la realtà.
Dopo questo breve sunto, cerchiamo di analizzare più a fondo i tre elementi della dottrina di Tommaso.
Come citato sopra, fino a quel momento i filosofi cristiani prediligevano la “teologia negativa”, in altre parole, per quanto riguarda il nostro modo di predicare qualcosa di Dio, l’uomo è in grado solamente di dire cosa Dio non è (ad esempio: Dio non è cattivo, Dio non è ingannevole, Dio non è malvagio, ecc.), ma se volesse dire cosa Dio sia, non potrebbe perché la sua natura ineffabile fa sì che nulla di ciò che si professi di lui serva in qualche modo a comprendere il suo essere, il linguaggio umano non può far nulla per descriverlo. San Tommaso, invece, sebbene non si distacchi totalmente da tale tradizione, ritiene che ciò che noi diciamo di positivo sul suo conto (esempio: Dio è glorioso, onnipotente, onnisciente, ecc.), anche se non riesce comunque a estrapolare la sua essenza, serve comunque a valorizzare la sua magnificenza e a cogliere parte del suo essere. Per quanto riguarda invece la natura umana, secondo la “teologia negativa” l’uomo, fatto di anima e corpo, deve “disprezzare” la sua parte corporea che, essendo legata al mondo terreno, lo distoglie dai suoi obiettivi più importanti, ovvero il raggiungere la felicità nella vita ultraterrena. Tommaso al contrario rivaluta il corpo: dopotutto Dio ha creato l’uomo come unione di anima e corpo, ponendolo, di fatto, al confine tra il mondo delle sostanze spirituali (perché possiede l’anima) e il mondo terreno (perché possiede il corpo); il corpo, essendo in stretto legame con l’anima, ha anch’esso una funzione rilevante nel conseguimento della felicità terrena, che contribuisce così anche alla felicità ultraterrena, l’unica davvero importante per il vero cristiano. Il fatto che l’uomo sia un essere a metà strada tra le sostanze spirituali e il mondo terreno è inoltre un segno evidente della nostra somiglianza col divino.
Altra questione è la teoria della conoscenza secondo Tommaso. Nella storia della filosofia la gnoseologia (ossia “teoria della conoscenza”) è da sempre uno degli ambiti più trattati, la quale in particolare nel mondo medievale si divideva in due posizioni contrastanti: la posizione realista, secondo cui l’intelletto è in grado di conoscere la realtà, e la posizione nominalista (cui appartiene Guglielmo di Occam e uno dei più grandi scrittori contemporanei, Umberto Eco, che mostra la sua concezione nella sua opera “Il nome della rosa”: “nomina nuda tenemus”), secondo cui l’intelletto umano non riesce ad avere una conoscenza del reale e i nomi che noi diamo alle cose sono semplici etichette che noi poniamo agli oggetti che sembrano avere una vaga somiglianza. Tornando a Tommaso, la sua teoria della conoscenza viene esposta nel seguente modo: l’anima intellettiva umana non è in grado di apprendere direttamente gli intellegibili, ma può conoscere le forme delle cose solo nella loro unione con i corpi, in altre parole soltanto grazie all’esperienza sensibile. L’anima (fatta di facoltà attiva e passiva) considera le forme sensibili nel loro aspetto universale, ossia la facoltà attiva astrae gli elementi comuni (gli universali) e li imprime nella facoltà passiva, che conserva tutti gli universali raccolti.
Il rapporto tra fede e ragione è una questione piuttosto ampia che affonda le sue radici all’origine delle prime comunità cristiane e che è diventato col passare degli anni un problema sempre più importante dato che il cristianesimo si era ormai affermato come religione europea. Tale problema parte alle origini del cristianesimo con Tertulliano che condanna in modo categorico la ragione e la filosofia (“credo quia absurdum”); poi prosegue con Sant’Agostino, secondo il quale la fede è fondamento della ricerca razionale e la filosofia chiarisce i contenuti di fede, predisponendo l’uomo ad accoglierli (“credo ut intelligam, intelligo ut credam”); in seguito vi è Anselmo d’Aosta, il quale, non distaccandosi totalmente dalla posizione agostiniana, afferma che, anche se la fede ha un primato sulla ragione, quest’ultima chiarisce ciò che si possiede già con la fede (“credo ut intelligam”). Ed ecco che arriva Tommaso d’Aquino, che sotto molti aspetti rivela di avere punti in comune con Agostino: secondo la sua concezione unitaria del sapere, è impossibile che due scienze come filosofia e teologia siano separate, anche se la filosofia può creare contrasti con le verità di fede; dato che comunque la priorità va data alla rivelazione divina, in quei casi bisogna sottostare ai risultati raggiunti dal teologo. Entrambe le scienze tendono a un’unica verità, ma diverso è il modo di conoscerla: pur utilizzando entrambe il medesimo metodo di ricerca (tratto dalla logica aristotelica), partono però da premesse differenti, che in ambito teologico derivano dalla fede, mentre in ambito filosofico sono evidenti. Come conciliare dunque due scienze così diverse, una legata alla fede, l’altra alla ragione? Semplicemente la teologia ha il compito di fornire un sommo sapere speculativo e pratico, mentre la filosofia ha lo scopo di intendere sempre meglio i contenuti della rivelazione, di dimostrare che alcuni dogmi che la ragione umana è in gradi di indagare e capire (come l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima) non siano contraddittori, di combattere le posizioni contrarie alla fede. Le due scienze non sono in contrasto, ma al contrario sono complementari.
Al giorno d’oggi, in cui l’uomo è ormai approdato a una visione laica della vita, completamente distaccata dalla religione e dal sapere teologico, come si può conciliare la filosofia di un pensatore cristiano medievale, che ritiene che filosofia e teologia siano semplicemente due facce di una stessa moneta?
Secondo me, bisognerebbe partire dal presupposto del perché esista la religione e perché, fin dall’antichità, l’uomo ha avuto bisogno di credere in uno o più enti soprannaturali. Una reale spiegazione credo che sia impossibile trovarla, ma per me è possibile dimostrare l’esigenza per l’uomo di una religione. Prendiamo in esame due casi: al giorno d’oggi se andiamo in mezzo alle tribù eschimesi, possiamo notare che essi possiedono una loro religione seppur animista, lo stesso vale se andiamo in mezzo alle tribù amazzoniche o a qualsiasi altra popolazione tribale o civilizzata; tutti possiedono una religione e questo è un primo elemento per dimostrare il bisogno religioso dell’uomo. La seconda via riguarda l’analisi storica: se prendiamo in considerazione i nostri antenati, come l’homo sapiens di Neanderthal, o le prime tribù nomadi preistoriche, possedevano anche loro una religione. Quindi appare quasi evidente che l’essere umano, unico dotato di ratio, abbia bisogno di credere in uno o più enti sovrumani.
Dunque perché ci meravigliamo che nel corso della storia parte fondamentale della filosofia sia stata dedicata alla religione? Del resto Tommaso non ha fatto altro che incarnare in modo straordinario la mentalità della sua epoca.
Questa breve precisazione, forse un po’ fuori luogo, aveva semplicemente lo scopo di convincere il lettore che, anche se viviamo ormai in una società che si ritrova quasi al rifiuto della religione, è altrettanto vero che la società occidentale affonda le sue tradizioni nel credo cristiano e involontariamente ne siamo ancora molto influenzati. Quindi è inutile cercare di fuggire dal “mos maiorum”, ma dovremmo piuttosto cercare di conciliare tradizione e innovazione, che è ciò che la Chiesa in questi anni sta cercando di compiere.
Dopotutto è quello che ha fatto Tommaso ai suoi tempi, ha conciliato la tradizione della rivelazione divina con gli scritti aristotelici che in quel periodo, grazie alla formazione delle università e ad illustri personalità come Guglielmo di Moerbeke, si stavano diffondendo con una rapidità impressionante, tanto da essere stati più volte oggetto di censura da parte della Chiesa.
Ritorniamo al commento del pensiero di Tommaso. Secondo me, riguardo al superamento della “teologia negativa” vi è poco da condividere ai giorni nostri, perché, trattandosi di ciò che si professa di Dio e della natura umana sotto l’aspetto religioso, riguarda comunque qualcosa di strettamente teologico, non riguardante la società laica moderna; tale problema tuttavia interessa l’ambito della Chiesa che ha confermato la posizione di Tommaso riguardo a quel problema teologico.
Più interessante risulta invece l’ambito gnoseologico che nel corso della storia è stato trattato dalla maggior parte dei filosofi, fino ad arrivare, come già detto prima, ai giorni nostri con Umberto Eco, fautore della posizione nominalista. A mio parere, la posizione realista, di cui fa parte Tommaso, è quella più “giusta” da sposare, perché dà grande rilievo al ruolo della ragione umana. Io ritengo infatti che, se per assurdo non avessimo realmente la possibilità di conoscere la realtà, l’uomo non avrebbe in sé la sua insaziabile sete di sapere e il progresso a cui siamo pervenuti nei giorni nostri non avrebbe mai potuto realizzarsi; del resto se i nominalisti come Occam avessero ragione, periodi storici come il Rinascimento, in cui l’uomo rivaluta la sua ragione, pensa, desidera una conoscenza approfondita della realtà, non sarebbero mai potuti esistere.
Altro ambito è il rapporto fede-ragione. Anche quest’altro nodo fondamentale della dottrina di Tommaso è difficile da ricondurre ai giorni nostri per via della sua natura teologica, ma trattando anche di ragione è più facilmente interpretabile. Se fossi un credente ferreo, sarei completamente d’accordo con Tommaso perché se esiste un modo per cui fede e ragione possano collaborare e per cui le verità di fede possano essere dimostrate, ne andrei subito in cerca. Ma essendo un soggetto critico verso la religione, non credo di poter essere d’accordo con Tommaso, perché secondo me la teologia parte da presupposti non condivisibili da tutti, ma solo dai credenti. All’interno delle visioni cristiane di sicuro Tommaso ha una posizione migliore rispetto al fideismo, ma risulta comunque difficile da conciliare con la visione moderna del mondo.
In tale discorso rientrano le sue famose prove dell’esistenza di Dio, che, devo ammettere, adducono forti argomentazioni a sostegno della tesi, ma si poggiano comunque su premesse non del tutto concrete.
Io ammetto che l’uomo abbia bisogno di credere nel divino, ma è davvero possibile dimostrare l’esistenza di Dio con le sole risorse del mondo sensibile? Lascio la questione aperta, poiché neanche io ho una soluzione a riguardo.
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