Cesare Lombroso nacque a Verona nel 1835. Oltre ad essere stato medico e antropologo, viene considerato il padre della criminologia. In particolare i suoi studi abbracciano la teoria fisiognomica secondo cui i caratteri psicologici e morali di un individuo, possono essere dedotti dall’aspetto fisico ed in particolar modo dalle diverse espressioni del volto. Sebbene tale disciplina possa sembrare assurda al giorno d’oggi, nell’Ottocento godette di una così grande considerazione da essere addirittura materia universitaria.
Lombroso individua due tipi di delinquenti:
- Delinquente nato nel quale il comportamento criminale è insito per natura
- Delinquente d’occasione in cui sono fattori esterni a determinare l’atto criminale
I primi dunque, non agiscono in maniera cosciente ma poiché spinti da tendenze malvagie; tutto ciò si riflette sulla fisicità dell’individuo e sulla sua psiche che risultano essere diverse da quelle dell’uomo considerato normale.
Lombroso passò molti anni della sua vita a misurare i crani, la lunghezza dei piedi e le facce dei criminali. Le anomalie fisiche, che potevano essere ritenute delle costanti in tali individui, divennero dei veri e propri indici utili per smascherare i delinquenti. Così si riteneva che in genere i ladri avessero un’ottima manualità, gli occhi piccoli o le sopracciglia folte; oppure che tipico degli omicidi abituali fossero lo sguardo freddo e sanguigno, il naso aquilino e le orecchie lunghe.
Queste descrizioni trovano una corrispondenza in alcuni disegni e in alcune fotografie raccolte nel testo Atlante dell’uomo delinquente.
Tale idea secondo cui la criminalità è fortemente connessa a particolari tratti somatici è peraltro molto antica; ve ne sono prove già nell’Iliade di Omero in cui la devianza dell’anti-eroe Tersite è collegata alla sua bruttezza fisica e persino le leggi medievali sostenevano che nel caso in cui due persone fossero state sospettate di un reato, la colpa sarebbe dovuta ricadere sulla più deforme.
Se inizialmente con Lombroso si assisteva ad un una vera e propria concezione di determinismo assoluto, in cui l’uomo che agisce è privo di ogni libertà, anche a causa delle critiche ricevute, egli andò via via correggendo la sua teoria arretrando rispetto alla concezione di partenza.
Finì per sostenere che i delinquenti nati fossero solo una piccolissima parte di coloro che infrangevano le regole e che ogni atto criminale fosse determinato da diverse cause.
Inevitabilmente anche il concetto di “pena” cambiò in quest’ottica; se il crimine più che frutto di una libera scelta è la manifestazione di una tendenza insita nell’uomo, di una sorta di “malattia”, allora anche la pena deve diventare uno strumento di tutela della società e non solo una punizione (non ha senso infatti punire chi non è libero di scegliere).
Dopo la morte del padre della criminologia, anche le sue teorie finirono per essere accantonate grazie all’intervento della psichiatria che ben presto si occupò di smascherare l’infondatezza scientifica di tali concezioni perché erano fonte di enormi pregiudizi che, ahimè, ci accompagnano tutt’ora. A quanti di noi è infatti capitato di dire: “ma guarda quel ragazzo: ha proprio una faccia da…!”? Be’, probabilmente a tutti.
Serena Bendetto, Arianna Mandelli.