qualcuno di voi mi avrà visto, tra marzo e aprile, aggirarmi tra i corridoi di quello che, fino a quattro anni fa, è stato anche il mio liceo. Alcuni avranno pensato che fossi un alunno un po’ grande, altri un professore un po’ giovane. Ebbene, non ero né uno né l’altro, ma questo lo capirete tra poche righe. Continua la lettura di Dall’altra parte della cattedra→
Il 1917 fu un anno cruciale per gli sviluppi della prima guerra mondiale, principalmente per tre motivi: l’entrata in guerra degli Stati Uniti, l’uscita dalla stessa della Russia e la disfatta di Caporetto.
La lunga durata della guerra, iniziata nel luglio 1914, aveva causato un aumento delle difficoltà economiche per gli Imperi centrali (Austria e Germania), soprattutto per il blocco navale attuato dalla Gran Bretagna sin dall’inizio del conflitto. Perciò, a partire dal febbraio 1917, i Tedeschi intensificarono la guerra sottomarina, per bloccare tutti i rifornimenti ai paesi nemici e isolare economicamente la Gran Bretagna. Tuttavia gli Stati Uniti, già maldisposti verso la Germania per l’affondamento del transatlantico statunitense Lusitania nel maggio 1915, erano pesantemente danneggiati nei loro scambi commerciali con Francia, Italia e Inghilterra. Per questo motivo, il 6 aprile 1917, decisero di entrare nel conflitto al fianco della Triplice Intesa (formata da Francia, Gran Bretagna e Russia).
Intanto il 2 marzo 1917 lo zar russo Nicola II, in seguito alla cosiddetta Rivoluzione di febbraio, fu costretto ad abdicare. La monarchia zarista venne sostituita da una repubblica, il cui governo provvisorio decise di proseguire la guerra. Ma i Tedeschi riuscirono a penetrare nel territorio russo. Con la Rivoluzione d’ottobre il potere fu assunto dai comunisti guidati da Lenin, che decisero di uscire dalla guerra. Le trattative di pace con gli Imperi centrali portarono all’accordo di Brest-Litovsk, il 3 marzo 1918.
In seguito alla crisi della Russia, l’Austria e la Germania poterono concentrarsi sul fronte italiano, sfondandone le linee a Caporetto (24 ottobre 1917). 400 000 uomini vennero uccisi o fatti prigionieri e il generale Cadorna, comandante dell’esercito italiano, fu sostituito da Armando Diaz. Le ragioni militari della disfatta vanno ricercate in un’offensiva ben condotta da parte degli Austriaci e soprattutto nell’errata impostazione difensiva italiana. La sconfitta fu causata anche da motivi più “umani”: i soldati erano infatti ormai logorati, nel fisico e nello spirito, dall’interminabile guerra di trincea, dalle angherie dei comandanti e dalla paura di morire. La ritirata dell’esercito italiano fu caotica. Le truppe si arrestarono infine lungo la cosiddetta “linea del Piave”.
L’età giolittiana (1901-1914), ossia il periodo in cui Giovanni Giolitti fu Primo Ministro italiano, coincise con il decollo della rivoluzione industriale nel nostro paese. I progressi più evidenti si registrarono nell’industria siderurgica, elettrica, meccanica (con la nascita di aziende come la Fiat, l’Alfa Romeo e la Lancia) e nel settore tessile (principalmente nell’industria del cotone); queste industrie avevano sede soprattutto nel cosiddetto triangolo industriale, formato da Torino, Milano e Genova.
Lo sviluppo industriale dell’Italia fu favorito da alcune condizioni particolari: in primo luogo l’industria italiana venne fortemente aiutata dall’intervento statale (in particolare grazie alle commesse statali nel settore siderurgico); in secondo luogo la politica protezionistica dello Stato, attuata con l’imposizione di alte tasse sui prodotti esteri, favorì il notevole sviluppo delle industrie del Nord (anche se danneggiò i prodotti tipici del Sud); il decollo industriale venne infine agevolato dai finanziamenti delle grandi banche alle nuove industrie, ancora incapaci di autofinanziarsi (in questo periodo nacque la banca mista, una commistione tra banca commerciale e banca d’affari specializzata in prestiti a breve, medio e lungo termine).
Lo sviluppo industriale mutò il modo di vivere degli italiani, almeno nelle città: l’arrivo nelle case dell’illuminazione elettrica, dell’acqua corrente e del gas e il miglioramento delle condizioni igieniche (dovuto alle innovazioni in campo medico e sanitario) portarono un notevole miglioramento nel livello medio di vita della popolazione. Le conseguenze della repentina crescita non furono però solo positive: lo spostamento di grandi masse dalle campagne alle città, sedi delle principali industrie, comportò notevoli disagi per gli abitanti e soprattutto per le classi operaie, costrette a vivere in quartieri sovraffollati e malsani; nelle case, inoltre, il riscaldamento rimaneva un lusso e i servizi igienici erano spesso in comune; in questo periodo, infine, la piaga sociale dell’alcolismo conobbe un notevole incremento: esso era infatti il rifugio più diffuso tra i contadini e gli operai dalle disumane condizioni di lavoro a cui erano sottoposti.
Possiamo definire la nostra società come una società di massa; quest’ultima, infatti, come quella attuale, è caratterizzata in primo luogo da una diffusione di massa dei prodotti di consumo (telefoni, automobili, televisori…) accessibili a tutti in particolare nel mondo occidentale. Le prime manifestazioni di questo tipo di società risalgono agli inizi della Seconda rivoluzione industriale, mentre con la Terza essa si diffuse in tutto il pianeta, dando luogo a un fenomeno non più solo economico, ma anche politico e culturale: la globalizzazione. Nella società di massa i cittadini vivono in grandi città e vengono rappresentati non più da piccole comunità, ma dalle grandi istituzioni (Stati, partiti, sindacati…); gli individui non producono più ciò che consumano, ma lo comprano con il denaro ricavato dal lavoro; i comportamenti quotidiani delle persone, infine, si uniformano secondo modelli generali. In una società di massa, dunque, i singoli individui scompaiono rispetto al gruppo. Con la diffusione della società di massa anche la vita privata delle famiglie mutò: insieme all’illuminazione elettrica e all’acqua potabile si diffusero i cosiddetti mass media, cioè i mezzi di comunicazione di massa (radio, televisione, quotidiani). In campo economico si sviluppò enormemente il settore terziario, ossia il settore dei servizi (banche, ospedali, scuole…) e nacque la pubblicità. Anche il mondo della scuola subì un radicale cambiamento: l’istruzione, non più considerata un bene riservato ai più abbienti ma un diritto di tutti cittadini, venne resa obbligatoria e gratuita, nonché organizzata e finanziata dallo Stato. Tuttavia ciò provocò la reazione degli ambienti più tradizionalisti, che vedevano in un popolo alfabetizzato e istruito un pericolo per le classi privilegiate. Con la società di massa si diffuse in molti stati europei il suffragio universale maschile (in Italia nel 1912). L’estensione del diritto di voto fece nascere nei movimenti politici la necessità di conquistare il consenso di un gran numero di elettori e portò quindi alla nascita dei partiti politici di massa. Contemporaneamente sorsero organizzazioni sindacali nazionali, la cui arma principale per ottenere aumenti dei salari e riduzioni delle ore lavorative era lo sciopero.
Per concludere bisogna ricordare che, oltre all’omologazione e alla spersonalizzazione degli individui di fronte al gruppo, l’avvento della società di massa favorì la nascita dei movimenti politici totalitari del ‘900 (fascismo, nazismo e comunismo), impensabili al di fuori di questo tipo di contesto.