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VISITA AL PICCOLO TEATRO DI MILANO

logo del Piccolo Teatro

Venerdì 5 maggio noi alunni della classe 2aC abbiamo avuto l’opportunità di poter “esplorare” alcuni spazi del Piccolo Teatro, riservati alla’attrezzeria e alla sartoria e di conseguenza, vietati all’accesso del pubblico.
Accolti con simpatia da un’ex allieva della scuola del “Piccolo”, che aveva completato il triennio previsto per conseguire l’attestazione come attrice, abbiamo iniziato l’interessante visita con la “scatola magica”. Questa è una piccola stanza di circa quaranta metri quadri, collocata a sinistra della reception, con le pareti scure e in fondo alla quale si trova un piccolo palcoscenico debolmente illuminato. Sotto un potente fascio di luce a “occhio di bue” era lì ad aspettarci un allegro e dinamico Arlecchino che ci ha riprodotto una breve sequenza della famosa commedia “Arlecchino servitore di due padroni” di Carlo Goldoni. Da un’uscita secondaria adiacente al palco ci siamo ritrovati nella galleria e da questa posizione privilegiata potevamo osservare l’allestimento della scenografia e le prove per lo spettacolo di Luca Ronconi in programmazione per la fine del mese di maggio. così abbiamo avuto il privilegio di “incontrare” questo famoso regista che è attualmente anche il direttore della Scuola del Piccolo.
La scuola del “Piccolo”
La scuola è stata fondata da Giorgio Strehler nel 1987 e ormai, dopo quindici anni, è diventata parte integrante e funzione del teatro stesso. Infatti la scuola offre l’opportunità di collegare l’attività di formazione dei nuovi attori alla produzione, favorendo il graduale inserimento degli allievi nella loro professione evitando lunghe interruzioni tra il periodo di studio e quello dell’ingresso nel mondo lavorativo.
Per non interrompere la concentrazione degli attori abbiamo seguito incuriositi la nostra guida che ci aveva proposto di frugare nel camerino di un attore. Una stanzetta non troppo grande, più lunga che larga, con un’intera parete occupata solamente da uno specchio e uno stretto tavolino su cui si distinguevano la maschera di Arlecchino, dei trucchi per la scena ed un fiasco di vino. L’attore che poco prima aveva dato dimostrazione della sua bravura, ora in modo assolutamente accattivante, spiegava la nascita della maschera del suo personaggio, il perché la scelta del cuoio come materiale, il tutto interrotto spesso da alcune sue confidenze. Ci ha rivelato che correva voce che la nostra guida si fosse presa una cotta per lui e ci dava il compito di indagare con discrezione per avere ulteriori conferme. Era diventato una specie di gioco. In ogni stanza in cui entravamo, Arlecchino faceva la sua comparsa improvvisando.
L’attrezzeria
Il terzo spazio che abbiamo visitato è stata l’attrezzeria. E’una specie di enorme ripostiglio in cui tutto il materiale usato sulla scena viene accuratamente catalogato e conservato. Si poteva trovare di tutto: pentole, specchi rotti, corone dei re, guanti da boxer, violini, bambole ma soprattutto alcuni materiali per creare effetti speciali. così come la macchina per riprodurre il soffiare del vento o il tuonare del cielo con dei granuli di sale che danno l’effetto della pioggia!
La sartoria
Il tempo stringeva e c’era ancora da visitare la sartoria. E’ stata grande la sorpresa nel vedere quanta manodopera e quanto tempo occorra per completare un vestito di scena. Tra i tanti ci sono stati mostrati il primo abito di Arlecchino composto da tanti pezzi di stoffa colorati uniti pazientemente uno ad uno, quello di Pulcinella, maschera del folclore napoletano caratterizzata da un naso adunco e l’andatura lenta e pesante e quella di Pantalone, mercante ricco e avaro, rappresentato come un vecchio scorbutico dalla maschera scura, naso aquilino, barbetta aguzza e un grossa casacca nera.
E’ stato grazie al lavoro di Giorgio Strehler che il Piccolo ha portato in scena e ha fatto conoscere al pubblico italiano i grandi testi della tradizione classica ? Shakespeare, Cechov e Goldoni in particolare ? ma anche gli autori del Novecento, soprattutto Beckett, Brecht e Pirandello. Dal 1950, ha portato i suoi spettacoli in quaranta Paesi esteri, diventando uno dei teatri più importanti del mondo.

La classe 2aC

Ex Clade Salus

Zivido di S.Giuliano-10 aprile, pomeriggio.

Rullano i tamburi, arrivano gli Svizzeri. Suggestivo. Pare di tornare al tragico 13 settembre 1515, quando su questi campi si battereno francesi e imperiali, i primi per la riconquista del milanese, i secondi per la sua difesa. Nella battaglia di Marignano (oggi Melegnano), definita poi Battaglia di Giganti, 30.000 svizzeri scesero dalle valli della Confederazione al servizio di Massimiliano Sforza (imperiali). Al termine della terribile battaglia, dai 5.000 ai 13.000 svizzeri rimasero sul terreno.

La Guardia

Ex Clade Salus
Un drappello di Guardie Svizzere Pontificie in congedo ( le più giovani in uniforme cinquecentesca, in cammino da Bellinzona a Roma per commemorare il 500° della fondazione della Guardia Svizzera) hanno ieri reso omaggio, alla presenza del console generale svizzero a Milano, al memoriale in pietra eretto accanto all’antica chiesetta di Zivido, testimone delle vicende di quei lontani giorni.

La cerimonia di Zivido

«Ex clade salus» è inciso nella lapide, ‘dalla sconfitta, la salvezza’. Quella tragedia, infatti, segnò talmente la Confederazione elvetica da indurla alla neutralità perpetua.

Il Memoriale

Gli ‘Schweizer Gardisten‘ più anziani mi dicevano di aver servito sotto i papi Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Come gesto di simpatia, l’Oberst (colonnello) Rüegger, conoscendo le debolezze dell’inviato del Calvino, gli ha fatto omaggio di una tavoletta originale di Militär-Schokolade.
Ne valeva la pena…

La cioccolata

ROBERT DEVEREUX, 2ND EARL OF ESSEX

Il primo sospetto mi venne il giorno in cui l’operaio che rumorosissimamente si attardava con l’infernale falciatrice sotto le finestre della mia classe a tagliare e ritagliare l’erba, parve seguirmi sotto ogni aula in cui mi spostavo.
Il giorno seguente, poi, lo vidi al bar della scuola e non mi sfuggì il suo schietto accento del Kent.

M’insospettì anche una sconosciuta, procace commessa bionda e occhi azzurri che amsizzò (trad. di: trashed, dall’it.:AMSA) le mie lezioni di storia inglese per due settimane entrando e rientrando in classe per futili motivi.

Il dubbio prese maggiore consistenza quando api, ragni ed altre amene creature entravano non autorizzate dalle finestre aperte ed intrattenevano gli esilarati studenti in piena spiegazione.

Un giorno, al top della lezione, là dove un prof non è più uomo ma titano, ben cinque studenti prezzolati interruppero a catena la lezione sui Sea Dogs elisabettiani per chiedere dizionari, righelli, compassi, persino il numero di una ragazza.

Il dubbio si fece certezza quando il giorno seguente, durante la lezione su Elizabeth, il possente elicottero che ogni mezzodì sorvola la scuola cingolando qualsiasi lezione, anzichè proseguire alto per la sua destinazione, si avvicinò in un fragore assordante e si fermò in hovering a mezz’aria giusto fuori dalle finestre della mia classe. Non mi fu difficile a quella distanza, pur tra il frastuono, il polverone sollevato dal rotore e i quaderni che volavano per ogni dove, cogliere il ghigno ironico del pilota e il suo inequivocabile dito indice.

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FRAMMENTI URBANI

LE LUCI DELLE AUTO
accendono e
spengono
con effimeri riflessi
intermittenti,
l’asfalto lucido e
la ringhiera della
corsia filovie.

Lampioni gialli
brillano
come stelle giganti
oltre i vetri
appannati e gocciolanti
del mio bus.

Lo sciaquìo delle ruote e
il tamburellare
della pioggia
sul tetto
ritmano
il viaggio di
volti mesti ed
umidi.

Un poster della stazione
di Porta Romana
supplica
“Delta:Lasciateci lavorare.”

PRIMA FERMATA

Il motore elettrico comincia a ronzare
sul lungo 15 arancione
fermo al capolinea di Rozzano.
I passeggeri attendono impazienti
nel brusìo,
il conduttore assente.
Una dolce brezza muove le foglie degli alberi
nel caldo, assolato meriggio.

Eccolo finalmente salire
e chiudere di schianto le tante porte.
Un brusco sobbalzo,
e parte il gigante,
con l’usuale
stridìo
di metallo sui binari.

Pali, transenne ed alberi
sfrecciano nel finestrino.
Realtà nuove si susseguono.
Prima fermata.

M.Pigni

Freud e la cioccolata

Mi sorprendo canticchiare l’operetta “Wien, Wien, nur du allein” mentre osservo dal bianco e rosso tram n. 2 l’imponente Rathaus e gli edifici neoclassici dell’Universität. Scendo un po’ perplesso alla fermata dello Schotten Ring, e, poco dopo, incrocio sospirando la Maria Theresien Straße. Costeggio ora l’austera mole della Rossauer Kaserne pensando al problema che da Rozzano mi conduce qvi, anzi, qui, a Vienna. Una follia che mi costa un occhio della testa.
Il semaforo della Türkenstraße è rosso. Un’ambulanza con sirena mi sfreccia lamentosamente davanti. Forse una profezia.
Verde. Proseguo in Schlickgasse e giungo alla fatidica Berggasse. Sono davanti alla mitica Haus Berggasse 19.
Il massiccio portone in legno coronato da grosse pietre levigate. Premo il citofono: S.Freud. Il portello scatta ed entro nell’androne illuminato da fioca luce. Scale. Secondo piano. Porta verde. Elegante. Suggestiva. Mi accoglie il barbuto professore in persona. Sono emozionato. La tappezzeria rossa, le porte in lacca bianca, le librerie stracolme, la luce discreta delle finestre primo novecento. Zeitgeist.
Colgo l’aspro odore di sigaro. Virginia, penso.
Guten Tag, sie sind rechtzeitig” siete puntuale.”Bitte liegen Sie unten auf der Couch” accomodatevi sul divano.”
Guten Tag, Herr Doktor. Ich komme von Rozzano, Provinz Mailand. Italien.” Ribatto eccitato e garrulo.
Ja, Ja, Jetzt, denke sie im liegen.” ora, rilassatevi e pensate. Il dottor Freud è ospitale e mite come lo sa esserlo l’auditor viennese che certifica la nostra scuola.
Mi sento meglio, proprio meglio.
“So?” Già, tocca me parlare, è la regola. Il tempo di Freud è prezioso e…costoso.
Sento la mia voce dire in un tedesco maccheronico: “Ich bin hier, ein ernstes Problem zu lösen, Herr Doktor.” Sono qui per un serio problema. (Ho mandato a memoria il discorso in aereo con un vocabolarietto.)
Frustration, Herr Doktor”.
“Hmm.” Fa Freud senza aggiungere altro. Il divano è proprio comodo, e mi vedo rispecchiato nelle lenti del grande psiconanalista che, come si sa, ascolta senza interferire.
“Alla fine di una pesante mattina di scuola…”,”Am Ende eines schweren Morgens der Arbeit mit den Studenten…
“L’unico sollievo dell’anima è una tavoletta di cioccolato dalla macchinetta.” “Der einziges Trost der Seele ist Schokolade vom Schuleverkaufäutomaten.”
Mit Haselnüßen.” Alle nocciole, aggiungo pedante.
Il professore sorride bonario, ma scruta la mia anima senza intervenire.
Sechzig Eurocents!” sessanta centesimi.
“Hmm.”
“La tavoletta viene avanti. Die Schokolade kommt vorwärts,”
Aber es stoppt am letzten Moment! Ma si ferma all’ultimo istante. Blockiert. Bloccata. Blockiert! Die Maschine ist kaputt.” “Und die Schokolade stoppt dort. E resta là. Unerreichbar, Herr Doktor! Irraggiungibile, inaccessibile, frustrante.”
“Profate le patatine!”, scoppia il dottore divertito, che un po’ d’italiano lo mastica per le sue vacanze in Tirolo, tirando un’azzurra boccata di sigaro.

GLI APACHE, KEATS E LA REGINA

Come il disincantato conte Chojnicki dice nel romanzo di Roth allo sconcertato Baron Trotta (mio spirito guida) “Franz Joseph kennt mich.”, così sua graziosa maestà Elisabeth II mi conosce. Ero in prima fila in piedi accanto al portone quella mattina di qualche anno fa durante la Sua augusta visita a Milano e, scendendo compostamente dalla Rolls a tre metri da dove stavo, guardò nella mia direzione e i nostri sguardi si incrociarono. Avrà pensato: ” Have we ever met before?” sì, maestà, nel New Mexico.

Quell’incontro e quello sguardo privato coronavano anni di passione sfrenata per l’Inghilterra e dintorni. Tutto era iniziato quella mattina del marzo 1963 nel bar di via Fatebenefratelli, quando un mio giovane amico offrì cinquanta lire alla famelica divinità allora nota come juke box.
Il braccio meccanico si mise in movimento, catturò un riluttante 45 giri in vinile dall’etichetta viola e l’inesorabile puntina fece il resto. Bang! La vita di un uomo può cambiare così.
In pochi istanti, il locale frequentato dagli agenti della questura, si trasformò per incanto in un angolo riarso del Nuovo Messico: Apache!
Non era una voce umana quella che eccheggiava tra il banco e i tavolini, era il ruggito possente di una Fender, con la Gibson la più famosa chitarra elettrica rock. Che sound, che impasto di timbri, e il battere suggestivo del tamburo… Era un call, una chiamata.

Quando la musica finì, mi sentìi prostrato, svuotato keatsianamente dalle emozioni vissute, folgorato dalla dea della musica. Chi suona? Chiesi. Sono inglesi, ‘The Shadows’ mi fu risposto, pronunciati allora alla meneghina, ‘de Scèdos’.

Finì con un fondo d’investimento. Cinquanta e cinquanta lire precipitavano garrulamente nello slot dell’insaziabile macchina fino ad esasperare gestore e avventori:” Te podet no cambiaa musica? Propi semper quella?”
Sì, cari sciùri, propi semper quella. Quel rombo impetuoso, quel tuono elettronico, quella titanica melodia evocava rocce rosse, mustang pezzati, uomini rossi e winchester, cespugli rotolanti: America!

Da allora emozioni a gogò, estasi sublimi, spettacoli, cuori infranti, l’art pour l’art… il registro blu da prof. d’inglese.

Alt! Fermi tutti. perchè già allora, nella Milano dei primi anni Sessanta, in coda alla cassa dei music shop con le seicento lire in mano, il dilemma inquietante si insinuava tra le pieghe della felicità: “Heard melodies are sweet, but those unheard are sweeter.” La fatale profezia di Keats turbava le ‘great expectations’ di un futuro prof d’inglese : estrarre l’ultimo disco degli Shadows fresco fresco da Londra dalla custodia e prepararsi alla delusione di una tune inferiore ad Apache, o lasciarlo riposare nella stillness della sua busta per sempre, incontaminato, avvolto nell’ovatta dell’immaginazione eccitata dal suggestivo titolo in inglese?
That was the question.

Perfidia (come la suonavano bene The Shadows)

La sirena cambia tono e pare sempre più vicina. Il lampo azzurro intermittente spazza la mia via. E’ per me, solo per me. I vicini si affacciano a curiosare. E’ il professore. Barcolla. Si appoggia ad un’auto ferma. E’ una vita che accompagno parenti sulle ambulanze, stavolta è tutta mia. Accidenti come sto male. Devo avere si e no cinque minuti di vita, lo si legge sui volti tesi dei volontari. Fagli un C12. Ossigeno. Tutto l’ossigeno. Mettigli la pinzetta al dito. E’ giunta la mia ora. Avanti una supplente. Cosa è successo, mi fa quello col modulo. Non ricordo, sono caduto in bagno, voglio un legale. E le verifiche di febbraio, penso, chi le correggerà? Mi dia un documento. Ma siamo seri, sto o non sto morendo? Il veicolo è ora lanciato nell’alba buia d’inverno. Il solito vecchio, penserà la gente svegliata dalla sirena. Ennò, cari miei, io di roba ne devo ancora spiegare, un insegnante non può lasciare un piano di lavoro a metà per il suo banale funerale. Che fifa, ragazzi, stavolta ci lasciamo le penne. Com’è bianco il soffitto. Mamma, che sbalzi. Come farà uno a morire? Siamo arrivati, fa lo zelante crocerossino per consolarmi. Oddio, Non respiro più. Era un brav’uomo, dirà il preside. Si stenda. Si fa presto a dire si stenda a un morituro. Acc, devo ancora interrogare il Cittrulli di 3S. Si assenta il furbetto, adesso imparerà a giocare con l’i-pod mentre spiego. Beh, ok, lo sentirò da ghost. Non mi sfuggirà più. Un voto che va dato, va dato. La sirena si spegne. Porte spalancate. Pronto soccorso. Infermieri annoiati. Com’è banale morire, penso. Insufficienza respiratoria. Urgente, via, spazio 4. Dalla barella al lettino a rotelle, viaaa verso la fineee. Che macabra gardaland. Com’è bello andar sulla carrozzella. Someone is knocking at yo’ do’ Oh Lord. It’s old sinner… Ah come la cantavano i Golden Gate Quartet. Elettrodi, presto. Nooo sul petto villoso con gli adesivi, voglio morire in pace. Tuttapposto. Alles in Ordnung diceva l’usciere di Schoenbrunn al barone von Trotta. Non è infarto. O bella. Lastre! Ecco qua, prof., solo due costole rotte: VI e VII.
Un duello al Prater all’alba per una leggiadra viennese? No. Guardi questo puntino bianco qui sotto l’ascella. Spillone Voodoo. Cittrulllliiiiiiiii, gran…!

GLORIA!, VIKTORIA!

GLORIA!, VIKTORIA!, ovvero:
Dell’Ascesa di un Uomo.

E’ indubbio che in questo ‘secolo brevissimo’, oltre alle date infauste a
noi tutte note, se ne elevi una che segnerà gli annali di storia: il venerdi
2 dicembre, giorno in cui ,dalla Regione più immediata al cuore del Vecchio Continente, è stato incoronato monarca illuminato dei
webmaster scolastici l’ineffabile, il cesareo

“König Paganini der Große”.

A prezzo di indicibili prove morali e fisiche note solo a pochi intimi,
l’Uomo è asceso ai fasti della gloria e del trionfo. E’, l’ora della
celebrazione e del riconoscimento, si faccia largo intorno a lui, si
allontanino gli adulatori dell’ultima ora. Non resta agli ammutoliti
colleghi che l’hanno visto nascere umile uomo di registro e cancellino, che ammirarlo tra i fumi d’incenso, in tutta la sua (anche corporea perché no?) statura.

Che rimane, se non sottolineare lo smisurato disegno che muove i passi di questo aulico ‘magister’ ben raffigurato dalla splendida vignetta del
prof.Colavolpe?
Già nascono detrattori e scettici, inevitabili compagni della gloria. Sei
“up the wheel” o aureo Paga, a magnifiche sorti e progressive.

Tuo indegno ma divoto collega, MARCO PIGNI

Visita al parlamento europeo di Strasburgo

La 5C del Liceo, vincitrice del concorso Europeo, è stata invitata, dal 26 al 28 settembre con altre tre scuole premiate, a vivere una giornata ospite del Parlamento di Strasburgo.
Lunedì 26 l’addio straziante a Rozzano, poi a macinare in bus chilometri e chilometri di vecchia Europa attraverso la Svizzera e poi su nell’alto e basso Reno fino alla tribolata terra d’Alsace, con sosta nella meravigliosa Colmar.
Poi via, verso Bischoffsheim al residence in piena campagna loro assegnato a sud di Strasbourg.

L’alba di martedì 27 settembre ha visto i nostri ragazzi balzare giù dalle brande ai secchi richiami prussiani dei loro insegnanti e passare un paio d’ore dopo, eleganti e profumati, il security check per fare il loro ingresso nel maestoso cortile del Batiment Louise Weiss scortati da attenti accompagnatori.
Poi tutti seduti in tribuna nella solenne sala del parlamento ad assistere, in cuffia, alla sessione di lavori sul centro d’accoglienza di Lampedusa.

Parlamento Europeo  - incontro degli studenti della quinta C con i deputati

Parlamento Europeo – incontro degli studenti della quinta C con i deputati

Di seguito l’emozionante incontro con i parlamentari italiani in un’austera sala di commissione con seggi e microfoni, ove gli onorevoli Agnoletto, La Russa, Musacchio, Pistelli, Pannella, Berlinguer e Schedereit si sono susseguiti ad illustrare il loro lavoro a Strasburgo e a replicare alle domande.

Parlamento Europeo  - incontro degli studenti della quinta C con i deputati

Parlamento Europeo – incontro degli studenti della quinta C con i deputati

Giunta l’ora di pranzo, l’invito in via eccezionale al ristorante dei parlamentari. Con compostezza, gli studenti del Calvino, circondati da famosi personaggi della politica e consci che anche la cucina è cultura, hanno lì consumato un sontuoso repas serviti da impeccabili camerieri. La classe non è acqua.
Il menu:
Boissons: Vin Wolfberger Sylvaner-Eau.
Gelée de Legumes cuit facon pot au feu parfumée au cerfeuil et jambon fumé.
Pavé de saumon roti et capucino d’herbes fraiches-
Délice du vendangeur sur biscuit vanille.

Nel pomeriggio, lasciati alle spalle gli imponenti edifici dell’Europa, si sono lasciati scivolare comodi a digerire, su un bateau mouche, lungo i canali della Strasbourg antica, con le sue incantevoli architetture alsaziane.

La Cattedrale

Cattedrale

Al tramonto, dopo un giro sul Carousel e un the in place Kleber, ritrovo davanti ai marmi rosati della cattedrale ardenti nell’ultima luce, e, con nelle orecchie una malinconica aria parigina suonata da una fisarmonica, via lungo Rue Leclerc e Rue de la Première Armée verso l’ultimo meritato diner alla Brasserie de la Bourse a degustare, tra una portata e l’altra, un calice di delizioso André Tempé rosso d’Alsace.

Les Acacias

LES ACACIAS

Mercoledì 28 settembre: risveglio soft con colazione tra i campi di cavoli e granoturco di Bischoffsheim e partenza assonnata verso Riquewihr, il villaggio dalle casette di marzapane lungo la Weinstrasse, la via del vino.
Ivi studenti e insegnanti del Calvino, inebriati dai vapori della vendemmia e dalla languida atmosfera decadente del fine gita, hanno dato il peggio di sé, riversando torrenti di euros in souvenirs, crepes, Bretzel, baguettes e verres de vin a volontà.
Tutto ha un inizio e una fine. Quindi Mulhouse, Basel, il passo del Gotthard, Chiasso e Rozzano, in tempo per la partita del Milan.

I docenti del Calvino all'incontro con i deputati

I docenti del Calvino all’incontro con i deputati

MARCO PIGNI