“Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem” ossia “Non moltiplicare gli enti se non necessario”; con questa affermazione Guglielmo di Occam, filosofo inglese del Trecento, diede vita al principio metodologico conosciuto con il nome di “Rasoio di Occam”.
Tale principio suggerisce, individuato un fenomeno che vogliamo analizzare, di scartare eventuali ipotesi aggiuntive che andrebbero solo a complicare la nostra formulazione e fermarci al primo stadio della nostra teoria, se già la riteniamo sufficiente. Ad esempio: se affermo che una pentola d’acqua messa su un fornello dopo un certo periodo di tempo bolle poiché ha raggiunto una data temperatura, potrei anche aggiungere che bolle poiché è il 6 dicembre 2012 o perché mi trovo a Milano; grazie al Rasoio di Occam siamo in grado di estrapolare un’unica teoria “purificata” da ogni assurda aggiunta; nel nostro caso sarà: l’acqua bolle poiché ha raggiunto la sua temperatura di ebollizione indipendentemente da in che giorno o dove si trovi. Di questo modo ci accorgiamo di come tutte le scienze moderne si avvalgano di tale principio per dar vita a degli enunciati, poiché, come visto in precedenza, senza di esso sarebbero infinite le ipotesi formulabili. Occam ci raccomanda quindi di stare ben lontani dalle complicazioni, poiché tra molte e diverse ipotesi la più semplice e sintetica (pur sempre ragionevole), è anche la più plausibile. Come dargli torto? La storia lo prova: le teorie più semplici hanno quasi sempre superato un maggior numero di controlli rispetto alle teorie più complesse.
Inoltre, con tale principio crollano i pilastri della metafisica e della gnoseologia tradizionale: cade il concetto di sostanza poiché delle cose noi conosciamo solo le qualità o gli accidenti che ci rivela l’esperienza. Altrettanto succede per il concetto metafisico di causa efficiente: ciò che si conosce grazie all’esperienza è la diversità tra causa ed effetto, ma non è necessario istituire un definito vincolo metafisico tra di essi. Occam non distingue perciò tra causa efficiente e causa finale poiché l’una non agisce perché desiderata dall’altra e inoltre perché non è possibile dimostrare che ogni evento abbia una causa finale. Non ha senso dire che il fuoco brucia in vista di un fine dal momento che non è necessario perché il fuoco bruci.
Il rasoio di Occam attua un processo di economizzazione della ragione che esclude dal mondo della scienza gli enti e i concetti considerati superflui, in primo luogo gli enti e i concetti metafisici.
Secondo voi quale potrebbe essere il miglior campo in cui attuare questo principio? Si pensi alla politica e alla Costituzione italiana: tanti eletti con le stesse idee e troppe leggi, a volte poco conciliabili fra loro. Perché non si getta tutto, politici e costituzione in una padella?
Come della pancetta si libera del proprio grasso per far sì che rimanga la vera sostanza carnosa, allo stesso modo noi potremmo ridurre il numero delle persone da eleggere, che portano solo confusione, e di quelle leggi con clausole cavillose, che non fanno altro che complicarci l’esistenza.
Forse è giunto il momento di applicare il rasoio di Occam alla politica, alla burocrazia, al diritto: staremmo tutti meglio.
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Viulenza !
“Viulenza!” era il motto di Diego Abatantuono nel film Eccezzziunale… veramente dove, in una delle scene più famose, in veste del capo degli ultras del Milan, si prepara al derby della domenica armando i suoi compagni “commilitoni” con mazze di ogni tipo, fionde e catene. Ovviamente questa è una scena di un film ed aveva lo scopo di far divertire lo spettatore amplificando il comportamento di alcuni tifosi di una squadra di calcio che si preparavano ad andare allo stadio per scontrarsi con i proprio acerrimi nemici. Diversamente accadeva invece durante il periodo dell’antico regime: passatempo preferito dei nobili non era infatti andare allo stadio bensì terrorizzare intere contee. Si pensi che i nobili erano autorizzati a portare fucili e spade di ogni tipo e a girare scortati da banditi e servitori armati. Erano diversi e piuttosto fantasiosi i modi con cui si divertivano: si recavano a delle aste e ammazzavano di botte il poveretto che osava rialzare la loro offerta; si travestivano da mendicanti e si appostavano in diversi luoghi chiedendo la carità ai passanti e, qualora questi non gliela avessero concessa, si smascheravano e ,con l’aiuto dei loro banditi, li assalivano; altri si divertivano invece a girare per i paesi e a sparare alle povere persone che gli capitavano sotto tiro.
Non solo i nobili ma anche le classi più basse si rendevano partecipi di atti delittuosi: erano centinaia le bande di contrabbandieri o banditi di strada e borseggiatori che giravano liberi per campagne e città razziando e uccidendo a piacimento qualunque cosa o persona gli capitasse sulla strada.
Data l’incontrollabile violenza, le punizioni erano esemplari per far sì che il popolo assistendovi fosse spinto a non commettere le stesse colpe dei condannati; ma il sistema non funzionò. Spesso le esecuzioni capitali perdevano la funzione di monito e diventavano uno spettacolo cui assistere allegramente. A volte poi era proprio il popolo il carnefice: in diverse occasioni, ad esempio, la folla lapidò o picchiò a morte persone messe alla gogna per aver commesso reati particolarmente aborriti, come la sodomia.
Credo ut intelligam, intelligo ut credam
“Credo per comprendere, comprendo per credere”. Con queste parole, Sant’ Agostino, afferma che condizione e fondamento della ricerca razionale debba essere la fede; d’altra parte l’uomo, grazie all’intelletto, può accogliere e comprenderne meglio i contenuti. Tuttavia è opportuno chiarire prima il significato dei termini “fede” e “ricerca razionale”: il primo, per definizione, è “la credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive”; il secondo è un procedimento condotto mediante l’uso della ragione e che si basa su dati reali e appurati.
Ciò che secondo noi è contraddittorio è il rapporto che lega entrambi questi termini: infatti se si ha fede in qualcosa, non si sente la necessità di dimostrare tale credenza, proprio perché è fondata sull’ autorità altrui (nel caso di Sant’Agostino, Dio) o su una convinzione personale. Dunque, ricordando le definizioni, si può affermare che la vera contraddizione sta nel tradire ciò in cui si ha fede cercando di dimostrarlo tramite l’intelletto.
Matteo Bonamassa, Luca D’Ambrosio