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Il sonno della ragione genera mostri

Sono passate oltre tre settimane da quando i telegiornali italiani hanno mostrato per la prima volta le immagini dell’attentato di Macerata. Si è discusso a lungo nei giorni successivi, il caso (avvenuto, per altro, nel pieno della campagna elettorale) è diventato per qualche tempo strumento di attacchi reciproci fra partiti prima di perdersi nel solito nulla di fatto e venire definitivamente archiviato tra le pagine di storia del nostro Paese.

Ci si è chiesti dove fossero i nomi delle vittime di questo attacco, perché nessuno parlasse di loro o delle loro vite, ci si è chiesti se fosse giusto che l’attenzione fosse rivolta soltanto sull’aggressore.

Personalmente, penso che sia stato giusto così. Credo sia giusto per diversi motivi; innanzitutto, la cronaca degli attentati ha da sempre teso a concentrarsi sull’attentatore e penso che il motivo sia semplice e condivisibile: in un attacco terroristico le vittime generalmente sono comparse casuali, non esiste un motivo specifico che le porti ad essere vittime designate, sono lo sfogo di una frustrazione, o comunque il simbolo di un messaggio e per questo non vi è necessità di indagare sulle cause che le portano ad essere aggredite. Gli aggressori invece sono ben determinati e il loro ruolo è figlio di una scelta che deve essere approfondita, preoccupandocisi di verificare quali situazioni abbiano portato l’attentatore a compiere l’attacco.

Credo poi che sia stato giusto focalizzarsi sulla figura di Luca Traini per un altro motivo, più personale e legato alla mia visione del Paese: penso infatti che sia corretto mettere al centro dell’attenzione l’italiano che si nutre di odio e crea paura. Noi italiani, infatti, tendiamo sempre a metterci dalla parte di chi subisce il terribile atteggiamento criminale degli immigrati, minacciati dalla loro pericolosa pelle nera, senza chiederci mai quale atteggiamento noi abbiamo nei loro confronti, quale paura possiamo incutere in persone spesso sole, lontane migliaia di chilometri da casa che faticano a comprendere la nostra lingua. Continua la lettura di Il sonno della ragione genera mostri

Autori di Riflessioni

Mi è capitato altre volte di trovarmi di fronte ad autori di libri che avevo letto. Gli scrittori sono parti molto speciali delle nostre vite, poiché sono in grado di raccontarci milioni di storie, incuriosirci con straordinarie avventure, tenerci compagnia per intere giornate senza tuttavia farsi mai vedere.
Si nascondono tra le parole dei loro libri, non hanno fisicità, sono astratti. Gli artisti vengono quasi oscurati dalle loro opere: non c’è alcun paragone tra la popolarità di J.K Rowling e quella del nostro Harry Potter, né c’è da discutere su chi sia il più conosciuto tra Geronimo Stilton e… un momento, chi ha scritto Geronimo Stilton?

Sono personaggi da scoprire, gli autori, tanto quanto quelli che loro stessi raccontano nei libri. Proprio per questo motivo l’incontro con lo scrittore Fabio Geda mi ha colpito particolarmente e forse un po’ più di tutti gli incontri avuti in precedenza. Talvolta, infatti, chi narra finisce per nascondersi nel proprio scritto persino in queste occasioni, tanto vi ci è abituato. Finisce per far parlare il libro al posto suo, si fa sostituire. Geda invece, ha fatto il processo opposto: ci ha parlato di lui, delle sue convinzioni e della sua visione del mondo, ci ha insomma mostrato sé stesso e quello che di lui c’è nel libro anziché mostrarci ciò che c’è del libro in lui.

frontespizio del libro Anime scalzeCredo che i concetti espressi nelle pagine di Anime Scalze abbiano preso forma e sostanza attraverso la condivisione di questo momento. Siano diventati quasi tangibili nella misura in cui si riflettevano nella persona che avevamo di fronte. In effetti, ci raccontava l’autore, la storia che abbiamo letto fa decisamente parte del suo vissuto, narra di vicende che lui ha toccato con mano, parla di ragazzi che ha conosciuto ed esperienze che ha fatto nel suo periodo di volontario in comunità italiane. Chiacchierare con lui ci ha consentito di ampliare il libro, espandendolo in direzioni talvolta inaspettate, ma soprattutto uscendo dallo schermo della fantasia per entrare in un vero e proprio sguardo sulla realtà che ci circonda. Ogni sua risposta portava in allegato una chiave di lettura sulla vita e sul mondo, una sua interpretazione intrisa, a mio modo di vedere, di tre concetti fondamentali: speranza, ricerca e accettazione. Tre momenti che si autoalimentano in un circolo virtuoso che ci aiuta a dare una direzione alla nostra vita e al nostro futuro, in una sorta di moto continuo che è necessario per evitare di farsi trascinare, se non travolgere, dagli eventi.
La metafora del fiume che scorre e viene percorso controcorrente dai ragazzi in canoa, che risplende nel tramonto del libro, è stata parte integrante della discussione con l’autore che ha più volte insistito sul costante mutare delle cose attorno a noi, sulla casualità, ma anche sul ruolo che noi possiamo avere nel guidare la nostra vita dove vogliamo portarla all’interno di queste correnti, tenendo sempre viva la speranza verso il futuro e nel cambiamento, accettando che le cose non saranno sempre perfette, ma comprendendo come anche un piccolo passo avanti sia meglio di non muoversi. L’idea è di non fermarsi mai, non smettere mai di cercare. Non importa l’età, il nostro passato, gli errori che abbiamo commesso. Procedere sempre. Scalzi e quindi liberi di esplorare, cercare i nostri confini, sporgerci e non avere paura, pur consci dei pericoli insiti nel processo.

Fabio Geda

Tornando in classe, al termine dell’incontro, avevo netta la sensazione che le due ore appena trascorse avessero avuto un reale valore, che mi avessero dato qualcosa che prima non avevo, che avessero completato un discorso che era rimasto aperto con la lettura del libro e che soprattutto ne avessero aperti altri su argomenti nuovi, ed è proprio sull’onda di questi stimoli, pensieri e visioni che mi ha regalato oggi che vorrei ringraziare Fabio Geda.

Martino Arioli