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La giustizia di Socrate

Socrate
Testa di Socrate, scultura di epoca romana conservata al Museo del Louvre

Socrate, grande filosofo del V secolo a.C., afferma nel Critone che: “È meglio patire ingiustizia che commetterla”.

Egli fa questa affermazione mentre cerca di persuadere l’amico Critone che è andato a trovarlo in carcere, a non corrompere i giudici che lo hanno condannato a morte, rimanendo fedele alla sua etica eudemonistica, ovvero l’uomo può ottenere la felicità solo agendo in modo buono e giusto.

Ha ragione lui oppure no?

Molti, davanti a questa affermazione, sarebbero inclini a criticarla poiché portati a pensare prima al proprio tornaconto personale, poi a quello della comunità, e quindi disposti a commettere un’ingiustizia verso gli altri, se a proprio vantaggio.

Però, così facendo si innescherebbe un sistema di atti empi a catena per vendicare quelli subiti e non si finirebbe più; perciò credo che Socrate abbia ragione dicendo che non si devono commettere ingiustizie ed è meglio subirle piuttosto che farle. Anche se non si può fare a meno di pensare per se stessi, certe volte bisogna pensare anche al bene del prossimo come se fosse il tuo e sopportare gli atti ingiusti di altri.

C’è da dire inoltre, sempre secondo Socrate, che anche coloro che commettono il male non lo fanno in modo consapevole, ma lo fanno pensando che sia il bene per la propria anima. Questo perché?

Perché l’uomo non sa quale sia il vero bene e, nel cercare di capirlo, spesso commette peccati e quindi provoca sofferenze ad altri. Non possiamo sapere con precisione quale sia il bene comune, ma di certo sappiamo bene qual è il nostro bene personale e, nel tentare di realizzarlo, si può fare del male ad altri.

Se non si conosce il bene, si pecca. Questa convinzione di Socrate è dovuta al fatto che egli considera l’anima umana solo come razionale, mentre, se si considera l’anima così come fece Platone cioè composta da tre parti, una razionale, una animosa e un’altra concupiscente, si può capire più facilmente perché un uomo pecca: perché in quel momento la parte di anima “dominante” nell’essere non era quella razionale, ma una delle altre due parti.

Il torto di Socrate fu quello di non considerare tutti gli aspetti dell’animo umano.

Inoltre secondo Socrate, sembra che le leggi siano assolutamente da non trasgredire e quindi egli accetterà il suo destino in base a ciò che esse dettano (finirà per bersi la cicuta).

Trovo giusto il fatto di dover rispettare una legge, ma non credo che la si debba prendere per “oro colato” perché, essendo stata fatta da altri uomini, non sempre si può definire giusta. Bisogna rispettare tutte le leggi che si reputano giuste e cercare di fare qualcosa per cambiare quelle che si reputano ingiuste. Quindi è giusto l’insegnamento di Socrate per cui bisogna rispettare le leggi, ma con il buon senso di saper contestare quelle sbagliate.

Ma cos’è il mito?

Un mito è una narrazione, dove solitamente i protagonisti sono dei ed eroi, relativa alle origini del mondo o alle modalità con cui il mondo stesso e le creature viventi hanno raggiunto la forma presente. La parola deriva dal greco mythos che significa parola, discorso, racconto. Solitamente le vicende narrate nel mito hanno luogo in un’epoca che precede la storia scritta.

Inizialmente i miti erano tramandati oralmente; per capire meglio come è fatto un mito ho provato a scriverne uno che risponde alle domande: perché l’uomo non può fare ciò che vuole? Perché alcuni fenomeni naturali sono catastrofici?

Una volta che Dio ebbe creato la Terra e i suoi abitanti, diede ad una delle sue creature, quella che gli parve essere la più ragionevole, il potere di esaudire ogni suo desiderio. Questo essere era l’uomo. All’inizio i suoi bisogni erano molto semplici: cibo per sfamarsi, un riparo per la notte…

Ma poi, quando l’uomo ebbe paura di un leone e desiderò qualcosa per far scappare la belva, apparve il fuoco e capì quanto era grande il suo potere. Iniziò a desiderare sempre più cibo e, dopo un lungo periodo di solitudine, desiderò una compagna con cui condividere le sue giornate; anche ella aveva questo strano dono, così chiese qualcosa che potesse unirla a quell’uomo in maniera profonda e le venne data la possibilità creare altri piccoli esseri della loro specie.

Così l’uomo e la donna riempirono la Terra di creature simili a loro.

Ma Dio, quando l’uomo chiese di poter essere più potente di tutti, persino di più di colui che tutto aveva creato, scatenò contro di lui e i suoi discendenti, tutta la forza della Terra: fulmini, tuoni, terremoti, maremoti e vulcani eruttanti. Dio tolse il potere all’uomo e, per sicurezza, anche alla donna, decidendo così di essere l’unico detentore di poteri straordinari. Per ricordare poi all’uomo e ai suoi figli ciò che aveva fatto, Dio con l’aiuto dei fenomeni terrestri, avrebbe ricordato periodicamente con catastrofi naturali chi dei due era e doveva essere il più forte. Come ulteriore punizione, Egli decise che la vita dell’uomo e di tutte gli abitanti della Terra doveva  avere sì un inizio ma anche una fine; così impose la morte su tutte le sue creature.

Non si riprese i precedenti oggetti di desiderio dell’uomo e della donna, ma venuta la loro ora, entrambi morirono.