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Protagora ha torto

Protagora afferma: “L’uomo è misura di tutte le cose, per quello che sono così come sono, per quello che non sono così come non sono”. Questa massima può essere interpretata in due modi:

  • interpretazione relativista: la natura delle cose è esattamente così come pare a ciascuno (quindi visione soggettiva)
  • accettazione dei limiti umani: gli uomini devono attenersi a criteri di giudizio esclusivamente umani, perché non possono confrontarsi con una verità assoluta e quindi divina.

Io non sono d’accordo con questo pensiero. A mio parere ogni persona ha una visione soggettiva delle cose e del mondo, ma spesso essa corrisponde all’oggettività e ad un pensiero comune considerato reale e concreto da tutti. Penso quindi che delle verità assolute con cui paragonarsi esistano e siano assolutamente accessibili dall’ uomo.

Per quello che ho capito sul pensiero di Protagora, se una persona dice “il sole brilla” e un’altra dice “il sole non brilla”, allora entrambe le affermazioni sono giuste. Secondo me non è vero perché ad esempio in questo caso, tra i pensieri dei due, una verità assoluta che può essere provata c’è, ed è che il sole brilla. Quindi ritengo esatta solamente la prima affermazione e di conseguenza, ritengo sbagliato il pensiero di Protagora.

Certo, Protagora potrebbe rispondermi: “per te il sole brilla, ma soltanto di giorno, per un cieco non brilla mai. E tutti e due avete ragione”. No, invece, perché io posso vedere il sole brillare solo di giorno ma ciò non significa che per me brilli solo in quel momento: esso non smette mai di brillare ma semplicemente lo fa da un’altra parte del mondo. Vi è quindi una spiegazione scientifica in grado di dimostrare ciò che è vero ed oggettivo. Il cieco non vede il sole brillare perché ha una percezione del mondo diversa, ma questo non significa che egli viva in un mondo concretamente diverso; quindi anche per lui ci devono essere delle certezze, magari anche dimostrate scientificamente, e queste portano al formarsi di pensieri comuni ed oggettivi.

La luna e la lanterna

In un epoca non definita, sul nostro pianeta, l’ umanità era vittima di un’ingiustizia divina.

Dovete sapere infatti che allora regnava incontrastata una entità superiore chiamata dio delle tenebre. Era a capo di un’ armata di ladri, briganti e uomini senza scrupoli. Incessantemente incutevano timore negli animi della gente, soprattutto di notte, quando le tenebre avvolgevano ogni luogo.

Solo una persona, o meglio un dio, osava contrastarlo: suo fratello minore. Gli esseri umani lo chiamavano liberatore perché aveva donato agli uomini una lanterna. Essa aveva un potere sovrannaturale: anche se conservata in un punto molto lontano dagli uomini era in grado di illuminare con un forte bagliore il percorso dei viaggiatori e di proteggerli nella notte buia.

Fu così deciso di custodire questa lanterna in un luogo sacro e segreto ma ben presto venne rintracciata e rubata dal dio delle tenebre. La paura ripiombò su tutti quanti. A chi chiedere aiuto? Per fortuna, c’era il liberatore.

Egli si schierò ancora contro il fratello e dopo una lunga battaglia che vide opposti il bene e il male, riuscì a recuperare la lanterna. Ma dove metterla per impedire un nuovo furto?

Il salvatore alzò gli occhi al cielo in cerca di ispirazione e la soluzione si materializzò… da quel giorno la notte è rischiarata dalla luna.