6 giugno 2013 – Reattore del Laboratorio Energia Nucleare Applicata (LENA) di Pavia: la chiara spiegazione e le interessanti osservazioni del ricercatore ci hanno permesso di approfondire le nostre conoscenze e, soprattutto, di mettere in discussione le nostre certezze sul nucleare.
Operai della Breda al lavoro nel reparto di produzione di siluri durante la Prima guerra mondiale, 1915-1918 (Fondazione Isec, fondo Breda)
Lo storico Alberto Caracciolo ha individuato una sorta di “peccato originale”, che avrebbe segnato il destino dell’industria italiana. L’affermarsi della Rivoluzione industriale in Italia può essere collocato, in gran parte, nell’età giolittiana (1901-1914). L’intervento statale ebbe un ruolo fondamentale nell’incentivare questa fase di crescita. Fu inoltre attuata una politica protezionistica, con l’imposizione di alte tasse sui prodotti esteri. Questo provvedimento, tuttavia, danneggiò le imprese del Sud, poichè i mercati esteri reagirono chiudendo le porte ai nostri prodotti tipici come olio, vino e agrumi. Dopo una fase di rallentamento dell’economia internazionale, con l’inizio della prima guerra mondiale, l’industria italiana, non solo si risollevò, ma conobbe un eccezionale sviluppo, dal momento che, in una guerra per la prima volta combattuta in trincea, sarebbe stata decisiva la disponibilità di equipaggiamento militare e ausiliario. Lo Stato si trasformò infatti in un “insaziabile consumatore”. Venivano inoltre accordati larghi anticipi per coprire i costi della produzione e il reinvestimento dei capitali era fortemente incentivato, grazie a una severa tassazione su quelli non investiti. Le imprese non dovevano preoccuparsi di costi di produzione o del rischio di perdite, come in normali condizioni di mercato. Queste condizioni straordinarie consentirono straordinarie crescite, come quella del gruppo siderurgico Ansaldo. Oltre a consentire lo sviluppo di importanti gruppi industriali, questo particolare contesto rivitalizzò settori fino a quel momento trascurati, come quello chimico o quello estrattivo. È in questa fase che, secondo lo storico Alberto Caracciolo, è rintracciabile il “peccato originale dell’industria italiana”. Alla fine della guerra, infatti, le industrie erano ormai eccessivamente abituate all’appoggio economico dello Stato e ad una politica protezionistica che non permetteva di confrontarsi con il mercato internazionale;
Tra il 1894 e il 1908 quattro forti scosse di terremoto devastarono la Calabria e l’Aspromonte. Quella del 1908 è sicuramente uno degli eventi naturali più catastrofici, che hanno colpito l’Europa nel secolo scorso. Si trattò di una scossa di di magnitudo 7,2 che in 37 secondi devastò soprattutto le province di Messina e Reggio Calabria. Il sisma si verificò intorno alle 5:20 di mattina e si stimarono più di 90.000 vittime. La relazione del Senato del Regno (1909) affermava:«Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro,[…] né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere». La generosità e l’appoggio del popolo italiano non tardarono a manifestarsi e prontamente iniziò la ricostruzione e la distribuzione dei sussidi raccolti, ma, come forse il lettore si aspetta, non mancarono i problemi. Dopo appena due mesi si riscontrarono gravi irregolarità nella gestione del dopo-terremoto. Il governo nominò una Commissione di inchiesta, che redasse una dettagliata relazione, dalla quale emersero gli abusi delle autorità centrali e locali. Come si legge nella relazione, il denaro fornito dal governo fu utilizzato per coprire «spese che avrebbero dovuto far carico ai comuni». Furono costruiti alloggi provvisori e, anche nella gestione di questo provvedimento, i comitati dimostrarono un atteggiamento corrotto. La commissione non si limitò a criticare i funzionari, ma anche la popolazione stessa, che considerò spesso il terremoto una fonte di lucro, tanto da attribuirgli il nomignolo “u binidittu”, il benedetto. La speculazione infine non risparmiò nemmeno la ricostruzione delle case. La Commissione sottolineò anche le responsabilità del governo in merito alla gestione dei fondi, che non vennero distribuiti con la rapidità necessaria e, spesso, in modo iniquo, a causa di negligenze o mancanza di organizzazione.