Cristoforo Colombo, in seguito alle scoperte dei Portoghesi, pensò che potesse esistere un altro universo oltre a quello già riportato sulle carte geografiche. Questo sarebbe stato scoperto solo navigando verso Occidente. Tuttavia la sua ipotesi venne criticata da molte persone, le quali sostenevano che quel mondo non potesse esistere. In seguito alla scoperta di Colombo gli stessi si dichiararono convinti che quella terra fosse già conosciuta e che quindi fosse stato un ritrovamento facile. Questi replicò alla loro critica mettendoli alla prova: chiese loro se fossero in grado di far stare in piedi un uovo. Nessuno ci riuscì. Allora Colombo ruppe l’estremità inferiore del guscio, dimostrando che in questo modo l’oggetto rimaneva in equilibrio. Così Colombo fece capire ai suoi contestatori che anche le cose più semplici avevano bisogno di essere scoperte.
Il primo viaggio di Colombo fu davvero incredibile, tanto che egli stesso dovette affrontare molte paure comuni al tempo, la più grande partire attraverso l’ignoto. Per questa impresa era necessario possedere una profonda conoscenza del mare accompagnata da un forte senso di volontà e da una buona dose di coraggio. Ci vollero circa quattro mesi prima della partenza. Vennero messe a disposizione tre caravelle, che furono ricordate nella storia col nome di Niña, Pinta e Santa Maria.
Aristotele divide i corpi terrestri in due categorie: privi di vita e viventi. Gli interessano soprattutto i secondi, perché sono i più complessi. Come molti antichi, egli interpreta la natura esistente attraverso un modello biomorfico: spiega il non vivente per mezzo di concetti maturati grazie all’analisi dei viventi. Gli esseri viventi e non viventi sono costituiti dagli stessi elementi, i primi però hanno una forma diversa: l’anima. Ma che cos’è l’anima? Aristotele lo spiega nel De Anima, introduzione alle sue opere di biologia. Definisce l’anima come «La forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza» o come «l’atto primo di un corpo naturale dotato di organi», dove “atto primo” indica il principio di ogni attività vivente.
Che differenza rispetto a Platone! L’anima non è più un essere indipendente dal corpo ed imprigionato in esso come in una prigione o in una tomba. L’anima è, per Aristotele, la struttura stessa del corpo e dirige il funzionamento dei suoi organi per mantenerlo in vita. Quando l’anima lascia il corpo, questo diventa un cadavere senza vita. Le funzioni dell’anima sono, per Aristotele, tre: vegetativa, sensitiva ed intellettiva. L’anima vegetativa governa le attività più elementari: la nutrizione e la riproduzione, ad esempio nelle piante; l’anima sensitiva, tipica degli animali, comprende le funzioni di quella vegetativa ed è arricchita dalla sensibilità e dal movimento. Infine gli uomini possiedono l’anima intellettiva, perché sono dotati dal pensiero e dalla volontà. L’anima intellettiva è superiore a quella vegetativa e sensitiva e svolge anche le loro funzioni inferiori. Per Aristotele l’anima è unitaria, invece per Platone è suddivisa in tre parti (razionale, animosa e concupiscibile) in conflitto fra loro.
Nel De Anima il filosofo afferma che la sensibilità è la capacità di provare percezioni attraverso i sensi. Percezione significa, per l’organo di senso, assumere la forma sensibile di un oggetto. La percezione è un passaggio dalla potenza all’atto sia dell’organo che percepisce sia dell’oggetto che è percepito in atto. Negli organi si forma un’immagine dell’oggetto chiamata phàntasma, conservata nella memoria e riprodotta dall’immaginazione (phantasìa).
Secondo la dottrina aristotelica, l’anima è forma, cioè organizza intimamente la struttura di ogni essere vivente. Tale dottrina ha permesso ad Aristotele di fondare la biologia. Egli anche in biologia resta fedele alla sua gnoseologia e parte sempre dall’osservazione diretta del mondo reale. Nel trattato Historia animalium, composto da otto libri, Aristotele descrive 581 specie diverse di animali da lui stesso osservate in Asia Minore e sull’isola di Lesbo. In seguito, nel De partibus animalium egli distingue tutti gli animali in generi e specie, e crea una classificazione rimasta invariata fino a Carlo Linneo nel Settecento.
Inizialmente Aristotele suddivide gli animali che possiedono sangue da quelli che ne sono privi (oggi tale divisione corrisponde alle due categorie di animali vertebrati ed invertebrati): tra i primi elenca i mammiferi (terrestri e vivipari), i rettili e gli anfibi (terrestri e ovipari), gli uccelli (aerei o vivipari) ed infine i pesci (acquatici e ovipari). All’interno della seconda categoria egli classifica gli animali privi di sangue secondo vari criteri, per esempio in base alla durezza o alla mollezza della pelle. Per la prima volta pratica la dissezione per studiare le parti interne di cui gli animali sono costituiti; grazie a tale procedura Aristotele distingue i tessuti, formati da parti omogenee e gli organi, formati da parti eterogenee. Studiando gli organi, il filosofo ricerca la causa finale, scopre così per primo l’importante principio della biologia, secondo il quale la funzione svolta dall’organo spiega anche come l’organo è fatto. Aristotele spiega così l’apparato locomotore, digerente, respiratorio e riproduttivo.
Durante la mattina del giorno 29 maggio 1453, il sultano turco Maometto II ordinò alle sue truppe di scagliarsi contro la città di Costantinopoli. L’inizio di questo aspro scontro era già cominciato alla fine dell’anno 1452, quando il capo della spedizione turca aveva mandato da Adrianopoli a Costantinopoli la dichiarazione di guerra. All’inzio di settembre Maometto giunse nella città con una schiera di circa cinquantamila uomini armati, affinché riuscissero a verificare la forza delle difese, mentre sul mare la flotta attraversava le acque del Bosforo.
Il ricco sultano aveva chiamato un uomo specializzato nella costruzione e nella fusione di bombarde, l’ungherese Urban. Dopo aver ricevuto una grossa somma di denaro iniziò a fabbricare l’arma da guerra, capace di abbattere contemporaneamente i tre ordini di mura di Costantinopoli, considerate invalicabili. Nel frattempo mentre l’imperatore Costantino XII chiedeva più volte al papato, ai governi italiani e ai sovrani dell’Europa occidentale di aiutarlo, iniziarono i lavori di rafforzamento della difese murarie e di perfezionamento del fossato che circondavavano la città.
Il 7 aprile del 1453 l’esercito turco diede inizio all’assedio mentre cinque giorni dopo arrivarono anche le imbarcazioni, predisposte a bloccare chiunque avesse tentato di trasportare rifornimenti sia alimentari sia militari all’esercito dell’imperatore Costantino XII.
I Turchi erano molto organizzati e disponevano di abbondanti risorse: possedevano un esercito efficiente, composto da circa centocinquantamila soldati, compresi diecimila “giannizzeri”, (truppe a piedi, forza strategica dell’esercito Ottomano) e una flotta imponente di circa centocinquanta navi da guerra. I Bizantini invece erano soltanto un decimo dei nemici, ed avevano l’aiuto di un piccolo gruppo di Genovesi e Veneziani; inoltre possedevano rispetto ai turchi circa un terzo delle loro imbarcazioni. Questi ultimi erano superiori ai Bizantini per la disponibilità delle armi da fuoco: il massiccio cannone realizzato da Urban infatti era capace di sparare persino proiettili del peso di quattro quintali.
Di fronte alla netta forza degli avversari, Costantinopoli reagì e dispose lungo l’imboccatura del Corno d’Oro una lunga catena dal veneziano Bartolomeo da Soligo. Il sultano Maometto impiegò di conseguenza migliaia di uomini per costruire in terraferma uno stretto passaggio fra il Bosforo e il Corno d’Oro, sul quale fece attraversare circa una settantina di biremi trascinate su tronchi di legno.
La sera del 28 maggio 1453 Maometto fece annunciare dagli araldi che avrebbe provocato la battaglia. Raggiunte le posizioni assegnate venne scatenato l’attacco: grazie ad un piccolo varco nelle mura, i soldati turchi penetrarono nella città e colsero di sorpresa i difensori. A mezzanotte il sultano, acclamato dai propri uomini, fece il suo ingresso nella città ormai distrutta. Il saccheggio, che durò all’incirca tre giorni vide omicidi ( anche quello di Costantino XII), stupri, spoliazioni di chiese e di palazzi. Morirono quattromila persone fra uomini donne e bambini e i restanti venti-venticinquemila furono catturati e in seguito venduti come schiavi.
La notizia dell’assedio di Costantinopoli si diffuse rapidamente in tutto il mondo, tanto da provocare sgomento e preoccupazione.
Tra il 1347 e il 1348 cominciò a svilupparsi in Europa una devastante epidemia, la peste, malattia trasmessa all’uomo attraverso la puntura delle pulci dei ratti. La morte rapida ed inspiegabile di uomini, donne e bambini cagionò paura all’interno di molte popolazioni, poiché non si conoscevano le cause.
Questa grave malattia si presentò in tre modi differenti: la peste “bubbonica”, definita così perché si manifestava con ascessi e tumefazioni delle ghiandole inguinali e ascellari, quella “polmonare” che colpiva i polmoni e quella “setticemica”, che si manifestava con ampie emorragie che davano luogo a chiazze nere. (La peste polmonare non si manifestò in Europa, ma solo tra i minatori della regione della Manciuria).
Gli uomini del Trecento chiamarono la malattia peste nera o morte nera. Perché? Alcuni storici pensano che il termine si riferisse alle macchie provocate dalla peste setticemica. Altri ritengono che questa espressione oscura volesse semplicemente dire “terribile” o “senza scampo”.
Come reagirono gli uomini del Medioevo? Pensarono che questo terribile flagello manifestasse una collera divina. I medici ipotizzarono che la malattia fosse legata alla “corruzione dell’aria” e consigliavano alla popolazione di evitare l’aria al di sopra delle acque stagnanti e degli acquitrini, di eliminare i cumuli di sporcizia, di lavarsi molto spesso le mani utilizzando acqua e aceto e soprattutto di tenersi lontano dai malati.
La malattia ci fu probabilmente portata dai corrieri mongoli che percorrevano l’Asia centrale, fino a raggiungere l’Europa, facilitando il contagio attraverso i topi annidati nei sacchi di grano, e fu aggravata dall’assenza di un sistema fognario nelle città che offrivano un ambiente ideale i ratti ed i loro parassiti.
Si capì presto che la miglior convenzione consisteva nel chiudere le porte delle città ai viandanti ed ai mercanti forestieri. Fu così che la città di Milano riuscì a scampare al contagio.
Tuttavia i medici del Trecento, non poterono arrestare questa devastante epidemia: non avevano sufficienti conoscenze scientifiche e non disponevano di farmaci adeguati.
Il tennistavolo (o tennis da tavolo), noto soprattutto col nome popolare di “ping pong”, è uno degli sport più diffusi nel mondo ed una specialità olimpica. Può essere svolto a qualsiasi età e si può giocare in luoghi ristretti, al chiuso e all’aperto. Per la pratica agonistica sono necessari spazi attrezzati al chiuso; richiede inoltre una preparazione psico-fisica a causa delle sollecitazioni, sia fisiche sia di concentrazione mentale, espresse nei brevi tempi di ogni scambio. Il tennis da tavolo si può praticare da due giocatori che gareggiano tra loro, oppure in due squadre composte da più atleti, che utilizzano una racchetta, una pallina e un tavolo idoneo. La pallina è vuota, sferica (di diametro 40mm) , molto leggera e può essere indifferentemente bianca o arancione. Nel gioco del tennistavolo è molto importante saper imprimere giro alla pallina, e saper rispondere a una palla girata, questo perché sebbene le racchette possano essere differenti tra loro, sono tutte sensibili al giro della pallina. Ogni giocatore, a seconda del proprio stile di gioco, utilizza la racchetta e due gomme che ritiene migliori. Le gomme inoltre si consumano, perdendo aderenza e devono essere sostituite periodicamente affinché abbiano sempre un’efficienza massima.
Esistono due differenti modi di impugnare la racchetta e quindi due diversi stili: lo stile “occidentale” consiste nel tenere il manico della racchetta con tre dita, l’indice sulla gomma di un lato della racchetta, il pollice sulla gomma dell’altro lato, lo stile “cinesino” o “a penna” consiste invece nel tenere il manico della racchetta nell’incavo della mano tra pollice ed indice. I giocatori possono utilizzare racchette di qualsiasi dimensione, forma e peso, ma il telaio deve essere rigido e soprattutto piatto. I telai potrebbero essere fatti anche in casa da alcuni artigiani, i quali si mettono a disposizione dei clienti per la realizzazione di racchette personalizzate. Personalmente da molto tempo desideravo acquistare una racchetta professionale e finalmente, grazie ai miei risparmi sono riuscito a realizzare questo sogno.