Tutti gli articoli di Laura Ricci

Come Giovanna d’Arco

Giovanna d'Arco
Jeanne d’Arc – Pittura, del 1485 circa, Centre Historique des Archives Nationales, Parigi

Rouen, 30 Maggio 1431: Giovanna d’Arco, eroina francese, protagonista indiscussa della guerra dei cent’anni viene arsa viva con l’accusa di eresia. Aveva diciannove anni. 7 Luglio 1456, la pulzella d’Orleans viene riconosciuta innocente. Le accuse cadono. 16 Maggio 1920: la giovane viene proclamata santa.

Ma come mai una ragazza della sua età diventò così importante e pericolosa da essere uccisa?

Quando la giovane rivoluzionaria, figlia di contadini, si presentò alla corte di Carlo, il delfino di Francia, sostenendo che Dio le avesse detto che era suo compito salvare la nazione, non furono in molti a crederle e fu solo dopo svariati interrogatori che il futuro re si decise, seppur con qualche rimostranza, ad affidarle un esercito. Quella fu probabilmente la miglior scelta che potesse fare, dal momento che in poco tempo la pulzella conseguì notevoli vittorie ottenute grazie al grande incoraggiamento che dava alle sue truppe, tra le quali la più famosa ad Orleans.
In seguito Carlo fu proclamato re a Reims e da questo momento iniziarono i problemi per Giovanna. La ragazza aveva ottenuto l’appoggio del popolo, ma nell’ambiente di corte era diventata ingombrante. Lo stesso Carlo VII non le affidò un altro esercito e quando venne catturata durante un attacco a Compiègne era praticamente sola. Fatta prigioniera dai Borgognoni venne presto venduta agli inglesi che la accusarono di eresia e stregoneria. Il re di Francia non mosse un dito per liberarla, sebbene sapesse che se la giovane fosse stata dichiarata eretica anche la sua posizione sul trono avrebbe vacillato. Il processo si aprì il 9 Gennaio 1431 e fu presieduto da due giudici ecclesiastici, il vescovo Pierre Cauchon e l’inquisitore Jean le Maistre, ma in realtà fu interamente guidato da un folto gruppo di teologi dell’Università di Parigi, che parteciparono al processo come assessori. Gli interrogatori a cui venne sottoposta puntavano a farle dire qualcosa che potesse essere indizio di eresia o stregoneria. Gli inquisitori volevano far crollare Giovanna e probabilmente pensavano che sarebbe stato un compito facile data la sua età e le sue umili origini, ma la pulzella rispondeva a tutte le domande con fermezza e con una punta di ironia. Quando furono letti all’imputata i settanta articoli di accusa, poté constatare che molti erano palesemente falsi, come l’accusa di bestemmia. Ma agli inquisitori non interessava altro che eliminarla. Chissà come avrebbero reagito sapendo che stavano chiamando strega una Santa?

La ragazza fece un appello al giudizio del Papa, che però venne respinto dal tribunale. La sentenza arrivò inesorabile e prevista: morte. Giovanna ricevette per l’ultima volta la Comunione e chiese che davanti al suo rogo fosse posta una croce di processione. Da notare è il fatto che per contrappasso una sua statua sia stata posta nella cattedrale di Winchester, dinnanzi alla tomba del Cardinale Beaufort, il quale ebbe un ruolo decisivo nel tragico processo.

La salvatrice di Francia era diventata troppo potente, troppo importante per rimanere in vita.

Per molti secoli è stata esempio di una grande condottiera, di tenacia e di forza spirituale; è stata ed è tutt’ora un modello per molte giovani che, come lei hanno deciso di non rimanere in disparte.

Socrate e la ricerca del sapere

Molto spesso gli studenti non sono stimolati allo studio, perché trovandosi davanti ad intere pagine piene di nozioni all’apparenza senza significato, concepiscono questa attività come passiva e noiosa. Ci si imbatte, infatti, nel limite di dover studiare problemi già risolti e discussioni già concluse, senza poter prendere parte a un processo che invece dovrebbe coinvolgere in prima persona, in quanto riguarda lo sviluppo della propria conoscenza.
Socrate aveva compreso che lo studente deve partecipare attivamente nella ricerca del sapere, per sviluppare una concezione critica del mondo che lo circonda. Lo studio dunque non deve concretizzarsi come una presuntuosa conquista della saggezza, ma piuttosto come un’umile accettazione della propria ignoranza, in vista di un confronto con il proprio insegnante, che porti entrambi a sviluppare un’opinione che sia allo stesso tempo personale e universale, riguardo le forze e i principi che regolano il mondo.
In questo senso lo studio porta anche a evadere dalle rigide discipline scolastiche e a evolvere una mente consapevole in grado di cogliere concetti etici che indichino la giusta via per raggiungere la felicità. Questa infatti non può concretizzarsi nelle persone che non abbiano maturato l’attitudine al ragionamento, la quale si può apprendere solo attraverso un confronto diretto con altre menti fertili: non a caso i regimi dittatoriali si basano su un’istituzione unilaterale che non permette il contatto con correnti di pensiero alternative.
Socrate sembra riassumere ciò nel concetto ripreso da Platone nel Gorgia con le seguenti parole: “Di tutte le ricerche la più bella è proprio questa: indagare quale debba essere l’uomo, cosa l’uomo debba fare”. Ecco perché è importante capire quale sia il giusto metodo con cui rapportarsi alla realtà, per comportarsi virtuosamente e raggiungere la felicità.

Il mito e realtà

Quando ero piccola, prima di andare a dormire, amavo farmi raccontare una favola dai miei genitori, non importava se narrasse di potenti cavalieri o di animali parlanti, la cosa fondamentale era viaggiare con la fantasia prima di entrare nel mondo dei sogni. Sicuramente sarà capitato anche ai bambini che hanno vissuto nell’antica Grecia di farsi raccontare delle storie dagli adulti, ma di cosa parlavano?

Io credo che fin da piccoli gli antichi greci fossero stati abituati a sentir narrare le mitiche imprese di eroi e dei come Perseo, Zeus od Orfeo, gli infanti ateniesi, così come i bambini al giorno d’oggi per quanto riguarda i racconti evangelici, capivano che quelle che ascoltavano non erano semplici storielle, ma qualcosa di più importante e profondo.  I miti, infatti, non sono nati con uno scopo ludico, come si può pensare, ma con l’intento di spiegare fenomeni come la creazione del mondo, la nascita dell’uomo, la presenza del male sulla Terra ecc.. Le conoscenze fisiche e scientifiche di allora non bastavano a definire avvenimenti come i fulmini, il fuoco o l’alternarsi delle stagioni, quindi venivano creati miti su Zeus e la sua Folgore, sul rapimento di Persefone e sul coraggio di Prometeo. Ci si potrebbe chiedere come i dotti dell’epoca avessero accettato delle spiegazioni così prive di fondamenta, ma la verità é che il mito non è mai stato una semplice storiella: era un modo per definire e conoscere la propria realtà, sanciva delle verità che non erano mai state messe in discussione. Tutto ciò fino all’avvento della filosofia che, a differenza del mito, ha cercato di rispondere ai quesiti dell’uomo con un discorso razionale e verosimile, supportato da varie argomentazioni. Ciò non toglie che i miti siano stati una delle colonne portanti delle civiltà antiche, talmente importanti da essere stati tramandati per secoli oralmente ed infine trascritti per giungere fino a noi.

Prometeo
Jean-Simon Berthélemy e Jean-Baptiste Mauzaisse, Prometeo dà vita all’uomo, fresca, 1802, Parigi, Louvre.