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Dio si fa!

È proprio con queste parole che il nostro amico filosofo Hegel definisce Dio, ma (ahimè) non ci sta dicendo che Dio sia un fattone. Secondo Hegel Dio è tutto e tutto è Dio, anche tu caro lettore sei una parte di Dio! In altre parole Hegel afferma che Dio prende coscienza di se stesso gradualmente grazie a noi. Ma come? In sostanza si forma e progredisce grazie alla nostra morte, ossia: noi siamo rappresentazioni finite di Dio, che, ovviamente, non è finito. Ciò significa che noi, in quanto esseri determinati, siamo negazione di qualcosa, quindi nel momento della nostra morte si ha la negazione di una negazione, ovvero un’affermazione; più precisamente, la negazione del finito è l’affermazione dell’infinito, cioè di Dio.

Dio, però, non progredisce solo attraverso la nostra morte ma (per fortuna!) anche grazie alla nostra vita; infatti secondo Hegel noi siamo stimolati ad agire nel momento in cui ci troviamo di fronte ad un ostacolo, di conseguenza cresciamo, e con noi anche Dio, poiché noi siamo suoi momenti.

In entrambe le situazioni tutto si basa sul susseguirsi di tesi, antitesi e sintesi. Per capire meglio cosa intenda Hegel con questi termini prendiamo il seguente esempio: noi nasciamo in una condizione di innocenza (tesi), ossia non conosciamo il vizio; crescendo scopriamo l’esistenza del vizio (antitesi); la virtù è la sintesi, cioè il saper vivere in modo innocente pur conoscendo il vizio.

Tutta la storia e la realtà procedono secondo questo sistema dialettico.

Gabriele Bertoli, Roberta Bertoli & Federica Landais.

Calcio per ciechi? Wow!

due calciatori non vedenti
due calciatori non vedenti

Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sul calcio per non vedenti, quindi eccovi qui alcune veloci informazioni!

Ebbene sì ragazzi e ragazze, esiste anche il calcio per non vedenti! Come primo pensiero verrebbe da dire “Veramente? Ma come cavolo fanno a giocare?” (però non ridere, saresti una brutta persona!); le regole sono queste:

Il campo è quello del calcetto (a cinque) modificato con protezioni sulle linee laterali per evitare le rimesse. Il pallone non rimbalza molto e presenta al suo interno dei sonagli, in modo che i calciatori possano riconoscere acusticamente la sua posizione in ogni momento; i giocatori sono tutti non vedenti, tranne il portiere, ma vengono comunque bendati per non avvantaggiare quelli che hanno maggiore grado di visibilità (ad esempio alcuni riescono a distinguere la ombre). A bordo campo c’è l’allenatore (vedente) che detta istruzioni su come muoversi. Le partite sono formate da due tempi regolamentari da 25 minuti ciscuno.

Il primo campionato venne organizzato negli anni Ottanta in Brasile,  e nel 2004 il calcio per non vedenti ufficialmente entrò a far parte delle discipline Para Olimpiche. Il brasile ha già vinto 3 mondiali di Calcio per Ciechi; anche chi perde, però, è già vincitore di una grande impresa.

Gabriele Bertoli

L’inferno delle trincee

Trincea inglese 1916
Trincea inglese 1916

Durante la Prima Guerra Mondiale si ricorse spesso alle trincee, come sistema difensivo nelle guerre di posizione: un fossato più o meno profondo, scavato al momento nel terreno, che veniva utilizzato anche come rifugio. Era la tattica necessaria per aumentare le probabilità di sopravvivere, ma se riuscivi a non morire, era come vivere in un inferno.

Le condizioni igieniche erano indecenti: per soddisfare i bisogni fisiologici era presente una buca, nelle vicinanze della trincea, che nei giorni di pioggia si trasformavano in qualcosa di osceno (basta solo immaginarlo per crederci!); altre volte, era la trincea stessa a diventare una latrina. I vestiti utilizzati dai soldati erano gli stessi per settimane, pulci e pidocchi non tardarono a trovare nuovi ‘amici’. Spesso, inoltre, gironzolavano topi o altri animali, che infastidivano i soldati rosicchiando attrezzature e cibarie; come se non bastasse, una delle condizioni peggiori, era dettata dal clima, sia che fosse caldo o freddo, che ci fosse vento o piovesse.

L’idea della morte assillava i soldati giorno e notte, erano obbligati a conviverci: bombardamenti dell’artiglieria, attacchi nemici e soprattutto assalti diretti alle trincee dei nemici. Ora sei vivo, ora hai una pallottola nel petto. Questi soldati sono persone come noi; hanno paura, sono nervosi, stressati, magari vengono presi da attacchi di vomito o di diarrea, alcuni hanno crisi di allucinazioni e trovano l’unica soluzione nel suicidio. Ma allora perchè combattere?

Molti studiosi individuano una ragione nel patriottismo, nel sentimento nazionale; un altro motivo che spingeva i soldati ad andare avanti era la solidarietà tra le piccole unità combattenti. Ma siamo sicuri che i soldati non fossero semplicemente obbligati a combattere dai loro comandanti? Dobbiamo tenere conto che spesso disertare significava essere fucilati dal proprio ufficiale, che – secondo varie testimonianze – si posizionava dietro la truppe con il compito di “serra-fila”, proprio per giustiziare chi voleva defilarsi. anche se un soldato fosse riuscito a scappare, probabilmente non avrebbe trovato rifugio nemmeno in famiglia; disertare non significava solo umiliare la propria famiglia, ma anche ridurla in miseria!

Le olimpiadi nel passato

Chiunque sa cosa siano le Olimpiadi, ma le antiche origini sono in pratica sconosciute a molti di noi; cerchiamo di far emergere qualche dettaglio interessante.

La prima Olimpiade antica venne organizzata nel 776 a.C. ad Olimpia, in onore dei defunti e delle divinità. Questi eventi erano considerati manifestazioni sia atletiche sia religiose, in onore di Zeus, re degli dei, e ovviamente erano visti come spettacolo di massa. Gli atleti gareggiavano nudi, vestiti della propria virtù.

Col passare del tempo cominciò a dilagare la corruzione e il Cristianesimo vedeva questi giochi una sorta di festa pagana, inaccettabile, poiché veniva messo in evidenza il corpo e non l’anima; fu quindi con l’imperatore romano Teodosio che nel 393 d.C. le Olimpiadi vennero sospese.
In molti tentarono di riesumare i valori olimpici e grazie al barone francese Pierre de Coubertin nel 1896 d.C. fu ufficialmente aperta la prima edizione delle Olimpiadi Moderne, che si svolse ad Atene. Alle donne era vietato gareggiare, tanto per cambiare.
Venne introdotto il simbolo dei cinque anelli, usando i colori che compaiono sulle bandiere di tutto il mondo. A ogni colore corrisponde un continente: blu per l’Europa, nero per l’Africa, rosso per le Americhe, verde per l’Oceania e giallo per l’Asia. Con questo simbolo il barone francese Pierre de Coubertin voleva sottolineare lo spirito di fratellanza e di unione dei continenti.

Anche Hitler è riuscito a lasciare un segno, poichè fu proprio con lui che venne introdotta la fiaccola olimpica; inoltre, durante le olimpiadi di Berlino, venne reinserito il calcio e fu introdotta la pallacanestro.

cinque anelli olimpici
cinque anelli olimpici

Con le Olimpiadi moderne sono cambiate molte cose. Gli alteti gareggiano vestiti, l’evento non è più considerato religioso, sono stati introdotti vari sport e alle donne è permesso gareggiare. Un breve accenno va anche fatto alle Paraolimpiadi, ossia le Olimpiadi dei disabili. Purtroppo non credo che molte persone seguano questo evento, tuttavia sono interessanti. Ad esempio esiste il calcio per ciechi!

Nonostante tutti questi cambiamenti, il cuore di questo evento mondiale è rimasto lo stesso: trovare un momento di ritrovo e unione in cui confrontarsi a livello atletico, e il premio non sono soldi, ma onore e medaglie. Come disse il vescovo anglicano Ethelbert Talbot (e non Pierre de Coubertin, come affermano vari libri) “l’importante non è vincere, ma partecipare”; ma ad essere sinceri un atleta olimpico può arrivare a essere pagato fino a 50 milioni di dollari (per esempio Lebron James o Kobe Bryant, mica male!).

Gabriele Bertoli e Andrea Vaghi