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Atatürk: il padre dei Turchi

Atatürk
Dopo la prima guerra mondiale la Turchia era un paese sconfitto e occupato dalle potenze straniere, intenzionate a smembrare l’Impero ottomano. Le condizioni di pace furono durissime: l’obiettivo era quello di annientare la Turchia. Il sultano Maometto IV e i suoi ministri si sottomisero alla volontà dei vincitori; tuttavia non tutti si rassegnarono: nell’esercito, forti anche dell’appoggio della popolazione,  numerosi ufficiali erano contrari alla politica servile e succube. Fra questi vi era anche Mustafà Kemal, futuro Atatürk, che riuscì ad evitare una terribile sorte al suo paese.
Così il 15 maggio 1919, i Greci, sostenuti dagli Alleati, occuparono l’importantissima città di Smirne. Questa invasione fu considerata da tutti i cittadini turchi un terribile affronto a cui non si poteva restare inermi. L’evento coincise con la partenza di Kemal verso l’Anatolia, luogo dove doveva essere sovrascritto l’accordo di disarmo delle truppe ottomane.
Il sultano mai si sarebbe immaginato che un o dei suoi migliori generali gli si sarebbe rivoltato contro e avrebbe organizzato una resistenza interna. Dopo aver rassegnato le dimissioni dall’esercito, Kemal si ribellò all’annunciato smembramento del paese. Gli obiettivi erano l’indipendenza e la sovranità della nazione.
Nel marzo 1920 Kemal riunì un’assemblea nazionale di cui divenne il primo presidente. Ormai era evidente che  in Turchia c’erano due poteri, e che una guerra civile tra i nazionalisti di Kemal e il governo del sultano, oltre a una guerra d’indipendenza contro gli stranieri invasori (Greci, Inglesi, Francesi) erano inevitabili.
Nel 1922 i Kemalisti riuscirono ad avere la meglio, entrarono in Smirne e trattarono con gli alleati occidentali.
La Turchia venne riconosciuta libera, sovrana e indipendente. Il 29 ottobre 1923 in Turchia venne proclamata la Repubblica e Kemal ne divenne il primo presidente. Il suo prestigio aumentò esponenzialmente: fu rinominato Atatürk, il “padre dei Turchi”.

Il neopresidente iniziò subito un intenso programma di riforme per far entrare la Turchia nella civiltà.
Le sue idee-forza erano il nazionalismo, il populismo, il riformismo, il laicismo, il repubblicanesimo e lo statalismo, e considerando queste mise mano in tutti i settori: istituzione,diritto, religione, istruzione, costumi, vita quotidiana.

Per quanto riguarda la religione, secondo Atatürk uno Stato civilizzato è innanzitutto uno Stato laico, per questo liberò in grande misura l’islam dalla Turchia, abbandonado la legge religiosa per una legislazione  di tipo  occidentale, non considerando più l’islam la religione di Stato, e sopprimendo il sultanato e il califfato. Anche la società e la cultura vennero laicizzate. Venne eliminata la poligamia, le donne ottennero gli stessi i diritti di voto e di uguaglianza in materia ereditaria, l’insegnameto religioso lentamente scomparve. Infine si avvicinò decisamente alla cultura occidentale, sostituendo i caratteri arabi con quelli latini, il calendario dell’egira con quello gregoriano, e il giorno di riposo del venerdì con la domenica. Anche lo spazio venne unificato tramite una rete ferroviaria di ultima generazione di 2800 chilometri.

Atatürk attuò anche numerose  riforme ecomomiche, con il fine di porre fine all’arretratezza e avviare una politica di industrializzazione. Dopo anni difficili per le guerre (la prima guerra mondiale e quella di indipendenza) e l’indebitamento dello stato, la ripresa economica era compromessa.
Inizialmente la politica fu di tipo liberista, con solo un contributo iniziale dello stato all’industria. Tuttavia la crescita, per la forte concorrenza, rimase debole. Con la crisi del 1929 l’economia fu colpita duramente. I dirigenti kemalisti cambiarono orientamento, indirizzandosi verso il protezionismo e il dirigismo (politica di intervento dello stato nelle vicende economiche).
La Turchia così riuscì a diventare meno dipendente dall’estero e a risollevare l’economia, anche se non ci fu un vero e proprio Boom.
Le riforme necessariamente suscitarono resistenza sia nello stesso ambiente di Atatürk, sia fra il popolo. Soprattutto in Anatolia scoppiò una rivolta curda (popolo che ancora adesso non accetta la sovranità turca), in nome della difesa dell’islam. Kemal ne approfittò e ottenne il controllo della stampa e il totale potere giudiziario. La giustizia divenne del tutto arbitraria, i tribunali sommari. Fino al 1929 si contarono 7500 arresti, 600 esecuzioni. Dopo pochi anni non vi era più alcuna opposizione organizzata.
Ma di che natura era il governo kemalista? Dittatura o democrazia? Dittatura senza dubbio. Anche se siamo lontani dal totalitarismo, in quanto non cercò mai di irregimentare la società, (non istaurò né organizzazioni giovanili, né milizie) Atatürk ebbe fino alla sua morte poteri quasi illimitati.

Atatürk è tuttora oggetto in Turchia di un vero e proprio culto. L’insulto alla sua persona è un reato, e il preambolo della Costituzione della Repubblica turca è dedicato a lui: «Il capo immortale e l’eroe senza rivali» (Preambolo della Costituzione della Repubblica Turca)

Francesco Mastrogiovanni

La condizione di vita dei soldati nelle trincee durante la Prima guerra mondiale

La trincea, un fossato scavato nel terreno al fine di offrire riparo al fuoco nemico, è un antichissimo sistema difensivo utilizzato nelle guerre di posizione. Durante la prima guerra mondiale raggiunse il massimo utilizzo.

In questo conflitto i militari furono costretti a viverci per quattro lunghissimi anni, in pessime condizioni:

  • per la sporcizia, infatti la mancanza di igiene trasformò ben presto le trincee in un rifugio per topi che prolificarono a dismisura
  • per le intemperie climatiche,  in quanto d’estate il caldo, d’inverno la neve, il gelo, la pioggia erano insopportabili
  • ma soprattutto per lo stato di tensione continua che logorava i nervi. Ciò che rendeva le sofferenze inaccettabili era la onnipresente presenza della morte incombente: un soldato dopo colazione non sapeva se sarebbe arrivato a cena… Inoltre aveva davanti a se uno spettacolo agghiacciante: i cadaveri rimanevano tra le opposte trincee, nella zona chiamata terra di nessuno, per giorni, talvolta per sempre.

Questa situazione accomunava gli eserciti di entrambi gli schieramenti. Sicuramente la vera dispensatrice di morte e il vero terrore fu l’artiglieria, che con gli incessanti bombardamenti causò circa il 70% dei morti e dei feriti nel corso del conflitto. Prima di un attacco alle trincee nemiche, queste venivano martellate da bombardamenti lunghi ed incessanti. Ove non vi era l’effetto distruttivo di queste armi, vi era tuttavia il terrore, la confusione e lo stress provocati dalle continue deflagrazioni, che arrivavano a durare anche numerose giornate consecutive. L’obiettivo era quello di stordire e spaventare il nemico trincerato, così che non potesse reagire con determinazione all’imminente assalto. Assalto che era per i soldati il peggiore momento della guerra. Il preannuncio dell’attacco era di pochi minuti o al massimo di un paio d’ore, e proprio l’attesa era il momento più angosciante.

Tutti i soldati sapevano che molti di loro sarebbero rimasti impigliati nel filo spinato e sarebbero diventati obiettivi ideali per i tiratori nemici, ma sopratutto erano consapevoli che era tutta la loro azione sarebbe stata inutile: anche se fossero riusciti a conquistare la prima linea, avrebbero ricevuto la controffensiva della seconda linea e sarebbero stati ricacciati indietro. Ovviamente per tutti questi motivi la resistenza nervosa dei soldati fu messa a dura prova: i più “duri” avevano singhiozzi convulsivi, tremori, conati di vomito, e prostrazioni, i più sensibili  arrivavano addirittura alla ribellione, alla diserzione, alla follia e al suicidio. Comunque, quando veniva impartito un ordine, l’attacco veniva sferrato.

Una forza che permetteva ai soldati di continuare a combattere nonostante tutto fu la solidarietà. Essi sapevano che erano tutti sulla stessa barca, nessuno escluso. Lo spirito di corpo e il cameratismo davano un senso di unione e di coesione ai soldati, che diventarono un’unica grande famiglia. Questo concetto è espresso bene della poesia Fratelli di Ungaretti del 1916.

Trincea

« Di che reggimento siete fratelli?

Parola tremante nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante

involontaria rivolta

dell’uomo presente alla sua

fragilità

Fratelli»

Comunque anche l’uso della fucilazione, e soprattutto la pressione psicologica subita dai militari e dalle loro famiglie “persuadeva” loro a combattere… Come avrebbero fatto infatti a passare la prima e la seconda linea, a sfuggire ai controlli della polizia e a tornare a casa? E se anche ci fossero riusciti, come avrebbero reagito i parenti? Dopo quanto tempo sarebbero stati denunciati alle autorità? E chi avrebbe offerto loro un lavoro?

Non rimaneva che obbedire agli ordini e combattere.

Francesco Mastrogiovanni