I maggiori esponenti del movimento sofista sono due: Protagora e Gorgia.
I due filosofi scrissero molto di un tema, l’oratoria, e in maniera diversa.
Gorgia, in particolare, crede molto all’uso di quest’arte perciò pensa che anche la tesi più sbagliata possa essere trasmessa a un gruppo di ascoltatori se si amministra nel modo giusto l’arte del parlare, l’oratoria appunto.
Diciamo quindi che Gorgia pensava di poter spingere i suoi ascoltatori a credere e accettare il suo punto di vista grazie al suo modo di parlare.
Si potrebbe vederlo, in un certo senso, come un abile ingannatore, la cui unica arma era la comunicazione.
Una sola frase può riassumere la sua idea: “la parola sta all’anima come la medicina sta al corpo”.
Una proporzione particolare e non proprio matematica ma messa in questo modo potrebbe far sembrare l’oratore come dottore dell’anima di chi ascolta.
È quello in cui crede Gorgia ma è un concetto decisamente impensabile per molti. Proprio in questo sta la filosofia di Gorgia: portare l’ascoltatore a pensare che argomenti su cui una persona non ha mai ragionato sono facili e facilmente condivisibili.
Ed ecco perché la parola è medicina dell’anima. Un discorso può eliminare dubbi o pensieri contrastanti in una persona, sostanzialmente può fare del bene se “assunta” nel modo corretto. E “leggere attentamente il foglio illustrativo” potrebbe essere un’avvertenza da fare a coloro che si lasciano abbindolare troppo facilmente.
Infatti se un ascoltatore conosce l’intenzione di un oratore come Gorgia (o i politici di oggi) deve avere prima di tutto la consapevolezza di possedere delle chiare idee in testa, altrimenti sarebbe come un adulto che rimane stupito e crede ancora che un mago possa tirare fuori effettivamente un coniglio dal magico cilindro.
Gorgia parlava a tutti ma sapeva veramente parlare solo ad un pubblico di facili ascoltatori, non per questo la sua figura perde di importanza.
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La storia del Silenzio
Forse nessuno sa la vera origine del silenzio.
La storia risale ad un tempo remoto. È ambientata in una terra quieta e desolata, in un punto che su qualsiasi carta d’oggi non si trova.
In questa terra si trovava un piccolo villaggio dove la vita trascorreva tranquillamente sotto l’attenta guida di un vigoroso capo di nome Silente.
Il capovillaggio aveva una figlia di nome Janira. La fanciulla frequentava segretamente un contadino. I due erano innamorati e avrebbero voluto sposarsi. Purtroppo i due innamorati non sapevano che il matrimonio della ragazza era stato concordato già dal tempo della sua nascita con il figlio di un ricco mercante del villaggio.
Quando Janira scoprì di essere stata data in sposa senza che il padre le avesse mai detto niente, in segno di protesta, decise di smettere di rivolgere la parola a chiunque se non al suo amato contadino. Tuttavia il suo amato disapprovava la scelta della ragazza: l’amava davvero e, proprio per questo, pensava che il matrimonio con un ricco fosse il meglio per lei. Così chiuse ogni rapporto con lei.
Il comportamento del contadino spezzò il cuore di Janira che decise come gesto estremo di togliersi la vita impiccandosi. Il padre Silente vedendo a cosa era arrivata la figlia a causa sua decise di imporre al suo villaggio un silenzio eterno, dove ogni rumore, voce o suono erano proibiti. Poi, per punirsi, il capovillaggio si fece tagliare la lingua e l’urlo del suo dolore fu l’ultimo rumore che si udì in quel villaggio.
Emanuele Paolini Luca Carluccio