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Platone e la sua teoria dell’anamnesi

Platone scrisse molti dialoghi durante la sua vita. Essi hanno natura prevalentemente polemica e spesso si chiudono senza che gli interrogativi proposti abbiamo trovato una risposta. Uno fra questi è il Menone in cui viene per la prima volta affrontata la teoria della reminiscenza o dell’anamnesi.

Per Platone infatti apprendere, e quindi conoscere non è altro che richiamare alla memoria e ricordare quanto già si sapeva.
Quindi vuol dire che una persona può conoscere già tutto semplicemente ricordando quello che già sapeva nella vita precedente?

Infatti nel Menone Platone prova la sua tesi con l’esempio pratico di uno schiavo che risolve un problema di geometria solo rispondendo ad alcune domande: questo perché, non avendo mai studiato geometria in quella vita, ha ricordato ciò che la sua anima aveva appreso nell’aldilà.

Probabilmente oggi nessuno crede più a questa teoria. In effetti, la teoria di Platone è poco convincente. Platone sembra pensare che si possa arrivare alla verità solo in maniera passiva , contemplandole nell’Iperuranio. Eppure lo schiavetto potrebbe essere arrivato alla soluzione, non perché ricorda, ma perché, sollecitato dalle domande, è riuscito a trovare soluzioni per lui nuove.
Per Platone neppure un dio come il Demiurgo crea. Plasma soltanto, ad imitazione delle idee. Ma noi, uomini d’oggi, lo sappiamo: gli esseri umani sono capaci di scoprire cose nuove, sono grandi creatori.

Panta Rei: tutto scorre

Pánta rhêi hōs potamós: tutto scorre come un fiume.

È un famoso aforisma di Eraclito.

Eraclito nacque a Efeso intorno alla metà del VI secolo a.C. Della sua vita sappiamo quel poco che si può desumere dai frammenti di interpretazione particolarmente difficile (per questo fu soprannominato dagli antichi “l’oscuro”) . Uno fra queste proviene da un frammento del trattato Sulla natura:

Non si può discendere due volte nel medesimo fiume…

Niente è immobile, ogni cosa muta e si trasforma continuamente. L’elemento che più si presta, proprio per la sua mobilità, a simboleggiare il divenire, è il fuoco. Il fuoco ha la caratteristica di poter trasformare tutte le cose ed esse, viceversa, possono trasformarsi in fuoco. Il fuoco dunque simboleggia il divenire universale. Per Eraclito questo divenire non è casuale e caotico, bensì regolare e ordinato. La realtà quindi era afferrabile e razionale. Il fuoco, possiede i caratteri essenziali della realtà e viene perciò considerato l’arché.

Ma cosa significa davvero?

Tale espressione, per me, può essere interpretata oggi così: non ci si può bagnare nello stesso fiume due volte perché tutto scorre e nulla è stabile, quindi, dato che anche l’acqua scorre e cambia, implica che ogni momento della vita è unico. Eraclito utilizza il fiume come metafora della vita perciò non ci sarà mai uno stesso secondo simile a un altro, perché tutto è diverso.

Un’altra possibile interpretazione è invece quella di Cratilo, discepolo di Eraclito, che porta alle estreme conseguenze la posizione del maestro. Secondo Cratilo tutto scorre via con una rapidità tale per cui diventa impossibile cogliere l’essenza delle cose. La conseguenza paradossale a cui Cratilo arriva è l’impossibilità di nominare le cose, poiché esse, nel momento in cui le nomino, già sono diventate altro. Cratilo pensava, infatti, che non è possibile bagnarsi nelle acque di un fiume nemmeno una volta. Quindi la realtà non può mai essere afferrata e conosciuta dal pensiero.

Estrema, forse troppo, la posizione di Cratilo.

Quindi rimane un problema filosofico di interpretazione.

Protagora e il relativismo

Protagora fu uno dei sostenitori del relativismo per il quale la conoscenza è sempre condizionata dal singolo individuo. Non esistono criteri universali: nulla è vero né falso, ma tutte le opinioni sono vere. Non c’è una verità assoluta, ma la verità è relativa all’opinione soggettiva.

Ma se si nega l’esistenza di una verità oggettiva vengono a mancare concetti fondamentali come il vero e il falso, il giusto e lo sbagliato, il bene e il male. Potremmo vivere in una società in cui le leggi sono soggettive? Dunque essi non possono essere soggettivi altrimenti non ci sarebbe giustizia.

Saremmo capaci di stare insieme come uomini non avendo nulla che ci accomuna? Tutti estremamente diversi: sarebbe impossibile.

Però non si può nemmeno affermare che tutto sia oggettivo perché ogni giorno ci troviamo in situazioni in cui alcune persone hanno opinioni diverse. Ogni individuo ha caratteristiche e una visione del mondo differente da quelle degli altri. Non riusciremmo a vivere se fossimo tutti esattamente uguali.

Non possiamo nemmeno dire che valgano solo le opinioni personali. Come dice Protagora: “L’uomo è metro di tutte le cose”; perciò ciò che io credo sia vero, lo è solo per me, mentre non si può dire che sia lo stesso per qualsiasi altra persona.

Il relativismo non può essere applicato a tutta la realtà e quindi è vero solo per certi aspetti.

Inoltre c’è da considerare un altro aspetto errato dei relativisti: “se tutto è relativo, è relativo anche il fatto che tutto sia relativo”. Quindi un relativista non può essere relativista fino in fondo perché egli non può non ammettere la possibilità che il relativismo stesso sia falso. Infatti i relativisti si basano su convinzioni dunque non erano relativisti assoluti.

L’origine del dì e della notte

Un dio, la sua famiglia e tutto il suo regno vivevano sull’unico mondo esistente. Un giorno nacque la sua prima figlia. Decise, per rendere speciale e unica la sua nascita, di regalarle un posto in cui potesse vivere e divertirsi. Le affidò un mondo nuovo. Fin dall’inizio la piccola era contenta di possedere un regalo così grande. Ci andava ogni giorno e regolarmente creava nuove cose: qualcuno che le potesse tenere compagnia, luoghi che più le piacevano. Il padre però non voleva che trascorresse tutto il tempo sull’altro mondo. Così ella decise di dividere equamente le ore da passare su un mondo e sull’altro. Per questo motivo quando si trovava sul suo mondo tutto era completamente acceso perché ogni cosa creata era felice della sua compagnia. Mentre quando non c’era e tornava dalla sua famiglia, tutto era spento e senza vita. Il primo periodo fu chiamato dì e il secondo notte.