PROCURATORE DISTRETTUALE ANTIMAFIA DI MILANO:
FERDINANDO POMARICI.
L’infiltrazione mafiosa in Lombardia rappresenta una questione complessa.
L’organizzazione più attiva in questo territorio è la “ndrangheta calabrese”, soprattutto in città e nell’hinterland milanese; minore diffusione in questo ambito hanno mafia siciliana e camorra napoletana, o altre organizzazioni come la sacra corona unita pugliese.
Le prime forti infiltrazioni si sono avute negli anni Settanta, in coincidenza con i primi sequestri di persona a scopo di estorsione, ad opera di personaggi inviati al confino, che trovano la maniera di inserirsi nel tessuto criminale, con un vero e proprio boom in quello stesso periodo.
Già allora cominciai ad occuparmi di questi fenomeni tipici della ndrangheta, che produssero enormi profitti per i criminali e che servirono successivamente a finanziare altri delitti mafiosi.
All’inizio pensavamo molto a salvaguardare l’incolumità dei sequestrati, ma visto che ciò arricchiva i criminali ed addirittura consentiva loro di investire in modo ulteriormente criminoso il ricavato, decidemmo di cambiare strategia non consentendo di pagare i riscatti in modo da creare una sorta di doppio ostaggio (inteso come gioco di parole), uno in mano loro ed un altro in mano alla magistratura; inducendo a liberare gli ostaggi . In questo modo il sequestro di persona venne scemando. A questo punto avviene un’ evoluzione del fenomeno criminoso. La mafia diversifica l’attività investendo gli ingenti patrimoni accumulati in varie attività illecite: dal raket del gioco d’azzardo, all’usura, alle estorsioni ai danni di attività economiche di vario tipo, al traffico della droga, fino ad arrivare al riciclaggio di danaro sporco proveniente da tutte le attività illecite.
Per riciclaggio si intendono due ipotesi di fatto: 1. quella originaria che consiste nel nascondere la provenienza delittuosa del danaro derivante da attività criminale, per impedire che dall’utilizzo di quello stesso si possa risalire all’autore del reato. Un esempio di questa prima ipotesi era la classica rapina in banca di una grande quantità di banconote che non si potevano spendere immediatamente nei luoghi adiacenti al posto in cui erano state sottratte; altrimenti si sarebbe corso il rischio di essere facilmente identificati. Per cui il malloppo era affidato a terzi perché venisse custodito e riutilizzato in altri momenti, i criminali davano a questi ultimi una percentuale sulla rapina effettuata ( intorno al 60%), in banconote “pulite”, ossia non provenienti da rapina; mentre il “custode” utilizzava in seguito l’intera quantità.
All’epoca si usavano molto gli “spalloni”; persone che attraversavano abitualmente a piedi il confine tra Italia e Svizzera, (dediti anche al contrabbando delle sigarette),che, una volta giunti dall’altra parte, consegnavano al soggetto indicato i soldi da depositare tranquillamente in banca, sfruttando la normativa favorevole che consentiva di non effettuare controlli bancari. Da qui attraverso vari canali finanziari i soldi venivano trasferiti nei famosi “paradisi fiscali” tipo le isole Cayman piuttosto che le Bahamas e, anche in Europa in posti come il Lussemburgo o Liechtenstein.
Alla fine di questo percorso tutto il malloppo della rapina iniziale poteva essere speso con relativa tranquillità; quindi nella prima ipotesi il riciclaggio avveniva addirittura in “perdita” per chi aveva commesso il reato.
Successivamente fu escogitato un sistema di riciclaggio che oltre a non fare perdere, permetteva di guadagnare, creando una rete di usurai che davano in prestito, a persone in difficoltà economiche, soldi derivanti da traffici diversi; ottenendo così il doppio vantaggio di guadagno e una certezza di non rivelarne la provenienza sfruttando la condizione del malcapitato.
Fin qui abbiamo descritto la prima ipotesi del riciclaggio, ossia la forma del nascondere la provenienza del danaro, accettato senza fare le comunicazioni dovute alla banca d’Italia e agli organi di vigilanza. Poi però è successo che questo si è ritorto contro di loro, perché nel momento in cui il mafioso aveva bisogno degli appoggi del funzionario di banca doveva poter contare sulla sua collaborazione. Quindi il funzionario di banca veniva in qualche modo ricattato per accettare quel denaro senza fare le denunce necessarie. Per cui anche tramite l’Istituto del credito vi era l’attività economica di queste imprese, che potevano contare su un afflusso costante di capitali: provenienti dall’attività propria delinquenziale, e dagli istituti di credito compiacenti che in caso di necessità erogavano i crediti, sapendo di non rischiare nulla perché le somme sarebbero ritornate.
L’altro aspetto criminale di queste imprese è che gli eventuali concorrenti dello stesso settore venivano normalmente minacciati ( vengono) a non operare in determinati settori o in determinate zone, perché, possedendo quelle zone, succede spesso, ad esempio nel campo edilizio, che ci sono imprese che vogliono costruire in determinate zone e gli capita che gli venga bruciato uno scavatore, che venga fatto un attentato al cantiere, che venga fatta una minaccia di morte ecc. In modo tale pian piano queste imprese capiscono che per loro non è conveniente e si ritirano dal mercato, così le imprese mafiose hanno anche il vantaggio di poter lavorare senza una concorrenza effettiva, con tutti i vantaggi che ne derivano; poiché se c’è una concorrenza vera i prezzi si abbattono, in quanto se io e te dobbiamo concorrere allo stesso appalto io cerco di aggiudicarmelo e faccio un’offerta più bassa, poi anche tu farai l’offerta più bassa, e quindi alla fine l’ente appaltatore andrà a scegliere l’offerta migliore. Questo comporta l’abbassamento del prezzo e il miglioramento della qualità del servizio, perché se noi lavoriamo bene ad un prezzo contenuto domani ci verrà rinnovato l’appalto. Se io lavoro da solo perché non ho alcun concorrente, il prezzo lo faccio io, e la qualità del lavoro è quella che è, me ne frego perché tanto non avrò concorrenza anche negli appalti successivi. Questo è attualmente il canale tramite il quale lavorano le imprese mafiose per quanto concerne i rapporti con gli enti pubblici che aggiudicano gli appalti.
Cosa succede: oggi gli enti pubblici per aggiudicare l’appalto ad una qualunque impresa debbono avere il certificato cosi detto “antimafia” che viene rilasciato dal prefetto, cioè qualunque impresa per avere un aggiudicazione di un appalto conferito da un comune, da una provincia, da una regione, deve produrre un certificato antimafia da cui risulta che quella società è stata controllata. Questo certificato risulta intestato a persone che non hanno niente a che vedere con la mafia, persone incensurate, che hanno sempre lavorato regolarmente ecc.. però purtroppo troppo spesso capita che questo certificato è solamente un pezzo di carta: o perché spesso queste società sono intestate a teste di legno, presta-nomi ecc…; o perché capita che poi queste imprese appaltatrici operano con lo strumento dei sub-appalti, cioè ricevono l’appalto, poi fanno sub-appalti ad altre imprese, che dovrebbero essere teoricamente comunicati, ma non sempre vengono comunicati e alla fine i lavori o parte dei lavori vengono attribuiti ad imprese certamente non segnalate. Quindi con questo duplice sistema: o del presta-nome o dei sub-appalti, si scavalca quel controllo antimafia. Ovviamente quanto più la torta è grande tanto più i topi ci saltano dentro, abbiamo avuto modo di verificare che in tutti i grandi appalti si sono buttati sempre esponenti di imprese mafiose, riconducibili ad attività criminali. L’abbiamo verificato nei lavori della TAV, nei lavori relativi all’aumento di una corsia sulla Milano-Torino, quando si è cominciato a parlare dei lavori per il ponte sullo stretto di Messina e già adesso che si comincia a parlare dell’Expo . Già adesso abbiamo alcune indagini in corso e il segnale è evidente che ci sono imprese che fanno capo sicuramente ad esponenti mafiosi, che si stanno attivando per individuare gli appalti che possono arrivare ad aggiudicarsi per il tramite o di presta-nomi o per il tramite di sub-appalti.
Il procuratore è stato intervistato da Davide Iannone e Giovanni La pietra in occasione del lavoro sull’Expo
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