Il 4 dicembre 2013 alcune classi provenienti da scuole dell’interland milanese, compresa la nostra, si sono recate al Teatro Fellini di Rozzano per assistere allo spettacolo Il mito di Sisifo, messo in scena dal “Gruppo della Trasgressione” e seguito da una discussione sul significato che ha avuto per noi e per gli appartenenti al gruppo il mito rappresentato.
Il “ Gruppo della Trasgressione” è formato da detenuti, ex detenuti, studenti di psicologia, sotto e da uno psicologo che funge da guida, specialmente per i detenuti, che compiono un percorso di crescita interiore e di reintegrazione nella società.
Appena arrivati, lo psicologo ci ha spiegato in cosa consistesse il “Gruppo della Trasgressione”, cosa avrebbero messo in scena e il percorso che li aveva portati a scegliere proprio il mito di Sisifo. Dopodiché i detenuti si sono esibiti in una rappresentazione di circa 20 minuti. La particolarità di questa rappresentazione consisteva nell’aggiunta di elementi o battute personali che facevano riferimento alla vita dei carcerati o alla loro condizione sociale. Sono riusciti quindi a rendere un mito antico, come quello di Sisifo, attuale e soprattutto personale.
Dopo l’esibizione lo psicologo ha ripreso la parola e ha cercato di coinvolgere noi del pubblico, chiedendoci pareri e sensazioni che lo spettacolo aveva suscitato in noi. Alcuni ragazzi hanno risposto, facendo emergere temi importanti e facendo domande ai componenti del gruppo avviando così una discussione di circa due ore.
Ciò che più ci ha colpito è stato il fatto che, nonostante le condizioni in cui le carceri italiane versano, alcuni detenuti hanno affermato che, grazie al “Gruppo della Trasgressione”, l’esperienza che stanno vivendo o hanno vissuto è profondamente formativa. Stanno imparando a controllare la rabbia che hanno dentro, i propri istinti, a capire il perché sono arrivati a quel punto e soprattutto stanno imparando a prendersi le loro responsabilità, senza scaricare la colpa totalmente sulla condizione familiare dell’infanzia. Alcuni infatti ammettono che se non avessero fatto o se non stessero facendo un percorso del genere con il “Gruppo della Trasgressione”, una volta usciti dal carcere sarebbero ritornati alla vita che conducevano prima di essere arrestati con ancora più rabbia perché non avrebbero avuto chiaro il significato della loro reclusione.
Sono stati toccati molti altri temi durante la discussione che hanno colpito la sensibilità di tutti noi e ci hanno fatto riflettere.
È stata un’esperienza forte e inaspettata, perché non pensavamo ci avrebbe fatto riflettere in modo così profondo.
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Idòla baconiani, realtà ancora presenti?
Gli idòla baconiani risalgono a quattrocento anni fa, ma magari, dedicandogli più attenzione, possiamo accorgerci che potrebbero anche applicarsi alla realtà odierna. Quante volte, negli ultimi tempi, sentiamo parlare di pregiudizi? Pregiudizi che si possono verificare per questioni di razzismo, pregiudizi che si possono verificare a scuola da parte di un professore nei confronti di un alunno, pregiudizi, addirittura, tra uomo e donna. Insomma, i pregiudizi sono diventati parte integrante della nostra vita, nel bene e nel male. Bacone, nel Seicento, affermava che esistevano degli errori e dei pregiudizi, chiamati appunto idòla, che celano all’uomo il vero sapere e non gli consentono una reale concezione della natura. Divide inoltre questi enti in quattro categorie:
- Idòla tribus: pregiudizi che sono nati dalla natura stessa e che affliggono tutti gli uomini (ovvero tutta la “tribus”). Bacone afferma che tutti gli uomini indistintamente tendono a semplificare la complessità della realtà, a cercare una finalità nella natura e a concepirla solo in funzione dell’uomo, ad affidarsi all’esperienza sensibile.
- Idòla specus: pregiudizi che derivano e dipendono dalla sua educazione, dal suo stato sociale ed economico e dalle sue abitudini. Sono quindi personali, propri di ciascun individuo.
- Idòla fori: pregiudizi derivanti dai rapporti fra gli individui e dal linguaggio con cui si comunica. Le parole alle volte significano più cose di quante se ne vorrebbe dire, altre volte sono troppo poco significanti, e pertanto comportano possibili errori d’interpretazione.
- Idòla theatri: pregiudizi causati dalle teorie filosofiche precedenti a quella baconiana che hanno diffuso falsi sistemi.
Per Bacone sono queste le cause della lontananza dell’uomo dalla verità, dalla vera conoscenza della realtà e della natura. Per Bacone sono queste le cause degli errori dell’uomo nel percepire la realtà. E noi? Noi quando sbagliamo? Quando commettiamo errori rispetto alla realtà che ci circonda o rispetto alle persone che incontriamo? Spesso, direi. Molte volte sbagliamo nel giudicare o nel valutare una persona come spesso ci sbagliamo quando parliamo. Ora, il mio obiettivo in questo articolo era dimostrare che gli idòla possono essere ancora riconosciuti in una società che noi denominiamo “moderna”. La categoria di idòla che mi sembra più direttamente riconducibile alla nostra realtà è quella degli idòla specus. Essi, infatti, come abbiamo detto, derivano dal nostro modo di essere e dalla nostra educazione. L’esempio più banale ma anche il più diretto che si può individuare sono i nostri pregiudizi riguardo una cultura diversa. Il nostro spontaneo distacco provocato dalla paura della diversità è proprio dovuto alle nostre origini culturali e perciò alla nostra educazione. Un altro esempio che si può ricollegare a questo tipo di idòla è il modo in cui noi, trovandoci davanti una persona diversa da noi, anche solo caratterialmente, cerchiamo di proiettare su di essa il modo in cui noi siamo fatti, il nostro modo di pensare, senza essere nemmeno minimamente obiettivi o aperti nei confronti della persona con cui ci rapportiamo.
Anche molti dei nostri amati proverbi non fanno altro che danneggiarci; ad esempio: “chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia, non sa quel che trova”, proposizione che esorta a non progredire, che ci tiene fermi dove siamo giunti e non ci esorta a cercare, a documentarci, a interessarci. Appare molto evidente come questo proverbio contenga conclusioni sbagliate eppure noi ci ostiniamo a ripeterli diligentemente ad alta voce. Non dovremmo forse renderci conto che Bacone, già quattrocento anni fa, aveva previsto e commentato quello che sarebbe stato il nostro modo di fare? Non siamo forse un pò troppo prevedibili? Sì, non siamo abbastanza abili da cambiare un modo di essere che già caratterizzava l’uomo del Seicento.
Beatrice Bonelli
Il matrimonio per le donne durante l’Ancien Régime
Questo articolo parlerà della libertà che le donne avevano rispetto al loro matrimonio, quindi
soprattutto riguardo la scelta del marito, durante il periodo dell’ancien régime e quindi tra l’XIV e il XIX secolo e della vicenda di una ragazza francese, Chaterine Gent.
Innanzitutto è importante evidenziare che la donna generalmente aveva il diritto di scegliere lo sposo e di rifiutarlo ma ovviamente nel nucleo familiare era l’uomo ad essere il padrone. Inoltre poteva risposarsi qualora il coniuge fosse morto, aveva diritto all’eredità, era libera di praticare una professione e di amministrare il suo salario e le faccende domestiche autonomamente. Il fatto che le donne lavorassero quindi non le limitava all’ambito domestico ma potevano andare, da giovani, a scuola e, poi, recarsi a lavorare. Una riflessione importante derivante da queste informazioni è che le donne nel periodo dell’ancien regime erano molto più libere e rispettate di quanto lo siano ai giorni nostri in molti paesi del mondo.
La vicenda di Catherine Gent è emblematica: nel 1529 la giovane era stata promessa in moglie dalla madre, dopo la morte del padre, a François Martin, tramite un accordo prematrimoniale che Catherine aveva inizialmente accettato. Ella aveva inoltre accettato un regalo dal promesso sposo e dichiarato pubblicamente che si sarebbe fidanzata con lui. Al momento, però, della promessa di matrimonio Catherine si era rifiutata di dare il suo assenso annullando così il matrimonio.
Subito François intentò una causa contro Catherine per aver rotto la promessa di matrimonio. L’avvocato della giovane la giustificò affermando che le promesse fatte in precedenza erano state fatte sotto minaccia e che razionalmente era impossibile che la ragazza volesse sposare François dato che egli era impotente. Anche l’amica di Catherine, Edmonne, testimoniò che la ragazza non aveva intenzione di celebrare il matrimonio e che in particolare la madre l’aveva minacciata che non avrebbe più provveduto al suo mantenimento. La risposta tenace di Catherine era stata: «Sta bene, mamma, sarò felice di fare la domestica, e se non mi permetterete di andare a servizio, preferirei che mi uccideste piuttosto di sposare quell’uomo, e vi perdonerò».
Non sappiamo, però, come andò a finire l’episodio di Catherine. Avrà avuto la meglio la volontà della ragazza o quella della madre?
Questa vicenda ci fa riflettere su come sia importante ricordarsi che molte delle cose che noi oggi diamo per scontato come la parità dei diritti tra i due sessi e la libertà religiosa, per citare due esempi notevoli, sono state conquistate, lottando, da ”piccoli eroi” dimenticati.
Beatrice Bonelli, Alessandro Luberto