Tutti gli articoli di Angelo Paganini

Cavicchio

Cavicchio è uno studente gracile e stortignaccolo. É vorace come un piranha, ma pare un cartoccetto d’ossa scomposte. Ballonzola incerto tra classe e corridoio. Come starà in equilibrio?
Non è così solo nel corpo. Anche le idee s’avviticchiano contorte o si urtano e s’ammaccano, tra i geroglifici del foglio.
Lo interroghi ed è subito perso. Ti tocca il ruolo di Arianna, ma il filo non basta e s’aggroviglia.
Quale mitologica guida dovrai diventare per trarlo in salvo?

La filosofia non serve a nulla

Dal mio diario di qualche anno fa.

«La filosofia non serve a nulla!» proclama serio il placido Polenta.
Chiedo ai suoi compagni di esprimersi. Le risposte più acute sono: «Serve a ad allenare la mente», «Serve a conoscere il pensiero degli uomini del passato».
Li scavalco: «Anche secondo me, la filosofia non serve a nulla: non ci fai meglio il formaggio, non ripari le biciclette, non costruisci i ponti.»
Mi guardano perplessi: «Ma, allora, perché la insegna?»
«Devo pur mangiare. Non vedete come sono grosso?»
Poi, perfido, chiedo: «Perché devo avere pazienza per le ultime interrogazioni, se a me vien tanto più comodo farle subito?»
«Ma non pensa a noi?»
«E perché dovrei pensarci?»
«Ma prof, non è giusto pensare soltanto a se stessi».
«E come si fa a sapere che cosa è giusto e che cosa non lo è? E perché poi poi dovrei fare quel che è giusto invece di quel che mi comoda?»
Attimo di smarrimento.
«Bene, a queste ed altre simili domande cerca di rispondere la filosofia. Forse non servono a niente, però son tanto importanti».

Nostalgia

Il mio primo amore filosofico fu Max Horkheimer, lui, non il suo verboso amico Adorno. L’ultimo anno di liceo avevo letto e riletto più volte Dialettica dell’Illuminismo e, soprattutto Eclisse della ragione.
Per alcuni anni la relazione fu intensa. Poi, come capita, ci perdemmo un po’ di vista. Però, quando posso, una visitina gliela faccio ancora e, se la classe lo merita, lo faccio conoscere ai miei alunni.

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Dei delitti e delle pene

Capita di sbagliare.
Dei delitti e delle pene, ne parliamo in quarta. Tanti studenti vorrebbero la pena di morte. Lo dicono chiaro.
E io?
Ribadisco gli argomenti di Beccaria. Per scoraggiare i reati, dico, non servono pene feroci, bastano pene certe.
Ci credo, ma farei bene ad ampliare la discussione. Invece, passo ad altro.
Come rimediare?
Per iniziare, propongo di discuterne qui.

Dei delitti e delle pene - frontespizio
 

Chi ne ha fatto esperienza

Per uno studente gli esami sono un evento memorabile, per un prof sono routine.
Si sta a scuola davvero tanto: 40, 48 e più ore la settimana, secondo la commissione in cui si capita. E ci si annoia anche un po’: far lezione è più gratificante, ma, diciamolo, anche più faticoso, almeno per me. Diciotto ore in classe mi stancano più di quaranta di esami, soprattutto se gli esami vanno bene.
Ma capirà soltanto chi ne ha fatto esperienza…

Saper dire

«Bei titoli» sento dire, ma non sono convinto.
Una volta, chi studiava aveva buone probabilità di trovarsi allo scritto un argomento su cui si era preparato. Oggi, invece, per lo più chiedono di inventarsi qualcosa a partire da una piccola rosa di testi mal scelti. Grande vittoria postuma di Gorgia: non importa sapere, ma soltanto saper dire.

Saluti

i colleghi che andranno in pensione

L’ultimo giorno di scuola è arrivato anche da noi. Saluto ai colleghi. Concludono il servizio: Maria Luisa Franchi, Calogera Vizzini e Cosimo Lasorsa. Panta rhei: sembra di averli appena incontrati e già ci lasciano per la pensione.

Baci, abbraci e mormorii d’invidia. Benevola, certo, benevola, ma quanti «Potessi anch’io!»
Le colleghe chiedono l’una all’altra: «E a te, quanto manca?». Si perdono in conteggi astrusi e mi chiedono una consulenza. Non la so dare: alla pensione non voglio pensare. Sto così bene con queste persone. Non lo pensano anche gli altri?
In realtà lo pensano. Lo dicono, per tutti, i quattro festeggiati: sono stati tanto bene qui. Eppure se ne vanno contenti. Hanno dato il meglio: si meritano e si godranno il riposo.

I tavoli della sala prof sono imbanditi: un vero banchetto. Brindisi con il miglior vino del mondo: Prosecco di Valdobbiadene.
Godiamo allegri le gioie della convivialità.
Infine, foto di gruppo, scherzi e risate. Tanta voglia di pensione e sembriamo ancora scolaretti. Non è bello così?

foto di gruppo dei prof
 

Stupiti ed emozionati

I ragazzi del laboratorio di teatro di Noverasco ci hanno stupiti ed emozionati con la loro interpretazione di Shakespeare. Grande esperienza educativa e promessa felice per i prossimi anni.

Un grazie al professor Gargiulo: ha saputo far emergere talenti nascosti.

preparazione prima dello spettacolo

 

fantasia shakespeariana

 

Giulietta al balcone

 

Tesine per l’esame e powerpoint

«Prof, per la tesina sto preparando una presentazione con Powerpoint» annuncia festante la signorina Frangi. «É una buona idea? Vuole vederla?»
Non faccio in tempo a rispondere: altre richieste in arrivo.
«Le vedrò volentieri. Cominciamo a guardarne una insieme».
Riusciamo a vederne più di una. Per molti argomenti non saprei che cosa dire, ma non importa. Da me vogliono un parere tecnico: hanno usato bene Powerpoint?
Il primo e più evidente difetto delle presentazioni è il contrasto tra testo e sfondo.
Chiedo a Schweiger di leggere. Non riesce. Le ragazze lo guardano come se scherzasse.
Non scherza: è daltonico. Ora sono tutti attenti. «Non c’è solo il daltonismo – spiego – Un buon contrasto tra testo e sfondo è di aiuto per tutti».
Per valutare se il contrasto è sufficiente può bastare il buon senso. Ma, per i più pignoli, suggerisco alcuni metodi di controllo.

Tutto a posto?
Non è così semplice. Bisogna usare caratteri facili da leggere: poco maiuscolo, poco corsivo, non cambiare continuamente colore, non cambiare continuamente carattere, non usare il giustificato, eliminare sottolineature o, peggio ombreggiature, non usare caratteri troppo piccoli, preferire i caratteri sans serif come il Verdana. Se usate un elenco puntato (con moderazione, mi raccomando) fate comparire un punto alla volta.
«Che cosa vuol dire sans serif?»
Faccio vedere Verdana e Times New Roman, Arial e Garamond. Capiscono.
«Perché non va bene il giustificato?»
Anche qui basta far vedere lo sgradevole risultato. «E poi – aggiungo – una presentazione può essere trasformata in una pagina web. Il giustificato può lasciare grossi spazi vuoti che rendono la lettura più difficile per gli ipovedenti».
«Perché un punto alla volta?»
«Perché altrimenti, invece di ascoltarvi, leggono».

«Abbiamo capito, grazie».
«No, ragazzi, non basta ancora».
«?»
«Nel vostro lavoro c’è troppo testo. La tentazione di leggere sarà fortissima ed otterrete tre effetti negativi».
«Quali?»
«Darete l’impressione di usare la presentazione perché non conoscete bene l’argomento. Darete lo stesso messaggio con due mezzi diversi e l’occhio del lettore sarà più veloce del suo orecchio. Sarete i servi della presentazione.
L’esame, ormai lo sanno tutti, prevale sul curricolo. Più di metà della commissione non vi conosce. Avete a disposizione un quarto d’ora tutto vostro. Dovete brillare, dovete stupire, dovete emozionare. Alla fine della vostra presentazione, i commissari devono ammirarvi e pensare di aver imparato qualcosa».
«E come possiamo fare?»
«Poco testo: il testo deve essere al vostro servizio, non voi al suo. Titoli efficaci: devono comunicare subito l’essenziale. Parole chiave in grassetto. Immagini significative. Niente clipart.
Siate semplici, credibili, emozionanti. Voi, non gli effetti speciali. Quelli usateli il meno possibile, solo per sottolineare qualcosa di veramente importante».