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La politica secondo Platone

Platone
Busto di Platone

Nell’ultimo periodo della sua vita, il filosofo Platone (V-IV secolo a.C.) scrisse due dialoghi dedicati alla politica, ma profondamente diversi tra loro per idee e contenuti.
Nel primo dialogo, Il Politico, Platone descrive come dev’essere il perfetto uomo politico e differenzia sei tipologie di costituzione. Secondo il filosofo, la risorsa fondamentale di chi governa è la ragione: egli non ha bisogno di leggi, poiché deve possedere unicamente la capacità di governare qualunque comunità, ovvero la “scienza regale”, come un moderatore. Per il filosofo, infatti, il buon politico doveva essere in grado di unificare e mescolare gli elementi che compongono una comunità con una giusta misura, ovvero come un buon misuratore.
Platone ritiene però molto difficile trovare buoni politici. Perciò, suddivide i sei diversi tipi di governo in due gruppi: quelli buoni, che rispettano le leggi, ovvero la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia; e quelli “cattivi”, basati invece sulla violazione delle leggi, ovvero la tirannide, l’oligarchia e un’altra forma di democrazia.
La legge può dunque supplire alla mancanza del buon misuratore.
Platone considera la monarchia la costituzione migliore, poiché essa consiste nel governo del buon politico, mentre la tirannide quella peggiore.

E se questo “buon politico” non fosse davvero così buono? A parer mio la monarchia non può essere considerata il governo migliore, in quanto si basa esclusivamente sulle scelte e sui pensieri di un’unica persona, non sempre dotata della “scienza regale” citata da Platone. Un singolo uomo non può essere in grado di prendere le decisioni migliori per il proprio popolo, anche se egli fosse l’uomo più saggio del mondo, poiché non potrà mai trovarsi in accordo con tutti i cittadini.  La monarchia, infatti, potrebbe diventare rischiosa se vista come un modo per possedere il pieno potere (portando, talvolta, alla tirannide), senza prendere in considerazione i diversi bisogni di una comunità.
L’essere umano ha il diritto di esprimere le proprie idee, le proprie opinioni, ed è indispensabile che tutti vengano ascoltati, per far sì che, tutti insieme, si raggiunga la decisione migliore e si verifichi una condizione di “buon governo”. Bisogna quindi dare ad ognuno la possibilità di manifestare i propri pensieri, come avviene per esempio in democrazia, tramite elezioni e referendum.

Come Platone stesso affermerà nel suo ultimo dialogo politico, Leggi, in contraddizione con il suo precedente scritto, non esiste un modello migliore di governo. La costituzione migliore deve possedere le qualità più valide presenti nei diversi tipi di governo, e deve essere in grado di maneggiarli con attenzione. Bisogna dunque sfruttare ciò che di meglio si trova nelle diverse situazioni e riunire alcuni degli elementi presenti nelle diverse costituzioni.

Le leggi servono, non sono superflue. Esse sono in grado di guidare lo stato verso ciò che è utile per la comunità, e lo fanno in termini generali, senza analizzare i singoli casi; sono indispensabili, poiché garantiscono la libertà ai cittadini, ma devono essere scritte con la saggezza e il buon senso umano, senza esagerare, perché è su queste caratteristiche che si basa una forma di buon governo.

Opinioni e verità assolute

L’uomo è misura di tutte le cose, per quello che sono così come sono e per quello che non sono così come non sono.

Così affermava Protagora, filosofo del V secolo a.C. Secondo lui, dunque, tutto è relativo: intendendo con uomo ogni singolo individuo, non vi sono opinioni giuste ed opinioni sbagliate, non esistono certezze. L’uomo è in grado di giudicare ogni cosa per come essa gli appare, poiché non possiede la capacità di definire il concetto di “verità assoluta”. Siamo tutti diversi, vediamo ogni cosa in modo diverso, e questo porta ad opinioni spesso completamente diverse, soggettive, ma in ogni caso corrette. Emozioni, gusti, sentimenti: sono tutte qualità soggettive, che possono variare da un individuo all’altro, ma che non possono essere giudicate “vere” o “false”, poiché dipendono da un personale punto di vista.

Se quest’affermazione risultasse vera, allora, come dovremmo porci di fronte alla scienza? Semplicemente, potremmo pensare alla celebre frase “la matematica non è un’ opinione”. Questa materia, che studiamo fin dalla prima elementare, consiste in una lunga lista di teoremi, dimostrazioni, postulati, regole verificate in migliaia di anni da moltissimi studiosi, e in ogni parte del mondo essa viene insegnata allo stesso modo in tutte le scuole. Questo perché i professori di matematica non potranno mai avere un’opinione personale su ciò che insegnano: due più due fa quattro, e non farà mai cinque.

Non solo in campo scientifico è possibile riscontrare verità inconfutabili. Anche nella vita di tutti giorni, magari senza accorgercene, ci troviamo davanti a situazioni  in cui i nostri pensieri e le nostre idee non vengono coinvolti; determinati contesti in cui non potranno sorgerci dubbi: il cielo è azzurro, e lo è per tutti. La pasta è un alimento, ed io non potrò mai contraddire quest’affermazione.
Vi sono cose, quindi, su cui gli uomini non potranno mai trovarsi in disaccordo, non avranno visioni differenti su determinati argomenti, non potranno dimostrare di avere ragione. Tali cose sono definite “oggettive”, e su di esse il pensiero umano non può esercitare la sua influenza. Se tutto fosse relativo, molti concetti universali perderebbero la loro veridicità. Se su determinati temi gli uomini potessero esprimere il loro dissenso o dare un personale parere, diventerebbe inutile studiare e continuare ad imparare; ogni cosa potrebbe essere messa in discussione, da chiunque e in qualunque momento.

Infine, però, bisognerebbe fare una precisazione per quanto riguarda i campi in cui il relativismo agisce. Esistono cose che dipendono dalle nostre preferenze ed influiscono esclusivamente sull’individuo stesso, come, per esempio, i nostri gusti. In questi casi, io possiedo la piena libertà di esprimere le mie opinioni e i miei pareri senza preoccuparmi di coinvolgere altre persone, di ferirle o di recarle danno. In altre situazioni, però, la nostra libertà di opinione deve essere in qualche modo frenata, poiché vi sono circostanze in cui le nostre preferenze incidono sulla vita e sull’animo altrui, come il bene e il male. Un esempio scontato potrebbe essere l’Olocausto, in cui una sola persona ha messo in atto ciò che egli riteneva più adeguato, ma che ha procurato conseguenze atroci a milioni di persone. Non è corretto lasciare ad una preferenza individuale ciò che riguarda anche altri esseri, perché la nostra libertà non ha il diritto di limitare quella altrui.

Il “vero” e il “falso” esistono in particolari circostanze. Il relativismo, dunque, può essere applicato solo in determinati campi, quando un fattore viene percepito in maniera differente da ogni individuo; quando non è possibile parlare di “verità assoluta”; quando vengono coinvolte le nostre sensazioni e, inoltre, quando nessuno viene toccato dalle nostre scelte.

La ricerca della felicità

La virtù è conoscenza“; “Nessuno compie il male volontariamente“. Questi erano i principi fondamentali dell’etica di Socrate. L’assurdità di quest’affermazione può essere smentita solo se si precisa che, per il Filosofo, tutti gli uomini agiscono con l’obiettivo di raggiungere la felicità, ovvero la realizzazione della natura umana, e che per essere felici bisogna compiere il bene. Nessuno desidera l’infelicità, e, di conseguenza, nessun uomo commette il male di sua spontanea volontà.
Quindi, stando a questa opinione, tutti coloro che compiono del male lo fanno per ignoranza, la quale porta a comportamenti involontari. Chi compie il male, lo fa perché non ha trovato i mezzi appropriati, o non si è trovato nelle giuste condizioni, per raggiungere la felicità.

San Paolo affermava invece: “Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio“. Riconosceva il bene, ma si accorgeva di non riuscire a farlo.

Un poeta del I secolo a.C., Ovidio, nella sua Metamorfosi, scrisse: “Video meliora proboque, deteriora sequor“, “Vedo le cose migliori e le approvo, ma seguo le peggiori”.
Anche secondo Ovidio, dunque, l’uomo possiede la capacità di distinguere il bene e il male, e grazie alla ragione conosce e approva i mezzi migliori per raggiungere il proprio fine. Ma segue poi il male.

I pensieri di Ovidio e San Paolo, dunque, rispecchiano l’opinione comune. Socrate, invece, trascura un elemento fondamentale: caratterizza l’uomo solo come “ragionevole”, ma nell’uomo non vi è solo la ragione. L’uomo è un grande insieme di sentimenti, emozioni, impulsi, desideri, e sono essi che spingono spesso gli uomini ad agire, a compiere talvolta il male, quando la ragione non riesce a prevalere.

Sarà Platone, infatti, filosofo del V-IV secolo a.C., a precisare il pensiero socratico e ad esporre la complessa struttura dell’animo umano. Secondo lui, l’anima è suddivisibile in tre parti: una parte desiderante, costituita dalle voglie e dalle passioni; una parte razionale, che ha il compito di controllare e governare i desideri, essendo in grado di riconoscere il bene e il male; una parte animosa, o irascibile, che stimola le passioni.
Ognuna di queste parti può prevalere nell’animo degli uomini, e le diverse combinazioni di esse differenziano ogni individuo.

L’errore di Socrate, dunque, è di aver preso in considerazione solo una parte dell’anima di ogni uomo, tralasciando altri aspetti fondamentali che possono influenzare il suo modo d’agire. Le azioni compiute non derivano necessariamente da ciò che il nostro intelletto ci suggerisce di fare, ma sono frutto del nostro istinto, della nostra volontà, delle nostre necessità, spesso in disaccordo con la ragione.

Il potere della parola

Credo che la parola abbia un grande potere. Essa è in grado di suscitare forti e differenti emozioni in ognuno di noi, ma è anche capace di  stravolgere le nostre menti ed ipnotizzarle.
Vi sono cose, però, più potenti della parola; il suo potere non è inarrestabile, né imbattibile.
Ciò che conta davvero sono le opinioni, le idee, i pensieri, ed è proprio a causa della carenza di essi che nasce l’ignoranza degli ascoltatori, i quali non fanno altro che farsi trascinare, coinvolgere. I bravi interlocutori sono in grado di stregare e convincere il pubblico con i propri elaborati discorsi, anche diffondendo idee spesso scorrette, ma solo con le parole non si arriva da nessuna parte. Non è possibile tentare di raggiungere un determinato obiettivo sfruttando esclusivamente la propria capacità dialettica; bisognerebbe possedere anche coscienza, conoscenze e capacità.
Ciò che è realmente importante sono i fatti, l’effettiva realizzazione di ciò che si è detto. Credo che non tutti gli ascoltatori siano stupidi e facilmente condizionabili; non tutti si lasciano attrarre dalla magia della parola.
Le uniche armi in grado di sconfiggere la potenza di questa grande dominatrice sono la conoscenza e la sicurezza di conoscere.

L’origine della notte

All’inizio dei tempi, sul pianeta Terra, esisteva solo il sole, che splendeva sempre e non tramontava mai.
Gli uomini, conoscendo solo la luce, lavoravano tutto il giorno senza fermarsi mai e pur avvertendo la stanchezza fisica che aumentava di giorno in giorno non riuscivano ad addormentarsi.
Un giorno tutti gli uomini del mondo, davvero stremati, furono colpiti improvvisamente da un sonno profondo che neanche la luce del sole riuscì ad evitare.
Il dio Sole, osservando la scena dall’alto, fu meravigliato da questo strano evento; egli non aveva mai veduto gli occhi degli uomini chiudersi, neanche una volta, perché la sua brillantezza glielo impediva. Così, cominciò a pensare che gli uomini avessero bisogno di un momento di riposo come premio per il lavoro svolto fino ad allora.
Allora, si privò di due raggi: con uno creò una sfera luminosa, ma capace di diffondere una luce più tenue; l’altro raggio lo frantumò in piccolissimi pezzi da spargere nel cielo.
Nacquero così la luna e le stelle, che diedero vita al buio e permisero agli uomini, e anche al sole, di riposare.