Uno degli argomenti che molti partiti hanno utilizzato e, in alcuni casi, strumentalizzato, durante le ultime elezioni politiche svoltesi in Italia, è stato quello dell’immigrazione e delle conseguenze che tale fenomeno sta portando nel nostro paese.
Oltre alla difficoltà di trovare un lavoro e la conseguente paura che questo possa venire sottratto alla popolazione autoctona, gli argomenti maggiormente utilizzati dalle campagne elettorali sono stati quelli relativi all’ordine pubblico, e al fenomeno della delinquenza della popolazione straniera.
Quindi ho pensato potesse essere interessante proporlo, come oggetto di discussione, nel blog della scuola e per farlo ho scelto di riassumere un capitolo del libro di Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione, pubblicato dalla casa editrice Laterza, perché tratta questo argomento utilizzando dati statistici e, quindi, obiettivi.
La paura dello straniero ha una base fondamentale: il tasso di criminalità. Esso ha solidi fondamenti statistici ma, spesso e volentieri, a questi dati non vengono affiancate delle specificazioni che cambierebbero completamente il significato dei dati stessi. La domanda a cui si cerca di rispondere è la stessa che molti italiani, soprattutto negli ultimi anni, si pongono, ovvero “Gli stranieri delinquono più degli autoctoni?”.
Guardando i dati a disposizione, sulle denunce e sulle presenze in carcere, la risposta è “Sì”. Ma per scoprire che la risposta potrebbe essere “Sì, e anche no” bisogna contestualizzare il fenomeno. Ad esempio, sappiamo che tra le prime generazioni di migranti esiste una propensione maggiore a commettere reati rispetto alla popolazione autoctona, ma per contestualizzare questo fatto bisogna capire se appartiene alla condizione di migrante o di marginale, non integrato. Anche tra gli autoctoni la condizione di marginale influisce sulla propensione a non adattarsi alle norme etiche e comportamentali della società. Tra i neo-immigrati, la percentuale di persone tra i meno integrati è prevalente e, inoltre, il sentirsi ed essere straniero gioca un ruolo fondamentale. Ognuno di noi, andando all’estero, ha provato una certa sensazione di libertà dal controllo sociale e questa stessa sensazione porta a lasciarsi andare a comportamenti non abituali: dall’alzare il gomito a frequentare prostitute. È un meccanismo che si attiva in noi quasi inconsciamente e che diminuisce man mano che il mondo in cui si vive viene percepito come nostro. Secondo la stessa sociologia lo straniero è visto come una persona senza storia e quindi più libera di agire senza costrizioni culturali, inoltre il legame etnico può essere alla base della costruzione di specifiche associazioni a delinquere, le quali condividono le stesse origini culturali. In un certo senso è quindi fisiologico che ci sia una percentuale di reati tra i migranti rispetto alla popolazione autoctona. Le ricerche condotte in molti paesi ci dicono tuttavia che la tendenza scende con l’aumento del reddito e il ricongiungimento familiare, se ne potrebbe quindi dedurre che è la condizione di marginale ad essere determinante. Detto questo, guardiamo insieme i numeri dei reati commessi da stranieri e quanti di loro si trovano nelle carceri. Cominciamo dalle denunce. Nel periodo che va dal 2004 al 2013 in tutta l’Italia le denunce sono passate da 3,2 a 3,5 milioni, anche se molte di esse contro ignoti, e, a differenza di quanto si potrebbe aspettare l’opinione comune, quelle contro gli stranieri sono calate del 6,2% pur in presenza di un raddoppio della popolazione straniera mentre quelle contro italiani sono aumentate. Nonostante ciò il numero di denunce contro stranieri rimane elevato, circa il 26,7%, e inoltre di 17% di queste riguarda la normativa sul soggiorno che gli italiani non potrebbero commettere neanche volendo. Anche a livello europeo i reati sono mediamente in calo nei paesi dell’Unione Europea, dati che risultano in opposizione a ciò che viene detto durante i dibattiti mediatici. Inoltre la percentuale di detenuti stranieri nelle carceri italiane è del 33%, più alta in confronto al 21% della media europea, dato che può essere spiegato in parte da vari fattori: gli stranieri godono molto meno degli italiani della possibilità di usufruire di pene alternative al carcere, una buona parte di questi non ha un domicilio o non ha una famiglia presso cui trascorrere gli arresti domiciliari, più spesso gli vengono assegnati avvocati d’ufficio, sia per problemi linguistici sia per il livello di istruzione sono meno capaci di comprendere quanto sta succedendo e quindi opporvisi, e sono inoltre oggetti di alcuni pregiudizi, presenti anche tra i giudici. Su alcuni reati la percentuale di stranieri è molto alta, ad esempio spaccio e altre forme di microcriminalità che producono un elevato allarme sociale (la grande criminalità produce meno allarme e soprattutto meno presenza sulla stampa). Affermazione che viene confermata dalla percentuale del 42,9% dei detenuti condannati a pene inferiori ai tre anni di carcere, e solo il 5,4% degli ergastolani. Le nazionalità più presenti in carcere sono note anche per alcune specializzazioni criminali: al primo posto c’è la Romania, poi segue il Marocco, l’Albania, la Tunisia e infine la Nigeria (insieme queste nazionalità contano oltre il 60% dei detenuti stranieri). Parliamo poi della devianza minorile, la presenza di stranieri negli Ipm (Istituti penali per minorenni) prevedeva, all’inizio del 2015, 168 stranieri su 407, circa il 41,3%. Vale anche per loro, come per gli adulti, il discorso sulle pene alternative e l’assegnazione ai domiciliari. L’allarme legato ai minori è legato ai fenomeni delle baby gang, dei reati tra coetanei e, soprattutto, quello delle gang etniche giovanili, alcune di particolare violenza come la MS13 (Mara Salvatrucha, gang salvadoregna), i Latin Kings ecuadoregni e i Comando peruviani. Non è ancora un fenomeno consistente in Italia, ma potrebbe peggiorare, anche a seguito del proseguire della crisi e dal contesto familiare in cui i figli riconoscono l’insuccesso del progetto migratorio e di inserimento dei genitori. Ma ritornando sull’argomento degli adulti sappiamo anche che gli stranieri sono più frequentemente oggetto di controlli, dato difficilmente misurabile, ma non c’è dubbio che sia così soprattutto a livello locale in città governate da forze politiche dichiaratamente anti-immigrati. Gli stranieri non sono solo soggetto, ma anche oggetto di devianza e vittime di criminalità, di altri stranieri come di italiani; questo si può manifestare in molte forme: dall’alloggio e lavoro in nero, al pagamento di retribuzioni più basse e alle violenze contrattuali, alla violenza sessuale, fino agli atti di razzismo vero e proprio, ai pregiudizi diffusi, all’istigazione all’odio razziale. Tra le forme di criminalità maggiori vi sono gli atti di esplicita ostilità e le aggressioni nei confronti dei migranti, di profughi, di comunità religiose e di luoghi di culto differenti da quelle “tradizionali”. L’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali presso il Ministero dell’Interno) ha raccolto, nel solo 2014, 1193 segnalazioni di casi di discriminazione etnico-razziale, 990 dei quali sono stati giudicati pertinenti, di cui un terzo riguardanti l’incitamento all’odio su media e new media, mentre sono in calo le segnalazioni riguardanti l’ambito del lavoro e dell’alloggio.
Un’analisi approfondita e dettagliata che meriterebbe di essere letta da molti, soprattutto da coloro che si accontentano di pregiudizi e luoghi comuni.