Ore 8:00 del mattino di mercoledì 31 gennaio, sull’autobus che mi porta, molto lentamente, al tram, penso che nonostante la pioggerella che non smette di scendere, questa può essere una buona giornata, non solo perché non ci sarà scuola, ma per soddisfare una mia curiosità: mi è già capitato di visitare un’altra sinagoga, quella di Praga, ma voglio vedere com’è quella della nostra città.
Infatti, nella settimana in cui ricorre l’anniversario del giorno della memoria, la professoressa Marafioti ci ha proposto di visitare la Sinagoga di Milano che si trova in via della Guastalla.
Alla spicciolata ci siamo trovati tutti lì; all’esterno della struttura la prima cosa che mi ha impressionato è la presenza di militari che, con il mitra, presidiano questo luogo. Ho provato un po’ di turbamento perché non trovo giusto che delle persone che intendono professare la loro fede non lo possano fare in tranquillità. Penso che sia eccessivo lo schieramento di militari, ma poi ripenso alle immagini viste al telegiornale, dove venivano presi di mira con attentati mortali luoghi di culto di ogni fede (chiese cristiane, moschee, …) e quindi mi rendo conto della necessità che questi luoghi a rischio vengano protetti in ogni modo.
Compattato il gruppo e raggiunti dalla guida, passiamo alla visita vera e propria della sinagoga, non prima però di esserci soffermati a guardare la bellissima facciata con i mosaici azzurro e oro che, sapremo poi, è l’unica cosa rimasta dell’originale sinagoga costruita nel 1892, in quanto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale su Milano, l’avevano completamente rasa al suolo.
Per la visita ci ha accompagnato una guida che ci ha dato varie informazioni sia dell’edificio che delle tradizioni e dei riti del popolo ebraico. La Sinagoga di via della Guastalla è il principale luogo di culto della comunità ebraica di Milano..
Entrando nella Sinagoga, la guida ha invitato i maschi a coprirsi il capo, usando un cappello o il cappuccio della felpa, mentre a chi non aveva nulla di adeguato ha distribuito una kippah.
Da subito si rimane affascinati per la luminosità e il colore rosso e oro che dominano la sala. Lo spazio interno è diviso in due piani. Dal piano superiore, il cosiddetto matroneo, la zona riservata alle donne, abbiamo potuto apprezzare ancora di più la bellissima architettura della Sinagoga. L’edificio è molto illuminato grazie ad una grande cupola ed alle vetrate multicolori con simboli ebraici e lettere ebraiche, tra cui la stella di David, simboli liturgici e lettere dell’alfabeto ebraico. Le vetrate sono state realizzate dall’artista newyorkese Roger Selden nel 1997, anno in cui la struttura è stata profondamente riammodernata.
Le donne durante la preghiera devono sedersi nel matroneo, questa usanza, ci ha spiegato la guida, è finalizzata a permettere ai maschi di seguire lo svolgimento delle preghiere senza distrarsi. L’Ebraismo è una religione matriarcale e tiene in grande considerazione la donna. Non a caso per entrare in questo luogo sacro sono gli uomini che devono indossare il famoso copricapo, la kippah, e non le donne perché si ritiene che queste ultime siano sempre in connessione con il divino al contrario dei fedeli di sesso maschile.
Nella Sinagoga di Milano, come è tradizione per la religione ebraica, non ci sono statue, immagini sacre o quadri ma solo alcune scritte perché per la religione ebraica la preghiera può essere fatta in qualunque luogo dove non vi siano sculture o immagini che ritraggono persone o animali.
Il punto centrale è costituito dall’Aròn (Arca Santa) simile ad un armadio che ha una grandissima importanza all’interno della Sinagoga e per la liturgia ebraica perché è il mobile in cui è contenuto il rotolo della Torah, ossia i primi cinque libri – i più importanti – della Bibbia. La Torah non può essere toccata con le mani ed è per questo che si usano dei sostegni in legno inoltre nel suo testo non ci sono vocali.
Una particolarità è che se lo scriba quando scrive la Torah sbaglia, deve ricominciare da capo e l’ultima parola si deve scrivere in Sinagoga.
Al centro della sala c’è l’altare, posto in mezzo ai fedeli e non in posizione distaccata. Sull’altare è posta la menorah, il famoso candelabro a sette bracci, a memoria dei sette giorni della creazione. Il rito viene fatto dal rabbino che non è rivolto verso le persone ma verso la Torah questo perché non prega per i fedeli ma con i fedeli.
Ci ha raccontato poi alcuni cenni di storia degli ebrei legata a Milano. A differenza di molte città, a Milano non è mai esistita una zona dedicata agli ebrei (ghetto). Dai tempi di Ludovico il Moro infatti esisteva una legge che vietava agli ebrei di restare in città oltre tre giorni, dopodiché erano costretti ad andare a dormire nelle località vicine e far ritorno ogni giorno a Milano. A partire dalla fine del 500, e per più di due secoli, non c’è stata più presenza ebraica in città. Solo agli inizi dell’800 viene permesso agli ebrei di professare la propria fede e di realizzare edifici di culto. La comunità ebraica milanese, decise così di innalzare una sinagoga notevole e centrale, coinvolgendo uno degli architetti più importanti dell’epoca, Luca Beltrami. Nel Novecento la comunità crebbe costantemente, fino agli anni trenta quando molti ebrei tedeschi lasciarono la Germania a causa dell’avvento di Hitler al potere e si rifugiarono in Italia. Nel 1938, al momento della promulgazione delle leggi razziali, gli ebrei erano dodicimila. Di questi, cinquemila riuscirono a fuggire. I deportati nei campi di sterminio, partendo dal famigerato binario 21 della stazione centrale, furono 896. Di questi tornarono solo cinquanta. Oggi vivono a Milano circa seimila ebrei, provenienti da diversi paesi. Molti di questi hanno mantenuto riti, usi e costumi del paese d’origine e si sono organizzati autonomamente con proprie sale di preghiera.
La guida ci ha illustrato anche alcune caratteristiche e tradizioni della vita ebraica.
Innanzitutto gli Ebrei considerano le giornate scandite dalla luna e non dal sole.
I bambini ebrei raggiungono l’età della maturità a tredici anni e diventano così responsabili per se stessi nei confronti della legge religiosa ebraica.
Anche la festa del sabato appartiene alla cultura ebraica. Per gli ebrei il sabato deve essere interamente dedicato al Signore. Inizia dopo il tramonto del venerdì e si conclude all’apparire delle prime stelle del sabato. Il sabato, in ebraico Shabbat, ricorda il giorno in cui il Signore concluse la creazione. Prima che inizi, la padrona di casa accende le candele, che indicano la fine del lavoro e l’inizio del riposo. Un giorno di riposo assoluto. Nelle ventiquattro ore bisogna astenersi da qualsiasi attività e non chiederne ad altri; i cibi devono essere preparati in precedenza; il riposo deve essere assoluto per tutti; non si possono provocare scintille e ci si può spostare solo a piedi.
Infine il rito della rottura del bicchiere durante la celebrazione delle nozze. Le nozze ebraiche si possono celebrare sempre, tranne durante lo Shabbat (dal venerdì sera dopo il tramonto fino al sabato sera). L’ultimo gesto della cerimonia, prima dei festeggiamenti, è la rottura del bicchiere da cui hanno bevuto gli sposi, da parte dello sposo con un piede; questo gesto sta a significare il ricordo della distruzione del Tempio di Salomone a Gerusalemme, nel 70 d.C. per opera dei Romani e la conseguente diaspora.
Dopo circa un’ora, passata velocemente, la visita è terminata. E’ stata un’esperienza bella ed interessante che ritengo debba ripetersi anche con altre culture e religioni, ad esempio quella musulmana, perché credo che la conoscenza sia l’unico modo per evitare di cadere in pregiudizi.