“43 poeti per Ayotzinapa” è un’iniziativa letteraria internazionale per far luce sugli atroci fatti accaduti il 26 settembre 2014 agli studenti desaparecidos della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, Stato del Michoacàn.
Cominciamo per prima cosa proprio dalla scuola normale rurale, un istituto dello stato del Guerrero, Messico, in cui il tipo di preparazione è universitario, vi è un esame di accesso che viene superato da circa 120 studenti ogni anno. Dopo un paio di settimane per adattarsi, si cominciano le materie di studio: Osservazione della pratica docente, Geografia, Spagnolo, Scienze naturali, Matematica.
Gli studenti studiano e lavorano, coltivano fiori gialli, chiamati senpasuchil con cui alimentano una raccolta fondi che permette di sostenere le spese della scuola.
Tutto è cominciato il 26 settembre 2014, quando un centinaio di ragazzi dell’istituto si recò nella vicina Iguala per sequestrare alcuni autobus da utilizzare per raggiungere una manifestazione nella capitale, Città del Messico, ma, partiti per tornare in paese, furono intercettati dalla polizia locale.
Da questo momento la versione varia in base a chi la racconta: secondo i rapporti della polizia il fine dell’operazione era di fermare gli studenti che fuggivano a bordo degli autobus sequestrati; secondo il sindacato degli studenti, invece, l’attacco sarebbe stato effettuato dalla polizia, mentre i ragazzi erano fermi e vulnerabili.
Durante l’operazione, due studenti persero la vita, alcuni fuggirono ed altri furono sequestrati dalle Forze dell’ordine.
Si contarono in tutto 43 studenti scomparsi.
Lo Stato messicano non ha potuto fornire versioni plausibili dell’accaduto,fino ad ora, ma ha fabbricato verità di comodo per far passare questo crimine come un “fatto locale”.
Dopo la sparatoria, gli studenti rapiti vennero tenuti in custodia dalla polizia di Iguala, su ordine del sindaco della cittadina, Luis Abarca, considerato, insieme alla moglie Maria Pineda, il mandante della strage.
Seguendo la versione che lo Stato ha fornito alle famiglie delle vittime, i ragazzi sarebbero stati venduti alla banda criminale dei Guerreros Unidos, spacciandoli per appartenenti al gruppo rivale Los Rojos. A questo punto vennero portati alla discarica di Cocula dove furono uccisi da Patricio Retes, Juan Osorio e Agustin Garcia Reyes i quali, successivamente, bruciarono i corpi.
Subito dopo l’incidente del 26 settembre, Luis Abarca e Maria Pineda scapparono dallo Stato del Guerrero, ma furono arrestati il 4 novembre 2014.
La storia del sequestro da parte dei Guerreros unidos, della loro eliminazione con un colpo di pistola alla nuca, del grande falò con cui i narcos avrebbero fatto bruciare i corpi è una grande bugia inventata dalla magistratura per far uscire il governo dall’imbarazzo evidente e per consegnare al mondo una versione di comodo, organizzando addirittura un video con la confessione dei tre criminali.
L’ONU insiste per avere risposte e dichiara che il caso non è chiuso, come vorrebbe il governo Nieto, né può restare impune.
Nel frattempo gli anni passano e le famiglie, straziate dal dolore, possono solamente piangere i figli e fratelli scomparsi, organizzando marce e manifestazioni per chiedere che venga fatta luce sulla strage del 26 settembre.